La Community italiana per le Scienze della Vita

La foresta radioattiva di Chernobyl sta andando a fuoco

Tutto quello che c'è da sapere sugli incendi che colpiscono l'Ucraina in questi giorni

Il 5 aprile sono stati individuati due incendi boschivi nell’area intorno all’impianto nucleare di Chernobyl, dove avvenne il celebre incidente nel 1986[1]. Oltre 300 vigili del fuoco stanno lavorando affinché i fuochi si estinguano[2]. Uno degli incendi in via di spegnimento avrebbe un’estensione di 5 ettari (50mila metri quadri, cioè circa 8 campi di calcio); sull’altro le dichiarazioni sono contrastanti: potrebbe aver colpito un’area di 20 o 100 ettari (ovvero 0,2 chilometri quadrati – circa 33 campi da calcio – oppure 1 chilometro quadrato – circa 170 campi da calcio)[1, 2].

La zona in cui si trovano queste foreste radioattive è l’area di 4300 chilometri quadrati intorno all’ex centrale nucleare di Chernobyl, detta zona di alienazione (o zona di Chernobyl)[3]. Un’estensione quasi equivalente alla superficie del Molise. L’area in fiamme è dunque, fortunatamente, una percentuale minima del totale.

L’esplosione nucleare, 1986

Durante la notte fra il 25 e il 26 aprile del 1986, un reattore dell’impianto nucleare Vladimir Ilyich Lenin di Černobyl’ scoppiò, liberando sostanze radioattive. Nell’arco di poche ore l’incidente determinò la morte di una trentina di persone, fra l’esplosione e l’Acute Radiation Syndrome (ARS), una malattia che colpisce chi viene esposto ad alte dosi di radiazioni. Contemporaneamente morì una macchia di pini oggi chiamata Foresta Rossa, poiché a causa dei danni al tessuto vegetale le piante assunsero questo colore[3].

Le sostanze radioattive liberate nell’esplosione viaggiarono nell’aria per chilometri: al di fuori dell’allora URSS, i paesi più inquinati dall’incidente furono la Bulgaria, l’Austria, la Grecia e la Romania[4]. In quasi tutta Europa le radiazioni contaminarono l’aria e le coltivazioni; di conseguenza anche gli animali da allevamento che si nutrivano di vegetali. Sia respirando sia nutrendosi, dunque, gli uomini e gli altri animali accumularono nel proprio corpo sostanze radioattive che aumentarono il rischio di sviluppo che sviluppassero malattie come tumori[3].

L’evacuazione dei cittadini dell’URSS dalla zona più radioattiva, entro 2800 chilometri quadrati dalla centrale, iniziò 3 giorni dopo la catastrofe. Dopo 11 giorni oltre 116mila persone avevano lasciato l’area[3], mentre qualche decina rimase sul luogo[1] e in centinaia, negli anni, tornarono indietro[5]. Nel 1996 la zona di alienazione venne estesa a 4300 chilometri quadrati[3].

Vecchio piano su cui è appoggiata una maschera antigas
Aula di musica in una base militare all’interno della zona di alienazione di Chernobyl. Foto di Mick De Paola di libero utilizzo (secondo la licenza CC0).

I tre reattori ancora funzionanti della centrale hanno continuato a operare fino al 2000, quando essa è finalmente stata chiusa. Allo scopo di limitarne le emissioni radioattive, nel 2016 il quarto reattore è stato coperto con una struttura di contenimento, una copertura di cemento e acciaio chiamata sarcofago[5]. Attualmente nell’area di alienazione abitano circa 200 persone[7] e decine di migliaia di turisti ogni anno visitano la zona, guidati da un locale[6]. L’afflusso di persone è aumentato in particolare l’anno scorso, quando è stata rilasciata la serie tv Chernobyl della HBO[5].

Conseguenze a lungo termine dell’incidente di Chernobyl

Si stima che la radioattività conseguente l’esplosione a Chernobyl abbia comportato la morte di migliaia di persone, ma è impossibile da stabilire con certezza poiché si può solo stimare quanto le radiazioni aumentino il rischio di sviluppare patologie. È infatti difficile discriminare i casi di malattia che si sarebbero comunque avuti da quelli comportati dalle sostanze radioattive. Finora sono stati accertati soltanto aumenti nell’incidenza di cataratte, tumori alla tiroide (solo in coloro che all’epoca avevano meno di 18 anni) e leucemie[3].

Anche a oggi l’esposizione alle radiazioni di Chernobyl è dovuta all’inalazione di aria contaminata e all’ingestione di cibi contaminati (in particolare di funghi). Tuttavia, il rischio di sviluppare un cancro è molto superiore in seguito a esposizioni acute (come l’incidente stesso) che in seguito a esposizioni continuate a livelli di radioattività minori. Inoltre c’è una stretta regolamentazione sulla qualità dell’aria e degli alimenti[9].

Alcuni studi hanno evidenziato che la maggiore conseguenza dell’esplosione della centrale sulla salute pubblica sono stati gli effetti psicologici. L’aspettativa di vita in Russia si è ridotta a 65 anni (59 per gli uomini) non a causa di effetti riconducibili alle radiazioni ma, sembrerebbe, per via di stress, ansia e depressione. Gli incidenti nucleari, infatti, comportano paura, ansia e disturbi post-traumatici da stress nella popolazione, come si è visto anche in seguito all’incidente nella centrale di Fukushima del 2011[3].

Le conseguenze più gravi dell’esplosione del reattore numero 4 sono dunque ricadute su altre specie. In particolare, alcune popolazioni della zona si sono estinte e altre presentano deformazioni, come molti uccelli, che hanno cervelli e teste più piccoli del 5%. Altri animali e piante, però, sono riusciti ad adattarsi[6]: la soia che vi cresce, per esempio, sopravvive sintetizzando proteine che riducono l’insorgenza di anomalie genetiche.

Perché le foreste vicino Chernobyl vanno a fuoco?

In realtà gli incendi nelle foreste presso Chernobyl sono frequenti[7, 9]. Questo è dovuto essenzialmente a tre fattori. Il primo è la presenza di contadini che non vollero evacuare nel 1986 e ora coltivano la terra, talvolta anche appiccando piccoli fuochi che possono espandersi in modo incontrollato[9]. Il secondo fattore è la carenza di decompositori. Molti organismi che degradano il materiale organico non riescono a sopravvivere in un ambiente così ricco di radiazioni[6, 9], così che il legno e altri residui si accumulano. Il terzo è il riscaldamento globale, che determina un aumento nell’incidenza e nella durata degli incendi[9]. D’altra parte probabilmente il 2020 sarà uno degli anni più caldi mai registrati.

In questo caso l’incendio sembrerebbe essere stata causata accidentalmente da un uomo. La polizia ha dichiarato che un ventisettenne della zona avrebbe appiccato il fuoco a dell’immondizia e a dell’erba alta. Questo fuoco, alimentato dal vento, sarebbe cresciuto in modo incontrollato fino a determinare le fiamme ora in fase di spegnimento[5].

Siamo in pericolo?

Le sostanze radioattive rilasciate nell’incidente della centrale, nel 1986, sono migrate nel terreno. Negli anni, piante e funghi le assorbono e, nel loro ciclo vitale, le restituiscono al suolo. Questo implica in primo luogo che senza i vegetali e i funghi presenti nella zona i contaminanti migrerebbero altrove, portati dall’acqua o dal vento. Le fiamme, a lungo andare, potrebbero quindi compromettere questo ciclo. In secondo luogo significa che questi esseri viventi sono radioattivi, per cui quando vengono bruciati rilasciano radionuclidi: l’incendio di queste aree determina dunque un aumento nella radioattività “libera”.

Ma questo dipende dall’estensione dell’area che brucia, al momento piuttosto limitata, e dal tempo in cui questo fenomeno ha luogo. La situazione è gestibile poiché l’attrezzatura per combattere gli incendi della zona è abbondante, data la frequenza con cui essi si verificano[9].

Per maggiore chiarezza, analizziamo che cosa succederebbe se bruciasse il 10% delle foreste contaminate, presenti in Russia, Bielorussia e Ucraina. Secondo un modello fondato sugli incendi del 2010, in questo caso le radiazioni non raggiungerebbero i centri densamente abitati; nel lungo termine causerebbero tumori che porterebbero a meno di 200 vittime[9].
Una cifra significativa che però va paragonata al numero di decessi annuali per tumore: circa un milione[10].

Conclusioni

È vero: gli incendi che si stanno consumando in questi giorni hanno raggiunto livelli 16 volte il normale; ma questo si è verificato soltanto vicino alle zone in cui la vegetazione brucia[2]. Gli esperti non hanno rilevato aumenti di radioattività né nella periferia né a Kiev né nella periferia della capitale[5]. Finché il fuoco non si espanderà a intaccare decine di migliaia di chilometri la situazione sarà gestibile, considerando che non è la prima volta che si verificano incendi nella zona. In effetti se ne sono visti di più gravi: nel 2002 gli incendi intaccarono il 9% della copertura forestale radioattiva fra Russia, Bielorussia e Ucraina[9].

Referenze

    1. The New York Times, 2020 – Ukraine Battles Forests Fires Near Chernobyl.
    2. Evening Standard, 2020 – Forest fire near Chernobyl increases radiation levels.
    3. Steinhauser G., Brandl A. & Johnson T. E., 2014. Comparison of the Chernobyl and Fukushima nuclear accidents: a review. Science of the Total Environment 470–471 pp. 800–817. DOI: 10.1016/j.scitotenv.2013.10.029.
    4. Sali D. et al., 1996. Cancer consequences of the Chernobyl accident in Europe outside the former USSR: a review. International Journal of Cancer 67(3) pp. 343-352. DOI: 10.1002/(SICI)1097-0215(19960729)67:3<343::AID-IJC7>3.0.CO;2-R.
    5. Abc News, 2020 – Firefighters tackle forest fires near Chernobyl that caused radiation levels to rise.
    6. Science Alert, 2018. 32 Years On, This Is How Life Thrives in The Radioactive Chernobyl Zone.
    7. New Straits Times, 2020 – Forest Spike as Forest Fire Rages.
    8. Science Alert, 2019 – First Drone Survey of Chernobyl’s ‘Red Forest’ Reveals Staggering Radioactive Hotspots.
    9. Evangeliou N. et al., 2014 Wildfires in Chernobyl-contaminated forests and risks to the population and the environment: A new nuclear disaster about to happen? Environment International. 73 pp. 346-358. DOI: 10.1016/j.envint.2014.08.012
    10. Fondazione Umberto Veronesi, 2019 – Tumori: in Europa previsti 1,4 milioni di decessi nel 2019.
Articoli correlati
Commenta