Sono considerati insetti impollinatori (o insetti pronubi) tutti quegli insetti che trasportano polline sul loro corpo e che, muovendosi di fiore in fiore, garantiscono l’impollinazione.
L’impollinazione è un importante passaggio del processo riproduttivo delle piante e consiste appunto nel trasporto del polline dalla parte maschile del fiore (stame) alla parte femminile (pistillo). Questo trasporto può essere mediato da diversi agenti, come aria, acqua o altri essere viventi. Se in particolare sono coinvolti questi ultimi, si parla di impollinazione zoofila, di cui i principali responsabili sono sicuramente gli insetti. L’impollinazione è però anche un importante servizio ecosistemico, ossia fa parte di quei “benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano” (Millennium Ecosystem Assessment (MA), 2005); infatti, è tramite l’impollinazione che può avvenire la fecondazione e successivamente, nelle angiosperme, la produzione dei frutti, molti dei quali vengono consumati dall’uomo.
Quali sono gli insetti impollinatori?
Gli insetti (classe Insecta) sono il raggruppamento animale più popoloso, data la stima di oltre 1 milione di specie descritte. In questa immensa diversità troviamo anche la maggior parte degli animali impollinatori. Gli insetti non sono però gli unici: altri importanti animali impollinatori sono sicuramente i pipistrelli e i colibrì, soprattutto in ambienti temperati/tropicali; non mancano poi anche esempi di rettili o altri animali, che tuttavia costituiscono casi rari e molto isolati.
I gruppi principali di insetti impollinatori sono:
- imenotteri;
- ditteri;
- lepidotteri;
- coleotteri.
Esistono poi insetti impollinatori appartenenti anche ad altri ordini, come ad esempio tisanotteri ed emitteri. In questi casi però, non si conoscono più di un migliaio di specie impollinatrici per ciascun gruppo[1].
Imenotteri
Tra gli imenotteri si trovano gli insetti pronubi più iconici: le api, ma anche formiche e vespe. Attualmente, si conoscono circa 70 000 specie di imenotteri impollinatori. Di queste, circa 20 000 sono specie di api, che costituiscono quindi circa il (solo) 10% di tutta la diversità di impollinatori animali: nonostante siano gli insetti impollinatori più conosciuti, le api non sono i più abbondanti in termini di numero di specie[1].
Formiche e vespe
Le formiche (famiglia Formicidae), nonostante la loro grande biodiversità e le loro laboriose attività sulle piante, non sono considerate efficaci impollinatrici. Non è escluso comunque che, per alcune piante, esse possano contribuire al movimento del polline; tuttavia, molto raramente esse ne rappresentano il principale veicolo.
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Tra le vespe (superfamiglia Vespoidea), alcuni gruppi visitano i fiori e possono dunque contribuire all’impollinazione. Un esempio è rappresentato dalle cosiddette vespe polliniche (sottofamiglia Masarinae; pollen wasp in inglese): questi insetti nutrono le proprie larve con polline e nettare e abitano le regioni aride di Africa e America. Un altro esempio molto particolare di impollinazione da parte di vespe è quello rappresentato dalla pianta del fico (Ficus spp.) e dalle vespe del fico (fig wasp in inglese). Queste vespe, appartenenti al gruppo Chalcidoidea, depositano le uova all’interno dei siconi, ossia le infiorescenze che si trovano nel fico; le larve maturano così all’interno di queste infiorescenze. Le femmine, una volta adulte e fecondate dai maschi, volano fuori dall’infiorescenza, sporcandosi di polline, alla ricerca di una nuova infiorescenza dove depositare le proprie uova e il polline.
Api
La maggior parte degli imenotteri appartenenti alla superfamiglia Apoidea, come api e bombi, dipendono dalle piante dal punto di vista della nutrizione. Infatti, questi insetti si nutrono di polline e nettare: il primo è fonte di proteine, lipidi, minerali e vitamine, mentre il secondo è ricco in zuccheri.
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In generale, gli apoidei presentano un corpo ricoperto da una peluria più o meno densa; una maggior pelosità, come quella dei bombi (genere Bombus), è connessa ad una più efficace raccolta del polline. Gli individui femminili di questi insetti presentano le zampe posteriori (3° paio) particolarmente adattate alla raccolta del polline; si individuano in particolare due strutture: la corbicula (o cestella) e la scopa. La corbicula si trova sulla parte interna del terzo paio di zampe e presenta delle setole tra le quali viene intrappolato il polline; la scopa, sempre sulle zampe posteriori, è invece costituita da setole fitte e viene usata dall’insetto per pulirsi dal polline accumulato sul resto del corpo.

La pelosità non è però l’unico fattore da tenere in considerazione per valutare l’efficacia di impollinazione di un insetto: altri elementi importanti sono la frequenza di visita e il tipo di visita del fiore. Un efficiente impollinatore deve infatti entrare in contatto con le strutture riproduttive del fiore affinché l’impollinazione possa avvenire con successo. Alcuni insetti possono nutrirsi bucando la corolla ed evitando quindi le strutture riproduttive del fiore: in questo caso, il nettare viene raggiunto ma non vi è però trasporto di polline. Inoltre, un altro importante elemento è la fedeltà, ossia la frequenza con cui un insetto, nei suoi viaggi di foraggiamento, visita fiori della stessa specie. Infatti, se un insetto visitasse sempre fiori diversi, il polline verrebbe trasportato su fiori non conspecifici e dunque non potrebbe essere considerato un efficace impollinatore[1-3].
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Ditteri
Tra i quattro gruppi principali di insetti impollinatori, i ditteri sono i meno rappresentati; si stima infatti che nell’impollinazione siano coinvolte circa 50 000 specie[1].
I ditteri visitano i fiori per svariati motivi: alcuni si nutrono di nettare e polline, alcuni sfruttano i fiori come piattaforme per l’accoppiamento, mentre altri, nelle regioni più fredde, utilizzano i fiori per accumulare calore corporeo.
La famiglia di ditteri nella quale troviamo il maggior numero di impollinatori è sicuramente quella dei sirfidi (Sirphidae). Questi insetti imitano la colorazione degli imenotteri, ossia a bande alternate gialle e nere, in un meccanismo noto come mimetismo batesiano; uno degli esempi più comuni in Italia di sirfide impollinatore è rappresentato dalla specie Episyrphus balteatus. I sirfidi sono attualmente oggetto di studi nella valutazione della loro efficacia come impollinatori sia di piante selvatiche che coltivate. In molti ambienti delle alte latitudini la loro importanza può essere sottostimata o non ancora completamente chiara[4].
Un’altra famiglia di ditteri strettamente legata ai fiori è quella dei bombilidi (Bombyliidae), che si nutrono di polline e nettare e imitano incredibilmente forme e comportamenti di api e bombi[1].
Lepidotteri
Quando si parla di numero di specie di insetti impollinatori, i lepidotteri vincono a mani basse, con oltre 140 000 specie coinvolte nei processi di impollinazione. Di queste, circa 123 000 sono le cosiddette falene (gruppo Heterocera)[1].
Nonostante questa sbalorditiva diversità, le falene sono ancora poco studiate e, in generale nell’ambito dei lepidotteri come impollinatori, c’è ancora molto di cui siamo all’oscuro. Quasi tutti i lepidotteri, nella loro fase adulta (non da bruchi), si nutrono di liquidi zuccherini, tra cui il nettare, che raggiungono grazie alla spiritromba. Questo è il nome dell’apparato boccale succhiante di questi insetti, noto anche come proboscide per la sua lunghezza in confronto alle dimensioni dell’animale. La spiritromba è un esempio di coevoluzione: i fiori che presentano i depositi di nettare (nettarii) sul fondo di una profonda corolla si assicurano l’impollinazione da parte dei lepidotteri, proteggendo il nettare da eventuali insetti opportunisti non pronubi. Le farfalle del genere Heliconius sono state studiate non solo per gli incredibili casi di mimetismo batesiano e mulleriano, ma anche perché si nutrono di polline[1, 5].
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Coleotteri
Tra i coleotteri, si stimano oltre 70 000 specie di impollinatori. Si ritiene che i primi insetti pronubi probabilmente appartenessero a questo ordine.
I coleotteri visitano i fiori sia per nutrirsi che per accoppiarsi. Tuttavia, essi non posseggono un apparato boccale succhiante e il loro corpo non è ricoperto generalmente da peli; questo mette in discussione la loro efficacia come impollinatori, soprattutto in ambienti dove la diversità di api è molto alta. Alcuni dei coleotteri che visitano regolarmente i fiori presentano comunque degli adattamenti per favorire il consumo di nettare e di polline, come l’allungamento delle strutture della bocca e della parte anteriore del corpo. L’argomento è ancora poco studiato e ci sono pochi studi sulla loro abilità di raccogliere e trasportare il nettare[1, 6].

Perdita di insetti impollinatori
Da circa diecimila anni, data a cui si fa risalire la nascita dell’agricoltura, l’uomo sta avendo sempre un maggior impatto sul Pianeta. Questi effetti si sono ripercossi nella vita di tutti i giorni: cambiamento climatico, esaurimento delle fonti energetiche di origine fossile, aumento dei livelli di inquinamento e via dicendo.
Spesso passa però inosservato un dato alquanto allarmante: negli ultimi secoli, il tasso di estinzione degli esseri viventi risulta essere fino a 100 volte superiore rispetto ai naturali ritmi di estinzione[8].A questa impennata del tasso di estinzione è anche stato assegnato un nome, estinzione dell’Antropocene, e sarà, con ogni probabilità, la sesta estinzione di massa nella storia del nostro Pianeta. Come si evince dall’epiteto “di massa”, questa estinzione non riguarda particolari gruppi di esseri viventi, ma la biodiversità in generale. Tuttavia, per l’argomento considerato, verranno presentati i dati relativi agli insetti e, in particolare, agli imenotteri. Essi costituiscono infatti il gruppo principale di impollinatori e quelli maggiormente coinvolti nell’ambito agricolo[7-9].
Un esempio lampante del declino del numero di insetti, sebbene non sia l’unico, è stato dato da un lavoro condotto sulle aree protette in Germania[10]: sebbene tali aree avessero un impatto antropico in qualche modo limitato, lo studio ha concluso che negli ultimi 27 anni si è osservata comunque una perdita di biomassa di insetti volanti di circa il 75% (fig. 3)!
La riduzione delle popolazioni non si traduce solo in una ridotta abbondanza della specie, ma anche nella contrazione del suo range, dato che essa è rappresentata da un numero minore di individui. L’uomo è il principale responsabile di questo declino, sia direttamente (ad esempio con la deforestazione, la crescente urbanizzazione e l’utilizzo di pesticidi) che indirettamente (l’uomo è la causa principale del cambiamento climatico).
Il declino degli insetti non è omogeneo in tutti gli ecosistemi e, sorprendentemente, in molti ambienti i motivi di questo declino sono ancora poco compresi[12, 13].
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Cause della perdita di impollinatori
Le cause principali del declino degli insetti possono essere ricondotte al principio generale del cambiamento dell’uso del suolo, che si traduce nella degradazione degli habitat naturali. Oltre a questo, anche l’inquinamento e il cambiamento climatico giocano un ruolo chiave in questa sesta estinzione di massa.
Degradazione dell’habitat
Tutte le attività antropiche ricadono in qualche modo nei cambiamenti dell’uso del suolo. In particolare, tra i disturbi causati alla fauna impollinatrice, possiamo distinguere a grandi linee l’urbanizzazione, ossia la sottrazione di habitat naturale in favore degli habitat urbani, e l’agricoltura, ossia la sottrazione di habitat naturale a favore delle coltivazioni. In entrambi i casi, gli elementi caratteristici dell’ecosistema presente vengono alterati. Queste, e altre attività umane, hanno come effetto la frammentazione e la perdita di habitat.
Urbanizzazione
Viviamo un’epoca in cui il progresso tecnologico ha permesso un gran miglioramento della qualità della vita, allungandone l’aspettativa. Questo è dimostrato dal boom demografico che si sta verificando dal 1900: le previsioni stimano addirittura che la popolazione mondiale possa toccare i 10 milioni entro la fine del secolo!
Parallelamente, anche le città si stanno espandendo per contenere questo crescente numero di persone, ovviamente a scapito degli ambienti naturali. Attualmente, circa il 55% della popolazione umana vive in ambienti urbani, porzione che aumenterà ad uno stimato 68% entro metà secolo. I Paesi in via di sviluppo, specialmente in Asia e Africa, saranno le principali protagoniste di questa crescente urbanizzazione[14, 15].
L’inesorabile espansione delle città porta con sé la necessità di ripensare questi spazi in un’ottica favorevole alla biodiversità, non solo di insetti. Certamente, la riduzione di habitat naturale in favore di ambienti fortemente antropizzati ha un impatto deleterio sugli esseri viventi; tuttavia, se ben sfruttati, gli ambienti urbani possono rivelarsi appetibili sia alla flora che alla fauna.
La caratteristica principale degli ambienti urbani è quella di presentare piccole isole verdi separate che creano delle patch in un habitat eterogeneo. Questa diversità può favorire la permanenza della fauna impollinatrice, in quanto le molteplici aree verdi, possedendo caratteristiche diverse, possono accontentare esigenze di un ampio range di insetti. In generale, tuttavia, nelle aree urbane si è trovata una predominanza di impollinatori generalisti, ossia di quei gruppi che non hanno particolari esigenze ma che sanno adattarsi a diversi scenari ambientali.
Un elemento fondamentale resta comunque la disponibilità di fiori: una città più verde e con una grande abbondanza fiorale potrà sicuramente attirare e sostenere una comunità di impollinatori più sana e diversa[16].
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Agricoltura
Il modo con cui vengono gestiti gli spazi dedicati all’agricoltura è profondamente cambiato durante il XX secolo. Durante la prima metà del Novecento era ancora utilizzata la pratica della rotazione dei campi: questo permetteva una costante presenza di terreno incolto che favoriva la flora spontanea e presentava habitat idonei alla fauna locale.
L’agricoltura moderna invece prevede l’impiego di monocolture, in cui gli spazi agricoli sono occupati da una singola coltivazione che rende l’ambiente omogeneizzato e semplificato all’estremo; con questo tipo di coltura, infatti, un campo non presenta una sufficiente diversità vegetale da renderlo idoneo per gli insetti impollinatori.
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Un altro elemento che è cambiato rispetto ai primi anni del Novecento è la dimensione dei campi. Fino all’introduzione di macchinari e tecnologie nell’agricoltura, infatti, i paesaggi si presentavano solitamente con un alternarsi di piccoli campi coltivati, zone brulle o con alberi da frutto e porzioni di natura incontaminata. Questo è (era) uno scenario ideale per la fauna impollinatrice, in quanto essa poteva agilmente spostarsi tra i vari ambienti per soddisfare le proprie necessità.
Oggi, invece, i campi hanno solitamente dimensioni ragguardevoli, in quanto l’avvento dei macchinari ha reso possibile, e più efficiente, lo sfruttamento di ampi terreni coltivati. Questo fenomeno, ancora una volta, omogenizza l’ambiente: insetti e altri animali trovano con meno facilità le condizioni favorevoli all’interno di questi paesaggi quasi lunari[13, 17].
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Inquinamento e pesticidi
L’utilizzo dei pesticidi è un tema strettamente connesso con l’agricoltura, quasi che oggi non riusciamo a pensare ad un’agricoltura che non impieghi pesticidi. L’utilizzo di pesticidi, fertilizzanti e altri prodotti di origine sintetica iniziò nella seconda metà del secolo scorso e prende il nome di rivoluzione verde.
La comunità di insetti impollinatori è affetta però negativamente dall’utilizzo sia dei pesticidi che degli erbicidi. I pesticidi, in particolare gli insetticidi, sono utilizzati per uccidere gli insetti dannosi per le coltivazioni, ma possono anche avere effetti letali sugli impollinatori. Questo effetto si osserva soprattutto se gli insetticidi utilizzati sono aspecifici (ossia efficaci su un ampio spettro di insetti): l’esempio più famoso è quello del DDT.
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Oltre agli effetti letali, molti pesticidi possono avere anche degli effetti subletali. Ciò significa che, talvolta, i pesticidi non uccidono direttamente l’insetto ma ne riducono la fitness riproduttiva, le capacità sensoriali e/o quelle motorie.
I composti attualmente maggiormente al centro del dibattito pubblico-scientifico sono i neonicotinoidi. Questi insetticidi sono costituiti da molecole simili alla nicotina e agiscono come insetticidi neurotossici (ossia con effetto sulle funzioni del sistema nervoso). I neonicotinoidi sembrano essere la causa principale della cosiddetta Colony Collapse Disorder, il fenomeno per cui le api operaie non adempiono più ai loro compiti e abbandonano l’alveare con all’interno la regina e le larve. Solo recentemente si stanno studiando accuratamente i numerosi effetti che i neonicotinoidi hanno sugli insetti, ma si sospetta che, laddove vengono impiegati, le api soffrano maggiormente degli attacchi di parassiti, come l’acaro Varroa destructor[17, 18].
A causa di questi effetti negativi, i pesticidi contenenti queste sostanze sono stati banditi in tutti i Paesi membri UE già nel 2018. Tuttavia, con l’uscita del Regno Unito dall’UE, è stato approvato l’utilizzo di prodotti contenenti neonicotinoidi nel Paese, fatto che ha sollevato il malcontento di apicoltori e scienziati [19, 20].
Anche gli erbicidi, però, possono avere un impatto sugli impollinatori. Questi prodotti, diretti contro le piante che invadono l’area coltivata (volgarmente dette erbacce), possono infatti diffondersi nelle regioni limitrofe alle aree agricole e colpire le piante a fiore selvatiche. Questo fenomeno riduce le risorse fiorali di cui gli insetti impollinatori necessitano.
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Cambiamento climatico
Sebbene il cambiamento climatico non sia elencato tra i principali fattori responsabili del declino degli insetti, sicuramente i cambiamenti delle temperature e dei regimi di pioggia hanno un impatto sulle comunità di impollinatori.
Un fenomeno che non affligge solo gli insetti è lo spostamento latitudinale e altitudinale degli areali di molte specie. Le temperature più calde, in altri termini, spingono alcune specie a muoversi verso i poli o a salire di quota per restare in una fascia climatica a loro idonea. Questo può avere diverse conseguenze a livello ecologico, come per esempio la riduzione degli areali delle specie oppure la sovrapposizione degli areali di specie che prima non erano a contatto. In generale, comunque, lo spostamento genera possibili competizioni per le risorse.
Un fenomeno che riguarda più da vicino il mondo degli insetti impollinatori è il possibile disaccoppiamento tra i periodi di fioritura e i periodi di volo degli insetti. Infatti, le piante, come conseguenza del cambiamento climatico, potrebbero fiorire anticipatamente o posticipatamente rispetto al solito; può quindi accadere che alcune specie impollinatrici escano dal periodo di letargo dell’inverno ma non trovino le risorse fiorali necessarie[16].
Valore economico dell’impollinazione entomofila
L’impollinazione è un processo fondamentale nella riproduzione delle piante e pertanto risulta essenziale nella produzione dei frutti. Risulta quindi facilmente intuibile come l’impollinazione abbia un grosso valore economico in ambito alimentare.
Attualmente, nei Paesi sviluppati, dove si fa un gran consumo di derivati della farina, riso e carne di allevamento, il maggior apporto calorico è dato da coltivazioni che non richiedono un’impollinazione animale, come patate e cereali. Tuttavia, l’impollinazione è strettamente necessaria per tutti quei cibi che apportano alla nostra dieta la maggior parte dei micronutrienti (come vitamine e altri composti organici): una stima del 2021 riporta il valore del servizio ecosistemico dell’impollinazione come superiore ai 200 miliardi di dollari[23]! Una delle coltivazioni che maggiormente dipende dall’impollinazione animale è ad esempio il caffè, da cui si ricava una tra le bevande più consumate al mondo.
Tra gli insetti impollinatori, l’ape da miele (Apis mellifera) è il vettore più economico e maggiormente utilizzato nelle monoculture. L’ape da miele è stata largamente introdotta in quasi tutte le parti del mondo, spesso con conseguenze negative sugli impollinatori autoctoni.

Conseguenze della perdita di impollinatori
Bisogna ricordare che, approssimativamente, 2 specie di animali conosciute su 3 sono insetti; la perdita di questi gruppi avrà dunque probabilmente un ruolo importante nel delineare la biosfera del prossimo futuro, con un effetto chiamato estinzioni a cascata: brevemente, l’estinzione di alcune specie può, in tempi anche piuttosto lunghi, portare a sua volta all’estinzione di altre gruppi di animali o piante.
Gli ecosistemi risentirebbero enormemente della perdita di impollinatori poiché, come detto precedentemente, gran parte delle piante a fiore dipendono dagli insetti per la loro riproduzione. Gli insetti sono anche predatori e prede: la loro scomparsa destabilizzerebbe indubbiamente le reti trofiche.
Se scomparissero tutti gli impollinatori, come già anticipato, non si avrebbe una situazione di carestia, bensì si avrebbe un problema di qualità della dieta. Verrebbero infatti a mancare gli apporti di vitamine, folati e altri minerali necessari ad una sana dieta. L’assenza di impollinatori porterebbe quindi all’aumento delle malattie legate all’assenza di queste componenti dalla dieta[21, 22].
Conclusioni
Gli insetti impollinatori racchiudono una enorme biodiversità. Questa diversità li rende utili non solo al corretto funzionamento degli ecosistemi ma anche all’uomo, da cui fortemente dipende. Le sorti del pianeta dipenderanno (anche) dalle sorti della comunità impollinatrice.
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Immagine di copertina di Federico Stefanelli.