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Le piante e il fotoperiodo

Lo sviluppo delle piante è un fenomeno molto articolato e governato da molteplici fattori, uno dei quali è la lunghezza delle giornate. Il suo utilizzo non è esclusivo dei vegetali, anzi è comune in natura ed è evoluto anche negli animali e nei funghi in quanto è un preciso indicatore del tempo, del periodo dell’anno e delle stagioni. A questi coincidono condizioni meteorologiche precise in funzione della temperatura, umidità, piovosità, ecc. Per un organismo infatti conoscere se è primavera o inverno è essenziale per poter programmare un processo di sviluppo come la riproduzione, in modo che vi sia un ambiente che lo favorisca.

Il fotoperiodo in natura

Il fotoperiodo è la durata di illuminazione giornaliera e solo all’equatore è costante tutto l’anno, ovvero della durata di dodici ore su ventiquattro giornaliere. Ragionevolmente se ci si sposta più a Nord o più a Sud i periodi di luce cambiano, fino ad arrivare ai poli in cui si possono avere 24 ore di luce o 24 di buio. In tutti gli altri punti del globo la lunghezza delle giornate è differente e raggiunge il suo massimo nel solstizio d’estate, e il suo minimo in quello d’inverno.

La durata del giorno dunque dipende dalla latitudine, e la variazione stagionale ugualmente. Non avendo orologi e calendari, gli esseri viventi si sono adattati a questi cambiamenti per non doversi addensare ipoteticamente all’equatore o ai poli, dove per altro le condizioni di vita non sono delle migliori.

Negli uccelli ad esempio, ma anche in molti animali, il buio viene recepito dalla secrezione della melatonina, che altrimenti viene inibita dalla luce. L’ormone segnala al corpo la presenza di buio se è presente, e in base alla quantità accumulata la notte sarà stata più lunga o più corta. La durata del giorno o la quantità di ore di luce quindi sono percepite con la durata relativa della notte o delle ore di buio. Con questo e l’aiuto della temperatura diviene facile avvertire se si sta avvicinando l’inverno, e di conseguenza coordinare una migrazione o precipitarsi in letargo.

Scoperta e utilizzo del fotoperiodo

Chiedete a un bambino di disegnare la primavera e vi disegnerà fiori, chiedetegli l’autunno e vi disegnerà alberi che perdono le foglie. È come se tutte le piante si mettessero in qualche modo d’accordo stagionalmente per svolgere le stesse azioni sincronicamente, come un coro. Ma come mai le margherite devono fiorire tutte insieme e non possono farlo quando ognuna ha voglia? Giustamente non sono dotate di pensiero autonomo ma, a parte questo, hanno buoni motivi per essere coordinate.

Nel 1918 W. Garner e H. Allard vollero capire quando le piante smettono di produrre foglie per iniziare a fiorire. Così decisero di prendere delle piante di tabacco Maryland Mammoth e ne posero un gruppo stabile in campo e un altro venne trasferito in un capannone buio ogni pomeriggio. Dall’esperimento scoprirono che era sufficiente accorciare le ore di luce per indurle a fiorire, interrompendo la loro crescita. Poco più tardi altri sfruttarono questa incredibile scoperta per portare a fiore numerose piante: ad esempio l’iris può essere esposto a lungo alla luce in pieno inverno e questo svilupperà fiori, quando naturalmente avverrebbe in estate. Chi si occupa di floricoltura sa bene come sfruttare questa caratteristica.

In Australia per esempio fanno in modo che i crisantemi possano essere regalati a maggio alla propria mamma, quando in Italia i medesimi fiori vengono utilizzati nei cimiteri a novembre per il Giorno dei Morti. Ebbene si tratta delle stesse specie, ma sono coltivate in ambienti controllati sistematicamente e possono per questo essere fatte fiorire a piacimento! Novembre sarebbe comunque il mese naturale di fioritura dei crisantemi, ma il controllo fotoperiodico viene comunque effettuato per poter avere piante uniformemente fiorite.

I coltivatori dunque possono utilizzare questo processo tenendo conto che ogni specie reagisce ad un determinato fotoperiodo. In realtà è necessario specificare che non tutte le specie sono sensibili al fotoperiodo. Inoltre, anche all’interno della stessa, i singoli individui (dotati di genotipi diversi) possono dare risposte differenti e rientrare in gruppi differenti, come specificato di seguito.

Classificazione delle piante in relazione alla risposta fotoperiodica

Si possono classificare le piante in relazione alla risposta fotoperiodica nel seguente modo:

  • Longidiurne: ovvero quelle piante che necessitano di una lunga durata del giorno. Generalmente si indica una soglia di 14 ore di luce giornaliera (es. orzo, patata, avena);
  • Brevidiurne: piante che necessitano una durata del giorno breve, solitamente inferiore alle 12 ore di luce (es. mais, canapa, tabacco);
  • Brevilongidiurne: in cui la pianta può essere esposta a giornate brevi o, alternativamente, necessita di un’esposizione ad un periodo di freddo;
  • Netrodiurne: ovvero quel gruppo che è insensibile al fotoperiodo ma la sua fioritura è dipendente solo dalla temperatura.

Ovviamente i valori in ore (12 h brevidiurne, 14 h longidiurne) sono valori indicativi, in quanto il fotoperiodo di un singolo individuo si aggira nell’intorno del numero indicato. La risposta biologica poi non è da immaginarsi come immediata, cioè che superato un intervallo di ore in un giorno seguirà la differenziazione del fiore.

L’intervallo non è infatti da considerarsi una soglia ma un insieme di valori all’interno dei quali lo sviluppo avviene in continuità con l’aumento o la diminuzione della lunghezza del giorno (almeno nella maggior parte dei casi). Se una pianta ha bisogno di giornate corte, la sua risposta sarà proporzionale alla diminuzione delle giornate, tanto più queste si avvicinano alle sue esigenze tanto più aumenterà la velocità di sviluppo. La risposta al fotoperiodo è quantitativa.

Alcuni esempi

Piante originarie dei climi temperati, a medie latitudini, sono solitamente longidiurne. Il vantaggio è derivato dal poter fiorire in primavera-estate e poter favorire del clima mite in queste stagioni. Analogamente, nei tropici, se le piante provassero a riprodursi durante la stagione delle piogge logicamente non andrebbe a buon fine. Per questo in quelle zone si sono adattate alle giornate corte (brevidiurne), per poter concludere il proprio ciclo durante il periodo asciutto.

Queste condizioni favorevoli agevolano non solo in modo fisico la riproduzione, ad esempio per la presenza di insetti impollinatori o per l’assenza di piogge che altrimenti interferirebbero con la propagazione del polline, ma anche permettono alla prole di svilupparsi sufficientemente prima di una stagione avversa. Ecco dunque come mai tutte le margherite fioriscono contemporaneamente! Se infatti qualche pianta fiorisse in inverno, qualcun’altra in estate e così via dicendo, la fecondazione non avverrebbe.

La riproduzione sessuata richiede gameti maschili e femminili che devono essere presenti simultaneamente per la fecondazione, al contrario non potrebbero perpetuare la specie. Le piante a riproduzione sessuata necessitano della coordinazione nello sviluppo degli organi fiorali per massimizzare la fertilizzazione incrociata in un periodo con condizioni ambientali favorevoli.

Il fotoperiodo non è comunque utile solo per la riproduzione ma anche ad altri scopi: in autunno ad esempio alcuni alberi, all’accorciamento delle giornate, inducono resistenze al freddo, dormienza delle gemme o programmano la caduta delle foglie in previsione delle fredde giornate d’inverno (Prova ad approfondire: Perché le foglie cadono in autunno?).

Come funziona il fotoperiodismo nelle piante?

Per scoprire dove avvenisse la risposta alla stimolazione della luce, i ricercatori eliminarono vari organi dalle piante come foglie, gemme, e rami scoprendo che è sufficiente che una foglia capti un segnale luminoso, anche in assenza di altri componenti, affinché tutta la pianta ne sia metaforicamente a conoscenza. Il segnale dall’apice viene trasmesso al resto dell’organismo insieme agli zuccheri derivati dalla fotosintesi per via floematica.

Se infatti si eliminano tutte le foglie dalla pianta, questa non sarà più in grado di dare una risposta alla variazione del fotoperiodo. La proteina sensibile alla luce è detta fitocromo ed è una cromoproteina che può presentarsi in due forme foto-convertibili dette Pr e Pfr. La prima ha un picco di assorbimento nel rosso (λ=660 nm) mentre la seconda nel cosiddetto rosso lontano (λ=730 nm). Quando una molecola Pr assorbe il rosso si converte in una molecola Pfr, viceversa quest’ultima si converte in Pr all’assorbimento del rosso lontano. Il Pfr è la parte attiva del fitocromo in quanto, per la sua instabilità, si converte lentamente nella forma stabile (Pr). Al tramonto viene emessa luce rosso lontano e parte delle cromoproteine Pfr formatesi durante il giorno, tornano nella forma stabile.

Le rimanenti invece si trasformeranno nella forma Pr durante la notte in un processo noto come dark reversion. All’accorciarsi della notte dunque rimarranno sempre più forme instabili Pfr al mattino, le quali non avranno avuto il tempo di completare la conversione. All’alba verrà poi nuovamente captata la luce rossa dalle forme Pr e riinizierà il ciclo. Normalmente le piante hanno bisogno di più cicli all’interno del range favorito per dare una risposta di sviluppo. La pianta inoltre percepisce la lunghezza del periodo di buio non quello della luce, ma lo può comunque derivare per complementarietà.

Curiosità in pillole

Un fatto interessante è quello per il quale esistono due giorni in un anno, in due stagioni diametralmente diverse, in cui le ore di luce sono le stesse. In primavera però queste tenderanno a crescere, mentre in autunno a ridursi ricadendo verso il cupo inverno. È per questo che generalmente le piante non si affidano esclusivamente al fotoperiodo ma anche alla temperatura. A questo proposito è previsto, dai modelli di studio odierni, uno spostamento delle specie verso climi più freddi a causa del crescente aumento delle temperature.

Come sappiamo però le piante non sono legate solo alle condizioni atmosferiche ma anche al fotoperiodo. Per questo i cambiamenti climatici indurranno le piante a doversi modificare prendendo due ipotetiche vie: la modificazione delle esigenze fotoperiodiche o l’eliminazione di questa sensibilità per lo spostamento a latitudini maggiori, oppure l’adattamento all’ambiente in cui già vivono. La probabilità maggiore è a favore di quest’ultima ipotesi, in quanto lo spostamento comporterebbe ad una grande competitività con le specie già preesistenti. Rimanendo nell’ambiente in cui già si trovano non dovranno modificare la loro sensibilità fotoperiodica in quanto, nonostante l’aumento delle temperature, le ore di luce nelle varie stagioni non cambieranno.

Un’interazione con le ore naturali di luce, oltre a quella che avviene artificialmente nelle serre (caso dei crisantemi), è già presente nelle aree urbane. La notte infatti sono presenti lampioni ed altre fonti che disturbano e influiscono la vita delle piante. Da uno studio recente è emerso che non solo i processi delle piante vengono modificati in conseguenza all’inquinamento luminoso. I processi naturali infatti non sono da considerare come singoli ed isolati dal circondario, bensì connessi come una rete. Le piante convivono con tantissimi organismi come batteri, lombrichi, insetti, uomini, ecc. Il “solo” sconvolgimento fotoperiodico può portare a cambiamenti (tuttora molto ricercati) alla vita degli insetti per esempio, un pilastro della catena alimentare e dell’ecologia vegetale.

Bibliografia e sitografia

Curiosità citate ed altre

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