L’efficacia del trattamento convenzionale delle infezioni causate da batteri, basato sull’uso di antibiotici, è minacciata dalla comparsa negli ambienti ospedalieri di ceppi dotati di antibiotico-resistenza. Questi eludono l’azione mirata dell’antibiotico con diversi possibili meccanismi e il fattore genetico che lo consente si diffonde facilmente tra batteri che vivono nello stesso ambiente. La necessità di trovare soluzioni alternative ha spinto diversi gruppi di ricerca a testare l’efficacia dell’inattivazione fotodinamica (PDI). Questa è stata già approvata per trattamenti oncologici e dermatologici anche contro batteri antibiotico-resistenti come lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA), identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle minacce imminenti per la salute umana.
Il principio della PDI
Già utilizzata nel trattamento clinico di affezioni cutanee e tumori, si basa sull’utilizzo di fotosensibilizzatori: molecole che hanno la proprietà di passare ad uno stato energetico eccitato se investite da un fascio di luce. L’eccesso di energia viene istantaneamente trasferito nell’ambiente circostante a molecole accettrici come l’ossigeno, generando in questo modo le cosiddette specie reattive dell’ossigeno (ROS). Si tratta di molecole altamente instabili, per la presenza di elettroni spaiati, e tossiche per molte componenti cellulari come DNA, RNA, e membrane.
Quindi, i fotosensibilizzatori, solo dove attivati, hanno un effetto letale su ciò che li circonda. Appartengono a questa categoria le metalloporfirine, molecole tipicamente colorate composte da un anello tetrapirrolico con al centro un metallo. Ne sono un esempio noto la clorofilla (contenente magnesio) e il gruppo eme dell’emoglobina (contenente ferro).
Il termine “fotosensibilizzazione” è conosciuto anche come effetto collaterale di sostanze con proprietà fotosensibilizzanti contenute anche in alcuni farmaci. Esse possono causare un eritema diffuso se assunte prima di un’esposizione prolungata al sole.
La terapia fotodinamica oggi
Nell’attuale utilizzo terapeutico dell’inattivazione fotodinamica chiamato terapia fotodinamica (PDT), il fotosensibilizzatore viene iniettato nel circolo sanguigno o applicato sulla pelle. Trascorso il tempo utile per favorirne lo smaltimento da parte delle cellule sane e l’accumulo da parte di quelle tumorali, viene attivato grazie all’utilizzo di un fascio di luce diretto verso la zona da trattare. Sebbene questo approccio sia risultato efficace quanto altri più convenzionali e sia generalmente apprezzato dai pazienti per la scarsa invasività , presenta il limite principale di essere applicabile solo a zone superficiali che possono essere efficacemente raggiunte dalla fonte luminosa.
Ne sono un esempio: lesioni della cute (precancerose, cancerose o di natura estetica), tumori dell’occhio e dell’esofago. In questo senso si stanno sperimentando metalloporfirine modificate che assorbono i raggi infrarossi in grado di penetrare più a fondo e sistemi di veicolazione della luce, come ad esempio, piccoli aghi contenenti fibre ottiche.
L’inattivazione fotodinamica dei batteri
In ambito microbiologico, la PDI (ancora in via di sperimentazione) si è rivelata efficace in vitro su un ampio spettro di microrganismi sia di interesse medico che ambientale. I fotosensibilizzatori testati hanno, però, mostrato diversi gradi di attività battericida a seconda della loro composizione. In generale, quelli di natura neutra, cationica o anionica possiedono una rilevante attività antimicrobica contro i batteri Gram-positivi. Quelli di natura anionica, invece, si sono mostrati poco efficaci contro i Gram-negativi, probabilmente a causa della repulsione esercitata dalle diverse componenti cariche negativamente della loro parete cellulare (fosfolipidi, lipoproteine e proteine).
Prospettive future
In uno studio del 2016, che ha comparato l’effetto di diverse metalloporfirine sintetiche nell’inattivazione fotodinamica di E. coli e MRSA, si sono mostrate particolarmente efficaci quelle contenenti palladio e zinco. Ancora più recentemente, l’Università di Pardue ha pubblicato i primi risultati sull’attività fotodinamica di un analogo dell’eme contenente gallio che le cellule di MRSA sembrano assorbire molto rapidamente. Inoltre, la coniugazione dei fotosensibilizzatori con substrati inerti, ad esempio particelle di oro o argento, sembra potenziarne l’attività .
Sono ancora carenti gli studi in vivo sulla terapia fotodinamica applicata alle infezioni da batteri antibiotico-resistenti. E’ probabile che la continua ricerca di fotosensibilizzatori alternativi e delle condizioni ideali in cui essi agiscono possa ottimizzare questo metodo. I dati raccolti suggeriscono una possibile soluzione ad uno dei problemi che il sistema sanitario di tutti i Paesi industrializzati deve fronteggiare.
Bibliografia
- Science Daily – releases 2018/10 181011173114
- Photodynamic inactivation of methicillin-resistant Staphylococcus aureus and Escherichia coli: a metalloporphyrin 600 comparison. Skwor TA, Klemma S, Zhang H, Schardt B, Blaszczyk S, Bork MAJ. Photochem. Photobiol. B 2016, 165, 51–57
- Revisiting current photoactive materials for antimicrobial photodynamic therapy. Mesquita MQ, Dias CJ, Neves MPMS, Almeida A, Faustino MAF. Molecules 2018, 23, 2424