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È possibile invertire l’invecchiamento?

A chi non piacerebbe invertire l’invecchiamento? Non è detto che sia fantascienza, dato che le ricerche in tal senso cominciano a dare degli interessanti risvolti. Nell’ultimo secolo, l’aspettativa di vita si è enormemente allungata. Il merito spetta alle moderne tecnologie, alle cure mediche all’avanguardia e alle attente misure sanitarie adoperate dai paesi più sviluppati. Ma con l’aumento della longevità, ha subito un’impennata anche la probabilità di sviluppare malattie correlate all’avanzamento dell’età, come le patologie cardiache, i disordini neurodegenerativi e il cancro.

Questo perché l’organismo umano, i suoi tessuti, organi e cellule, col tempo, iniziano a risentire di alcuni malfunzionamenti e i tessuti incorrono a un inevitabile deterioramento. Ecco perché sarebbe bello poter disporre di una fonte dell’eterna giovinezza, che ci salvi da questo inesorabile destino.

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Ad oggi, sebbene l’immortalità sia ancora unicamente relegata alla mitologia e alla fantascienza, sembra tutt’altro che lontana la possibilità di prolungare ulteriormente la durata della vita dell’uomo, limitando, se non sopprimendo del tutto, gli “effetti collaterali” causati dall’invecchiamento. Infatti, alcune ricerche pioniere nel campo del ringiovanimento cellulare e della medicina rigenerativa ci consentono di sperare in un futuro in cui invecchiare non sarà più associato al deterioramento del fisico e al peggioramento delle condizioni di vita.

Da cosa dipende l’invecchiamento?

In ogni cellula è presente una sorta di orologio biologico, che scansiona il tempo dell’organismo a cui appartiene. Questo meccanismo dipende dall’azione che l’epigenetica esercita sul genoma.

Con il termine epigenetica si intende una serie di modificazioni chimiche e strutturali che avvengono sul DNA e che influenzano l’espressione genica di una cellula, senza alterarne la sequenza nucleotidica. Tra di esse, le principali sono le metilazioni, le acetilazioni e le fosforilazioni, insieme ad altre modificazioni istoniche e al rimodellamento della cromatina. Queste modificazioni subiscono graduali cambiamenti durante tutto il corso della vita di un organismo. Per cui dallo stato epigenetico del genoma di una cellula non si risale all’anzianità di questa, bensì si traggono importanti informazioni sull’età dell’organismo cui appartiene[1].

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In particolare, è rilevante nella stima dell’età cronologica di un individuo la frequenza di nucleotidi metilati presenti nel genoma di una cellula. È stato, infatti, recentemente messo a punto un algoritmo che si basa proprio sul pattern di metilazione della sequenza di DNA nelle cellule umane[2].

Nello specifico, i ricercatori hanno riscontrato che le metilazioni hanno maggiore frequenza in alcuni specifici siti CG (regioni genomiche in cui la citosina precede la guanina). Perciò, si è deciso di focalizzare l’attenzione proprio in queste aree, considerate come una sorta di biomarcatori dell’età[1, 2, 3].

Tale evidenza dimostra che l’avanzare dell’età è un meccanismo dotato di plasticità, che corrisponde, per lo meno in parte, a precise “firme” epigenetiche. Riuscendo dunque a tenere sotto controllo le suddette modificazioni, in futuro, forse sarà possibile ritardare o addirittura invertire l’invecchiamento.

Invertire l’invecchiamento con la Riprogrammazione

Sembra fantascienza, ma pare che i ricercatori del Salk Institute di San Diego, capitanate dal prof. Belmonte, abbiano trovato un “elisir di lunga vita”, in grado di fare qualcosa di più che prevenire semplicemente la comparsa dei segni del tempo. Sarebbe infatti capace addirittura di invertire l’invecchiamento, finora considerato un processo unidirezionale[4].

Ciò è stato possibile grazie alla tecnica della Riprogrammazione, un meccanismo in grado di indurre i cambiamenti epigenetici necessari ad annullare le modificazioni che si verificano sul genoma con il trascorrere del tempo.

Tramite la somministrazione di alcuni fattori di trascrizione (Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc, detti anche fattori OSKM) è possibile eliminare i segni del differenziamento a cui le cellule vanno incontro durante lo sviluppo per generare i vari tessuti, organi e strutture corporee, riportandole a uno stato di staminalità. Perciò, la Riprogrammazione consente, almeno a livello teorico, di invertire il meccanismo di specificazione, riportando le cellule a una condizione più “primitiva”, cioè a prima che fossero apportate le modificazioni epigenetiche che seguono l’avanzare dell’età. In effetti, le cellule riprogrammate appaiono fenotipicamente più giovani.

Tale tecnica viene comunemente impiegata per ottenere induced Pluripotent Stem Cells (iPSC), cioè cellule staminali pluripotenti indotte a partire da tessuti somatici. Ma, ai fini della ricerca condotta dai ricercatori del Salk Institute, non ci si poteva limitare a ciò: bisognava eseguirla su di un organismo animale in toto. Pertanto, la Riprogrammazione ha dovuto essere solo parziale, dal momento che si volevano eliminare solo i segni epigenetici dell’invecchiamento, mantenendo però, l’identità cellulare dei vari tessuti[5].

Sperimentazione

La pratica ha previsto l’impiego di alcuni topi di laboratorio affetti da progeria, cioè una patologia provocata da una mutazione genica, che causa un invecchiamento precoce nell’individuo che ne è affetto. Questo disturbo provoca danni al DNA, deregolazione dei marcatori epigenetici e disfunzioni agli organi, con conseguente morte precoce. Fornendo loro uno specifico cocktail di fattori in grado di invertire l’invecchiamento, i topi ritornavano attivi e ringiovaniti, tanto nell’aspetto esteriore, quanto nell’attività degli organi interni[4].

Effetti indesiderati

Tuttavia, va anche considerato il rovescio della medaglia: dal momento che il trattamento era stato piuttosto aggressivo, dopo 3-4 giorni da questo, tutti i topi sono morti per malfunzionamento cellulare o per sviluppo di tumori. Ciò dimostra che la Riprogrammazione, seppur efficace, non era stata così benefica per la salute dei soggetti, vittime di una sorta di “overdose di giovinezza”, come è stata definita dallo stesso prof. Belmonte.

Miglioramento della pratica

Studi successivi hanno mirato a ridurre l’invasività del trattamento, al fine di evitare la morte dei soggetti sperimentali, pochi giorni dopo la terapia. Si è ipotizzato che una minore espressione dei fattori OSKM, potesse risultare meno pesante e consentisse, così, di ridurre il rischio di insorgenza di tumori.

I topi impiegati nella sperimentazione erano già stati ingegnerizzati per sintetizzare in autonomia una grande quantità di copie dei geni codificanti per questi fattori. Dunque, si trattava solo di indurne l’espressione, a intermittenza, ossia ricorsivamente, per brevi periodi di tempo, controllando così la quantità di espressione genica dei fattori di Riprogrammazione. Quest’ultimo aspetto è stato reso possibile grazie alla somministrazione di un farmaco, la doxiciclina: solo quando fornita, viene attivata la trascrizione dei fattori OSKM[5].

Risultati

Fornendo l’acqua con la doxiciclina solo per due giorni a settimana, la Riprogrammazione poteva avvenire con successo, ma per nessuno dei soggetti la pratica risultava fatale: i soggetti apparivano attivi e ringiovaniti; milza e reni funzionavano più efficientemente; il cuore pompava il sangue con più vigore; e la longevità di tutti gli individui sottoposti al trattamento è aumentata del 30%. Un completo successo.

Gli studi erano stati eseguiti solo su topi affetti da progeria, in cui il processo di invecchiamento è accelerato. È stato perciò necessario eseguire la pratica anche su topi wild type, cioè non affetti da alcun tipo di patologia e che quindi, sono soggetti all’influenza dell’invecchiamento fisiologico naturale.

Il risultato è stato che l’induzione ciclica dei fattori della Riprogrammazione ha portato benefici alle capacità rigenerative di pancreas e muscoli. Tale esito ha dimostrato che il trattamento è in grado di apportare miglioramenti alla qualità della vita in età avanzata e che questi sono attribuibili al ringiovanimento cellulare, rivelatosi quindi, anche funzionale e non solo estetico. L’output innovativo di questa ricerca è stato quello di produrre il primo organismo modello vivente a cui sia stata incrementata la longevità[5].

Inutile dire che i roditori mostrano notevoli differenze rispetto agli esseri umani. Ecco perchè, per questi ultimi, la strada verso il ringiovanimento sarà ancora lunga e incidentata. Tuttavia, questi risultati ci permettono di essere positivi per i progressi futuri nel campo del ringiovanimento tissutale.

Ulteriori ricerche di successo

Invertire l’invecchiamento muscolare

Successive sperimentazioni hanno permesso agli scienziati di ottenere risultati significativi nel miglioramento degli aspetti più degenerativi che caratterizzano l’avanzare dell’età. In particolar modo, sono stati effettuati numerosi studi nell’ambito della progressiva perdita di massa muscolare, la sarcopenia[6].

Con l’avanzare dell’età, le staminali deputate alla rigenerazione del tessuto muscolare (cellule satelliti) mutano da reversibilmente quiescenti a irreversibilmente senescenti.

Normalmente, le cellule satelliti dei muscoli scheletrici vanno incontro a un basso tasso di turnover, ragion per cui si trovano prevalentemente in uno stato di quiescenza, cioè si dividono molto poco. Tuttavia, in caso di danno muscolare, queste possono riattivarsi e iniziare a proliferare, per portare alla riparazione del tessuto.

Le cellule satelliti subiscono però delle variazioni intrinseche procedendo con l’invecchiamento biologico dell’organismo di cui fanno parte. Ciò le induce a entrare sempre di più in uno stato di pre-senescenza, riducendone l’attivazione, la proliferazione, l’auto-rinnovamento e inficiando così, la rigenerazione muscolare. Tale condizione sembra essere dovuta alla de-repressione di un gene codificante per un regolatore della senescenza cellulare, il p16INK4a.

Tramite trattamenti specifici, che impediscano l’attivazione trascrizionale di questo fattore, è stato possibile rinvigorire le cellule staminali muscolari per ripristinare la rigenerazione tissutale, anche in età avanzata.

invertire invecchiamento
Effetti della sperimentazione per il ringiovanimento muscolare: si assiste ad un’inversione del processo di perdita muscolare.

Invertire l’invecchiamento tramite trattamento ormonale

Nel 2019 è stato elaborato un particolare trattamento che ha previsto la somministrazione ad alcuni volontari, per un anno intero, di un cocktail composto da tre sostanze: ormone della crescita, metformina e deidroepiandrosterone (DHEA). Questi ultimi 2 sono farmaci antidiabetici molto comuni, impiegati per contrastare i possibili effetti collaterali dell’ormone della crescita, il quale è un noto promotore del diabete.

Anche in questo caso, i ricercatori hanno assistito a una vera e propria inversione del processo di invecchiamento. Infatti, si è assistito a un complessivo ringiovanimento dei tessuti[7].

Una delle possibili applicazioni terapeutiche di questa scoperta, è il ripristino della funzionalità del timo, il cui ruolo è quello di portare a maturazione i linfociti T del sistema immunitario. Il timo, di fatto, inizia gradualmente a restringersi già dopo la pubertà, riducendo la propria attività. I risultati ottenuti da tali sperimentazioni hanno dimostrato che le cellule del sangue dei soggetti a cui è stato fornito il trattamento, apparivano ringiovanite e in migliore stato proliferativo.

Tuttavia, restano molti gli interrogativi circa la validità della sperimentazione ormonale, dal momento che lo studio è stato effettuato solo su un piccolo campione. Sarebbero necessarie, infatti, maggiori evidenze statistiche per poter confermare i risultati.

Conclusioni

Queste promettenti ricerche circa l’impiego della tecnica della Riprogrammazione e dei trattamenti ormonali, al fine del ringiovanimento tissutale, introducono un valido punto di partenza per ipotizzare un futuro in cui sia possibile vivere più a lungo, migliorando al contempo, le condizioni di vita che caratterizzano l’invecchiamento cronologico.

Referenze

  1. Gibbs WW- Biomarkers and ageing: The clock-watcher – Nature. 2014 Apr 10;508(7495):168-70.
  2. Horvath S – DNA methylation age of human tissues and cell types | Genome Biology | Full Text (biomedcentral.com) – Genome Biology. 2013.
  3. Hannum G et Al – Genome-wide methylation profiles reveal quantitative views of human aging rates – PubMed (nih.gov) – Molecular Cell. 2013.
  4. Hayasaki E – Editing the epigenome, which turns our genes on and off, could be the “elixir of life” – MIT Technology Review.
  5. Ocampo A et Al  In vivo amelioration of age-associated hallmarks by partial reprogramming – Cell. 2016 Dec 15;167(7):1719-1733.e12.
  6. Li M, Belmonte JCI – Ageing: Genetic rejuvenation of old muscle – Nature. 2014 Feb 20;506(7488):304-5
  7. Abbot A – First hint that body’s ‘biological age’ can be reversed – Nature. 2019 Sep;573(7773):173.
  8. Gregory M et Al – Reversal of epigenetic aging and immunosenescent trends in humans – PubMed (nih.gov) – Ageing Cell. 2019.
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