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Le piante provano dolore?

A chi non è mai capitato di trovarsi in un  giardino colorato senza riuscire a resistere alla  tentazione di strappare un fiore dal suo stelo per annusarne la fragranza. Ma lo fareste ugualmente sapendo che anche le piante provano dolore?

Gli esperimenti

Per la prima volta verso la metà degli anni sessanta Grover Cleveland “Cleve” Backster, un ex ispettore della CIA, si chiese se le piante fossero in grado di percepire stimoli e provare sensazioni. Provò quindi a rispondere a questa domanda collegando una pianta ad un poligrafo, la cosiddetta “macchina della verità” (la cui efficacia non è mai stata dimostrata) utilizzata spesso negli interrogatori per capire se l’interrogato dice la verità oppure mente.

Il poligrafo funziona misurando simultaneamente alcuni parametri come il battito cardiaco, la pressione sanguigna e la sudorazione. Quest’ultima caratteristica era la più utile ai suoi scopi dal momento che la sudorazione umana viene misurata dal poligrafo registrando delle modifiche nella resistenza della cute al passaggio di una debole corrente elettrica.

Dopo aver attaccato degli elettrodi e danneggiato piccole parti della chioma della pianta, Cleve osservò appunto che si generava una variazione di resistenza elettrica nel vegetale, segno di una qualche modifica della sua attività metabolica.

Sembrò così che la pianta avesse provato dolore.

Se pur privo di alcun fondamento scientifico, l’esperimento destò curiosità tra gli scienziati che cercarono di fare maggiore chiarezza su questo strano comportamento.

Negli anni successivi vennero condotti molti esperimenti che portarono ad altre scoperte.

Fu appurato che le piante non sentono dolore in seguito ad una loro parziale defoliazione, ma che risposte come quelle trovate dall’ex ispettore vengono riscontrate solo a condizione che le piante vengano danneggiate fortemente. In questi casi reagiscono producendo delle sostante chimiche utili ad allontanare o eliminare la fonte del disturbo.

La prova

Arrivò nei primi anni del duemila, quando alcuni ricercatori dell’università di Torino sottoposero a stress da erbivoria delle piccole piante. Quando i bruchi le attaccarono, queste produssero dei composti ormonali, detti allelochimici, che funsero da richiamo per imenotteri. In particolare vennero attirate delle vespe, le quali uccisero i predatori della pianta.

Così facendo le piante quindi salvarono se stesse chiamando a raccolta degli aiutanti.

Ma non è tutto, ultimamente degli esperimenti affascinanti hanno portato alla luce nuovi sistemi di difesa delle piante basate sull’attivazione e l’utilizzo di acido glutammico, una molecola la cui funzione in condizioni di difesa era fino ad allora stata associata solo ad organismi animali. Questo fu reso palese quando si osservò che l’attivazione del glutammato porta alla propagazione di ioni calcio che si diffondono come un’onda nell’intera pianta con una velocità di circa un millimetro al secondo.

L’utilizzo di agenti di contrasto permise l’osservazione della propagazione dell’onda in seguito al danno inferto al vegetale. A seguito di ciò si osservò alla produzione delle sostante fitochimiche coinvolte nella protezione della pianta, utilizzate poi come deterrenti, paralizzanti o avvelenanti nei confronti degli ospiti indesiderati.

Così per la prima volta gli scienziati poterono affermare che i vegetali non solo avvertano gli attacchi, ma anche che a questi reagiscano con sistemi che includano l’utilizzo di “molecole segnale”.

Altre prove

Anche se questo esperimento fu la prova diretta di ciò che si pensava succedesse ai vegetali in condizioni di imminente pericolo, a farvi da contorno negli anni precedenti vi fu la scoperta di tante altre molecole utili a proteggerle da danni di carattere esogeno ed endogeno.

È il caso dei composti isoprenoidi, sostanze organiche volatili prodotte dalle piante durante il processo fotosintetico al fine di evitare danni da foto ossidazione, cioè la distruzione della clorofilla. Oppure composti ormonali, come l’acido jasmonico, prodotto come reazione all’attacco di un organismo fitofago.

Conclusione

La complessità dei sistemi di interazione tra gli organismi vegetali e i propri assalitori sono in continua evoluzione e ancora oggetto di studio. I risultati fino ad oggi ottenuti ci possono assicurare che la percezione del dolore non è una capacità propria dei vegetali, perché mancano di un sistema nervoso come quello animale. Però è certo che possiedono sistemi sensoriali di cui nessun’altro organismo è dotato. Quindi quando sarete spinti dalla voglia di annusare il profumo di un fiore quando questo è ancora sul suo stelo, anziché reciderlo, chinatevi semplicemente su di esso. Ve ne sarà, a suo modo, certamente grato.

Bibliografia

  • Plant Isoprenoids – 2014, Methods and Protocols
  • Primary Perception – Silvacourses.com
  • Calcium reduces Botrytis cinerea damages to plants of Ruscus hypoglossum
  • Ogbadu, L.J., Okagbue, R.N. & Ahmad, A.A. World J Microbiol Biotechnol (1990) 6: 377
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