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Linfociti CAR-T: terapia genica contro il cancro

E’ dello scorso febbraio la notizia del primo bambino curato in Italia con la terapia genica a base di cellule CAR-T. Il piccolo paziente di 4 anni affetto da leucemia linfoblastica acuta è stato curato all’Ospedale Bambino Gesù di Roma e a un mese dalla terapia non aveva più tracce di cellule leucemiche nel midollo. Sebbene sia ancora prematuro parlare di guarigione, i risultati sono stati più che promettenti e non è un caso isolato: l’FDA (Food and Drug Administration) ha autorizzato nel 2017 la prima terapia a base di CAR-T prodotta dalla Novartis e sono stati pubblicati i risultati di sperimentazioni cliniche condotte su decine di pazienti, che ne confermano l’efficacia terapeutica. E’ quindi un campo di ricerca piuttosto “caldo” al momento e il loro nome rimbalza di continuo su internet e sui giornali. 

Cosa sono i linfociti CAR-T e perché sono tanto efficaci contro il tumore?

Il sistema immunitario: una risorsa contro il tumore

Il sistema immunitario ha il compito di proteggere l’organismo non solo da traumi o infezioni, ma anche dall’insorgenza dei tumori. Riconoscere virus o batteri è più “facile”, poiché sono estranei all’organismo ed è quasi impossibile non notarne presenza, data la loro estrema diversità con le cellule che compongono i nostri organi e tessuti. Le cellule tumorali, al contrario, non vengono da fuori, ma sono quelle dell’ospite, che hanno subito una serie di mutazioni genetiche: possono quindi essere più o meno simili alle loro controparti sane e soprattutto sanno come nascondersi al sistema immunitario. Perciò sono state messe a punto strategie terapeutiche che danno una scossa alle cellule immunitarie, guidandole nel riconoscimento del tumore o contrastando questi meccanismi immuno-soppressori. Una di queste consiste nell’isolare i linfociti T dal sangue o dal tumore del paziente, espanderli in vitro e re-iniettarli, nota anche come terapia cellulare adottiva.

Perché proprio i linfociti T?

Sono questi i “soldati” principali contro il tumore, poiché riconoscono le porzioni di proteina mutata, i cosiddetti epitopi, esposti sulla superficie della cellula tumorale e la annientano rilasciando enzimi perforanti. I linfociti T possiedono però un recettore che riconosce solo gli epitopi legati alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilita, anche questo espresso normalmente sulla superficie delle cellule: sfortunatamente, come menzionato prima, le cellule tumorali sanno come nascondersi e spesso riducono l’espressione di queste molecole, rendendosi quindi meno visibili al sistema immunitario.

I linfociti CAR-T

La sigla CAR sta per “Chimeric Antigen Receptor”: il recettore è detto “chimerico” poiché le sue componenti non si combinano normalmente in natura, ma vengono assemblate in laboratorio a partire da due strutture separate, il recettore dei linfociti T e la porzione variabile di un anticorpo monoclonale. Gli anticorpi sono proteine prodotte dai linfociti B che riconoscono epitopi di molecole estranee all’organismo: sono composti da una porzione costante e una variabile, che varia a seconda dell’epitopo riconosciuto. Gli anticorpi monoclonali sono prodotti in laboratorio e sono identici tra di loro, poiché provengono dalla stessa linea di cellule B, e quindi riconoscono specificatamente lo stesso epitopo.

I vantaggi

Gli anticorpi sono estremamente specifici e non hanno bisogno del complesso maggiore di istocompatibilità. Non hanno però la stessa capacità citotossica dei linfociti T. E’ allo scopo di combinare queste due anime del sistema immunitario che sono nati i CAR-T. I linfociti normali vengono isolati dal paziente e vi vengono inseriti dei frammenti di DNA che codificano per questo “super” recettore, composto da una porzione che riconosce specificatamente un epitopo tumorale, che è quella dell’anticorpo monoclonale, e da una porzione intracellulare, che è quella del recettore dei linfociti T ed è responsabile di azionare la via di segnalazione cellulare che scatena la risposta citotossica e antitumorale.

Quelli descritti sono i CAR-T cosiddetti di prima generazione, che però hanno dato risultati variabili nelle sperimentazioni cliniche, dimostrando scarsa efficacia contro il tumore o risposte solo parziali. Si è quindi passati ai CAR-T di seconda e terza generazione, incorporando nel costrutto anche una serie di recettori co-stimolatori che stimolano la proliferazione dei linfociti T e una aumentata produzione di citochine.

Fig. 1  Le 3 generazioni di CAR-T: l’aggiunta di domini co-stimolatori aumenta la proliferazione e produzione di citochine, così come la sopravvivenza delle cellule trasferite nel paziente

Gli effetti collaterali

Come per qualsiasi terapia anti-cancro, il rischio di effetti collaterali è legato soprattutto alla somiglianza tra cellule tumorali e cellule sane. I CAR-T riconoscono i loro bersagli in maniera specifica e generalmente vengono scelte le proteine mutate o sovra-espresse nelle cellule tumorali; non sempre però è possibile scongiurare ogni tipo di effetto su quelle sane, che magari esprimono comunque la proteina, anche se in misura minore, o proteine strutturalmente simili. La ricerca di bersagli sempre più specifici delle sole cellule tumorali rappresenta un punto centrale di questa e altre terapie, in particolare quelle che sfruttano il sistema immunitario.

La tossicità dei CAR-T è anche associata alla “sindrome da rilascio delle citochine”: la trasfusione dei linfociti CAR-T produce una risposta immunitaria così robusta che in poco tempo vengono rilasciate in circolo tante molecole pro-infiammatorie, le citochine appunto, che causano effetti collaterali anche fatali. Per ridurre questi rischi si stanno prendendo contromisure: nel caso del bambino curato all’ospedale Bambin Gesù le cellule avevano al loro interno anche un gene associato a morte cellulare programmata che, nel caso di una risposta troppo intensa e quindi dannosa per la salute del paziente, si sarebbe azionato dopo somministrazione di un certo farmaco, portando i CAR-T al suicidio.

Il futuro dei CAR-T tra difficoltà e aspettative

I ricercatori stanno quindi studiando metodi per migliorare sempre di più questa tecnologia, dal punto di vista dell’efficacia, scalabilità e soprattutto della sicurezza. La strada da fare è ancora lunga, poiché il processo per generare questi super linfociti è lungo e costoso, servono strutture e materiali specifici e personale qualificato. Nonostante questi ostacoli, le speranza sono molte e benché oggi i CAR-T vengano usati principalmente contro le leucemie, si sta già guardando ad altre possibili applicazioni contro vari tipi di tumori solidi, ma anche contro sclerosi multipla o infiammazioni e infezioni intestinali. E’ probabile quindi che sentiremo ancora parlare dei CAR-T in futuro e forse non solo nella lotta ai tumori.

Fonti: Wilkins, O. et al. (2017). CAR T-Cell Therapy: Progress and Prospects. Hum Gen Ther Methods 28(2): 61-66.

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