Avete arrancato tra i due articoli precedenti e non solo volete leggere articoli scientifici, ma avete anche imparato qualche trucco del mestiere. Tutto interessante, ma ora siete davanti a un reale articolo che vi serve per la vostra tesi o ricerca e non sapete come utilizzarlo. Come funziona? Cosa vuol dire? E dovete davvero leggere tutti quei numeri? Siete fortunati, non è necessario leggerlo tutto dall’inizio alla fine. L’articolo è strutturato in modo da essere diviso in parti proprio perché il lettore possa leggere solo ciò che gli interessa. Vediamole nell’ordine con il quale appaiono.
Titolo
Sarà una banalità, ma il titolo dovrebbe dire già tutto. I titoli degli articoli scientifici sono spesso molto lunghi e per nulla accattivanti. Questo per un’ottima ragione: non devono catturare l’attenzione di uno spettatore disattento, ma comunicare un risultato ad altri scienziati.
Nell’articolo precedente avevamo considerato questo esempio [1]. Il titolo è “Cognitive biases explain religious belief, paranormal belief, and belief in life’s purpose” (“I bias cognitivi spiegano la fede religiosa, le credenza nel paranormale e nel senso della vita”). Dodici parole, novantuno caratteri, zero pathos; eppure è sufficiente per un ricercatore già interessato a scoprire le cause della religione. Al contrario, un ricercatore interessato ad altro lo ignorerà.
A volte la faccenda è più complicata e il fattore attenzione è importante. A volte il titolo campeggia su un poster in una conferenza scientifica, il tipico momento in cui l’autore cerca di attirare l’attenzione dei passanti. Altre volte si cerca solo un titolo più accattivante, perché in fondo anche i ricercatori sono essere umani.
Sta di fatto che ogni tanto gli articoli hanno titoli come “Dead and Alive: Beliefs in Contradictory Conspiracy Theories” (“Viva e morta: credenze nelle teorie cospirative contraddittorie”) [2]. La prima parte è più accattivante e richiama il noto “Dead or Alive”, ormai un luogo comune dei film western; la seconda chiarisce che l’articolo riguarda la tendenza a credere a teorie cospirative contraddittorie. Infatti l’articolo mostra che, nella popolazione britannica, chi crede all’omicidio della principessa Diana tende a credere che lei stessa abbia simulato la propria morte – da cui il “viva e morta”.
Abstract
Se il titolo comunica il risultato, l’abstract è il riassunto dell’intero articolo. Tipicamente conta circa 150-200 parole. Nell’esempio di prima l’abstract è un capolavoro di sintesi – in 210 parole viene riassunto tutto.
Prima gli autori spiegano perché hanno fatto lo studio: in tre frasi riassumono la letteratura precedente, ne mostrano una lacuna e dicono come l’hanno colmata. Subito dopo usano i termini tecnici per spiegare cosa hanno fatto. È inevitabile che il lettore abbia difficoltà, se non conosce le parole; deve armarsi di pazienza e cercare il loro significato.
Gli autori poi spiegano i risultati ottenuti. Questo è il vero nucleo dell’abstract, è la novità che gli autori comunicano alla comunità scientifica e la parte che viene citata dagli altri. Infine chiudono l’abstract riassumendo le implicazioni teoriche dei risultati, cioè come interpretano la loro scoperta nel contesto più generale.
Questa struttura è, in piccolo, la medesima dell’intero articolo.
Per uno studente, un giornalista o un lettore interessato, l’articolo scientifico potrebbe anche finire qui. La decisione di proseguire spetta al lettore: l’argomento gli interessa a tal punto da approfondire? Non sa il significato dei termini tecnici e vuole capirli? O è soddisfatto così?
Keywords
Non fanno strettamente parte della struttura dell’articolo, ma sotto l’abstract si trovano le parole chiave dell’articolo. Sono utili quando uno sfortunato studente o ricercatore deve trovare un pezzo nella sterminata letteratura scientifica e deve decidere in pochi secondi se un articolo è degno di nota oppure no.
Introduzione: da dove salta fuori lo studio?
L’articolo vero e proprio inizia con l’introduzione, che serve soprattutto a riassumere la letteratura precedente e a dare un senso all’esistenza dell’articolo.
Teniamolo a mente, l’impresa scientifica è cumulativa. Un ricercatore alle prese con un nuovo studio deve sapere cosa hanno fatto gli altri – non deve reinventare la ruota: non è interessante, non porta gloria e non serve a niente. Per questo gli conviene partire da ciò che è stato fatto e fare avanzare la ricerca. Tutto questo viene spiegato nell’introduzione. In essa l’autore “prepara la scena” per il suo lavoro [3]: riassume le ricerche precedenti, ne indica le mancanze e spiega come ha pensato di rimediare.
Il lettore così capisce da dove è uscito l’articolo, frutto non solo dell’interesse del ricercatore – che pure è il motore personale della ricerca – ma anche dalle esigenze dell’intera comunità scientifica.
Materiali e Metodi: come è stato fatto lo studio?
Dopo averlo introdotto, l’autore spiega esattamente cosa ha fatto nel suo studio: quali materiali ha usato, quali analisi statistiche ha compiuto, quale procedura ha seguito. Lo fa entrando in dettagli poco avvincenti, per esempio la grandezza e la risoluzione degli schermi dei computer [4].
Questi dettagli non sono un esercizio di stile. Servono soprattutto a due cose: da un lato a permettere a qualche altro ricercatore di replicare l’esperimento tale e quale, dall’altro a verificare che la conclusione stia in piedi. Se, come dicevo in precedenza, i singoli articoli scientifici sono i mattoni usati per costruire dei discorsi più ampi, la sezione dei materiali spiega come i mattoni sono stati costruiti. Così i muratori possono decidere quali usare e quali scartare.
Risultati: che cosa ha trovato lo studio?
Vero nucleo dell’articolo, i risultati sono il frutto del lavoro descritto nella sezione precedente. Descrivono i dati che l’autore ha ottenuto e i risultati delle analisi che ha compiuto. Per questa ragione sono regolarmente sotto forma di numeri, e quindi incomprensibili ai più; ma anche sotto forma di grafici, e quindi molto più immediati e facili da capire.
Ne consegue che i risultati sono la parte più difficile da leggere, comprensibili per intero solo a chi conosce la statistica (e ha voglia e pazienza). Eppure sono cruciali per gli altri scienziati, che vogliono valutarli in prima persona.
Soprattutto, i risultati sono ben distinti dalla discussione: i fatti sono una cosa, le interpretazioni sono un’altra.
Discussione: quali sono le implicazioni?
Dopo aver comunicato i risultati, l’autore chiude il cerchio e mostra come i risultati abbiano portato qualcosa di nuovo alla letteratura descritta nell’introduzione. Innanzitutto discute le prove illustrate nella sezione precedente, come se fosse un magistrato in tribunale [5]; poi ne pesa le conseguenze sulla letteratura e spiega che cosa è cambiato grazie al suo studio.
Diversamente da un tribunale, però, discute anche dei limiti del proprio lavoro; e i limiti non mancano mai, perché lo studio perfetto non esiste. Solo tenendo a mente i limiti il lettore può trarre le conclusioni giuste. Per fare un esempio, in uno studio pilota che testava l’efficacia di un videogioco contro la discalculia [4] gli autori stessi specificavano di non avere incluso un gruppo di controllo. I risultati erano buoni, ma nessuno poteva concludere che la causa fosse il videogioco stesso: poteva essere stata qualsiasi altra cosa.
Conclusioni
Quella descritta è la struttura nota come IMRAD (Introduction, Methods, Results And Discussion), introdotta nel XX secolo e diventata punto di riferimento a partire dagli anni ’80 circa [6]. Questa struttura è presente solo nei report di ricerca, non nelle review o nelle meta-analisi, e a volte è sostituita dalla IRDAM, in cui la sezione dei Metodi è posta in fondo [7]. Ad ogni modo, è la struttura di gran lunga più diffusa.
Ora che la struttura è chiara ogni lettore può decidere a che punto spingersi. Una possibilità è leggere solo l’abstract; un’altra è leggere anche l’introduzione e la discussione, per conoscere la parte teorica e lasciare perdere i dettagli. Addirittura si può usare solo l’introduzione per ricavare delle buone fonti (il sottoscritto l’ha fatto più volte).
La qualità dell’intero articolo però dipende in gran parte dalla parte dei metodi, e il suo apporto è dato dai risultati; quindi gli altri scienziati sono interessati soprattutto a queste due sezioni.
In conclusione, buona lettura!
Bibliografia
- Willard AK & Norenzayan A (2013). Cognitive biases explain religious belief, paranormal belief, and belief in life’s purpose. Cognition, 129(2), 379-391.
- Wood MJ, Douglas KM & Sutton RM (2012). Dead and Alive: Beliefs in Contradictory Conspiracy Theories. Social Psychological and Personality Science, 3(6), 767-773.
- Annesley TM (2010). “It was a cold and rainy night”: Set the Scene with a Good Introduction. Clinical Chemistry, 56(5), 708-713.
- Wilson AJ, Revkin SK, Cohen D, Cohen L, & Dehaene S (2006). An open trial assessment of” The Number Race”, an adaptive computer game for remediation of dyscalculia. Behavioral and Brain Functions, 2(20), 1-16. Pag. 6.
- Annesley TM (2010). The Discussion Section: Your Closing Argument. Clinical Chemistry, 56(11), 1671-1674.
- Sollaci LB & Pereira MG (2004). The introduction, methods, results, and discussion (IMRAD) structure: a fifty-year survey. Journal of the Medical Library Association, 92(3), 364-367.
- Derish PA & Annesley TM (2010). If an IRDAM Journal Is What You Choose, Then Sequential Results Are What You Use. Clinical Chemistry, 56(8), 1226-1228.