Googlando “Helicobacter pylori infezione”, “Helicobacter pylori terapia” o “Helicobacter pylori test positivo” è possibile finire su forum dove trovare informazioni, anche molto dettagliate, circa i sintomi successivi all’infezione di questo batterio e la terapia antibiotica da seguire. Continuamente, e mediante i più disparati mezzi di comunicazione, medici, ricercatori o professori universitari consigliano di non cercare in rete informazioni su sintomi e terapia riguardo una malattia evitando così di suggestionarci e quant’altro.
Quanto leggerete nelle righe successive è il tentativo di chiarire alcuni aspetti che riguardano l’infezione da Helicobacter pylori, facendolo dal mio punto di vista, quello del microbiologo clinico. Tra gli interrogativi affrontanti, proveremo a spiegare perché Helicobacter pylori sopravvive, alcune volte, agli antibiotici.
Helicobacter pylori: il batterio dalla strana forma
Solitamente i batteri sono descritti aventi morfologia a bastoncello (detti bacilli) o circolare (definiti cocchi). In effetti, non c’è nulla di scorretto, moltissimi batteri assumono una forma o l’altra. Nel caso di Helicobacter pylori (H. pylori), invece, la cellula batterica ha un aspetto elicoidale ovvero a spirale. Ad un’estremità sono presenti dei filamenti piuttosto lunghi, in quantità variabile da 2 a 6, chiamati flagelli. Quest’ultimi sono strumenti fondamentali poiché permettono ad H. pylori di muoversi in direzione della mucosa che riveste lo stomaco. Il senso di marcia è indicato da un evento chimico definito chemiotassi. Il batterio, infatti, è in grado di percepire una particolare sostanza chimica rilasciata, da punti esatti della mucosa gastrica, nell’ambiente e orientare la “rotta di navigazione” verso quell’approdo attratto dalla maggiore concentrazione della sostanza chimica in prossimità del suo punto di rilascio.
Il contributo dell’enzima ureasi alla vitalità di Helicobacter pylori
Tutti voi sapete che il pH dello stomaco è particolarmente basso (tra 1,5 e 2 su una scala di 14) e sapete, anche, quanto è utile per la digestione del cibo e per uccidere eventuali batteri ingeriti. Sì, la domanda che vi ronza nella testa è giusta, ovvero: se il pH basso dello stomaco serve anche ad eliminare i batteri, perché H. pylori sopravvive e infetta proprio lo stomaco? Molto spesso dimentichiamo che i batteri sono degli organismi viventi come noi e, al pari, possono evolvere acquisendo caratteri che favoriscono la loro sopravvivenza. Nel caso specifico, H. pylori è in grado di produrre un enzima chiamato ureasi necessario a convertire l’urea [(NH2)2CO] in ammoniaca (NH3) e anidride carbonica (CO2).
Adesso cercheremo di fare chiarezza sull’importanza dell’ureasi. Allora, l’ammoniaca è in grado di legare a sé ioni H+. Qualche riga più su abbiamo detto che il pH dello stomaco è basso e sappiamo che, in chimica, il pH è una misura della concentrazione degli ioni H+ in un liquido, quanto più basso è il valore maggiore è la quantità di questi ioni.
Ricapitolando:
- il pH dello stomaco è basso (tra 1,5 e 2) quindi la concentrazione degli ioni H+ è molto alta;
- Helicobacter pylori produce l’enzima ureasi che converte urea in ammoniaca;
- l’ammoniaca, così prodotta, lega gli ioni H+ presenti nello stomaco;
- diminuendo la quantità di ioni H+ aumenta il valore di pH generando così una condizione favorevole alla sopravvivenza di H. pylori.
Questo processo è estremamente importante per la vitalità del batterio e lo capiamo da due informazioni:
- l’enzima ureasi è prodotto in quantità molto elevate, raggiunge il 10% di tutte le proteine sintetizzate dal batterio;
- Helicobacter pylori sintetizza anche altri enzimi per produrre ammoniaca da fonti diverse dall’urea.
Quanto è diffusa l’infezione da Helicobacter pylori?
Onestamente è difficile stimare con esattezza la diffusione dell’infezione da Helicobacter pylori, aree geografiche differenti hanno valori di prevalenza molto diversi. Di norma, le latitudini del mondo che corrispondono a paesi in via di sviluppo sono contraddistinte da una tasso di prevalenza molto alto. Prendiamo ad esempio il continente africano, in molti stati oltre il 70% della popolazione ha avuto un’infezione da H. pylori; in Nigeria la prevalenza raggiunge, addirittura, l’87%. Mentre nei paesi industrializzati, le stime sulla diffusione sono molto più basse. Nell’Europa occidentale, la prevalenza è calcolata intorno al 50% o su valori inferiori nonostante eccezioni quali il Portogallo dove l’infezione da H. pylori interessa l’86,4% della popolazione. Questi numeri sembrano suggerire che condizioni socio-economiche basse costituiscono il principale fattore di rischio d’infezione.
A riguardo, Lim S.H. et al. (2013), studiando la sieroprevalenza in pazienti asintomatici per H. pylori, hanno evidenziato che nel periodo tra il 1998 e il 2011, in Corea del Sud, il numero di persone infette è diminuito in maniera sostanziale. In particolare, la capitale Seul e l’area metropolitana circostante hanno registrato la maggiore diminuzione, differentemente da altre zone della Corea del Sud a causa di uno sviluppo socio-economico inferiore. Quanto appena detto non dove sorprendere considerata la diffusione attraverso la via oro-fecale di H. pylori. Infatti, la mancanza di una rete fognaria, condizioni e pratiche igieniche al di sotto degli standard richiesti e l’impossibilità di accedere alle cure primarie sono, appunto, le condizioni socio-economiche che favoriscono la diffusione di infezioni per via oro-fecale. Nonostante ciò, i dati a disposizione indicano una trasmissione diretta uomo-uomo, differentemente da altre infezioni oro-fecali che sono trasmesse principalmente per contaminazione di cibi e bevande. La possibilità di inserire H. pylori tra i patogeni responsabili di infezioni alimentari è un argomento molto dibattuto e, attualmente, non vicino alla conclusione.
Cosa dobbiamo aspettarci dall’infezione di Helicobacter pylori?
In altre parole, una volta infettati da H. pylori a quale tipo di malattia andiamo incontro? Come accade per altri patogeni, l’uomo incontra il batterio in età adolescenziale e, solamente, dopo diversi anni sviluppa sintomi evidenti d’infezione. La percentuale di pazienti con sintomatologia manifesta corrisponde circa al 10-20% di tutte le persone positive al test per H. pylori. In effetti, il binomio uomo-H. pylori non sempre equivale a malattia. Con questo non si vuole mettere in discussione il nesso causale tra H. pylori e l’ulcera peptica o la dispepsia.
La relazione di causa-effetto è ampiamente dimostrata e innegabile. Mentre alcune persone sono maggiormente suscettibili all’infezione e manifestano facilmente i sintomi correlati, altre sono in grado di superare l’infezione senza manifestare alcun sintomo. Come detto, H. pylori è responsabile di:
- ulcera peptica, definita come un’erosione della mucosa che riveste lo stomaco, penetrante il tessuto muscolare sottostante di almeno 0,5 cm, a seconda dell’area interessata è possibile distinguere tra ulcera gastrica o ulcera duodenale;
- dispepsia se non associata ad un difetto organico (ovvero ad altra patologia chiara), definita come dolore e/o fastidio ricorrente o perdurante a livello dell’area gastrica superiore, solitamente si manifesta con bruciore, vomito e sintomi simili al reflusso gastro-esofageo.
Purtroppo, H. pylori è uno di quei patogeni collegati allo sviluppo di alcune forme neoplastiche. La sola infezione non è sufficiente all’insorgenza del cancro, poiché rappresenta una causa concomitante ovvero deve aggiungersi ad una predisposizione della singola persona. Ciò nonostante, l’infezione da H. pylori rappresenta un fattore di rischio importante per lo sviluppo del tumore gastrico, di conseguenza l’eradicazione dell’infezione configura il più importante fattore di protezione.
Le forme tumorali collegate all’infezione da H. pylori sono:
- il tumore gastrico;
- il linfoma del tessuto linfoide associato alla mucosa (solitamente è citato in inglese, MALT lymphoma), una forma neoplastica molto rara.
Le ultime righe di questa sezione sono dedicate alla possibile relazione tra la sindrome da reflusso gastro-esofageo e H. pylori. Non esiste alcune legame. La letteratura scientifica è molto chiara a riguardo: H. pylori non causa il reflusso gastro-esofageo.
Come deve essere diagnosticata un’infezione da Helicobacter pylori
Nel mio viaggio tra i diversi forum, dove i pazienti “incontrano” medici alla ricerca di risposte alle loro domande, raramente (pressoché mai) ho trovato richieste di rassicurazione sull’attendibilità del risultato di un test diagnostico rispetto ad un altro (come chiarirò tra poco, esistono test di laboratorio basati su principi diversi). Personalmente considero questa situazione molto positiva poiché, in base alla mia interpretazione, è il risultato di un’ottima attività informativa, rivolta paziente, effettuata dal medico di famiglia ma, anche, da tutti i professionisti sanitari coinvolti nel percorso diagnostico.
Entrando nel campo della microbiologia clinica, i test diagnostici utilizzabili sono definiti:
- invasivi poiché prevedono un esame endoscopico-digestivo per il prelievo di frammenti di tessuto della mucosa gastrica da sottoporre, successivamente, a indagine istologica o esame colturale;
- non invasivi perché eseguibili senza l’esame endoscopico-digestivo, quali l’Urea Breath Test (UBT), anche detto test del respiro o test dell’urea, e la ricerca dell’antigene di H. pylori nelle feci.
Di routine sono utilizzati i test non invasivi, in quanto evitano di sottoporre il paziente ad una endoscopia-digestiva che può risultare molto fastidiosa. Le due tipologie di test non invasivi sono, assolutamente, equivalenti in termini di prestazioni.
Di seguito sono descritti, brevemente, i principi tecnici alla base dei test non invasivi:
- Urea Breath Test (UBT): sfrutta l’attività enzimatica dell’ureasi prodotta dal batterio, somministrando una quantità precisa di urea (marcata con un apposito “segnale”, ovvero una variante dell’atomo di Carbonio), in presenza di H. pylori, è trasformata in ammoniaca e anidride carbonica, la misura di quest’ultima (portatrice del segnale proveniente dall’urea, ovvero il carbonio “segnale”), oltre una certa soglia limite, sarà indicatrice della presenza di H. pylori;
- ricerca dell’antigene fecale di H. pylori: attraverso l’uso di anticorpi specifici sono ricercati antigeni (ovvero proteine o porzioni di esse) appartenenti alla cellula batterica che sono evacuate attraverso le feci.
A volte, i test diagnostici non invasivi sono eseguiti anche per verificare l’eradicazione dell’infezione. Per questo tipo di finalità, il paziente deve aver terminato l’assunzione della terapia antibiotica da almeno quattro settimane e l’inibitore della pompa protonica (PPI) da almeno due. Tali medicamenti, infatti, sono in grado di influenzare le performances dei test diagnostici. Un’ulteriore opzione è la ricerca degli anticorpi contro H. pylori, la cui utilità a fini diagnostici è scarsa poiché le immunoglobuline anti-Helicobacter pylori rimangono in circolo per molti anni dopo l’infezione. Solitamente sono utilizzati per studi epidemiologici.
Alcune volte, la prima terapia antibiotica fallisce
Nel mio viaggio tra i forum dove i pazienti “incontrano” i medici per dissolvere i loro dubbi, la maggior parte delle domande riguardano la terapia antibiotica: quale seguire, perché il batterio non è stato eradicato dopo il trattamento antibiotico, la terapia seguita è diversa da quella letta e consigliata in un altro forum ad un altro paziente. Cerchiamo di mettere ordine.
Il problema scaturisce dal batterio stesso. Nel 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO, World Health Organization) ha pubblicato una lista dei più importanti patogeni batterici, che rappresentano un grave problema per la salute umana poiché resistenti agli antibiotici utilizzati per combatterli. Delle tre categorie di priorità, Helicobacter pylori resistente alla claritromicina è posizionato nel secondo gruppo. Semplificando molto è possibile affermare che la claritromicina è l’antibiotico base delle strategie terapeutiche maggiormente efficaci. Quindi il problema è piuttosto evidente. Per questo motivo, sia le linee guida internazionali che italiane suggeriscono di adottare il regime antibiotico in base al livello di diffusione della resistenza alla claritromicina e, in particolari circostanze, alla diffusione della resistenza alla levofloxacina.
Già nel 2014, la Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED) riferiva che il livello di diffusione della resistenza alla claritromicina fosse stimata intorno al 30%, ben oltre il limite (pari al 20%) oltre il quale questo tipo di terapia non è efficace e, quindi, non raccomandata. Il dato è confermato anche da Fiorini G. et al. (2018), infatti il 35% dei ceppi batterici di H. pylori, isolati da 1424 pazienti, hanno evidenziato resistenza alla claritromicina. Quanto detto fino ad ora, è il motivo principale per cui, alcune volte, la terapia antibiotica contro H. pylori non funziona. Per quanto riguardo la diversificazione delle scelte terapeutiche, ovviamente, il medico deve tenere in conto anche di ulteriori informazioni, quali:
- precedenti terapie antibiotiche seguite;
- eventuali allergie agli antibiotici;
- attitudine del paziente a seguire le indicazioni mediche;
tutto questo, e altro, induce a consigliare una terapia piuttosto che un’altra. Qualsiasi scelta fatta è nel migliore interesse dei pazienti.
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