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Inalanti pneumotossici: dove si trovano e cosa causano

Tipi di inalanti pneumotossici, patologie correlate e prospettive terapeutiche

Con inalanti pneumotossici si fa riferimento a tutte quelle sostanze chimiche, organiche e inorganiche, che possono essere inconsapevolmente respirate e causare malattie respiratorie. L’esposizione a queste sostanze può avvenire in misura differente a seconda dell’ambiente in cui si vive e della propria attività professionale.

Nell’immaginario collettivo, gli inalanti tossici sono correlati a specifiche mansioni lavorative, solitamente svolte in un contesto industriale. Tuttavia, questi inalanti rappresentano solo una parte delle sostanze nocive a cui siamo esposti quotidianamente.

Le conseguenze cliniche non si fermano al solo polmone, che comunque rappresenta la sede principale di coinvolgimento essendo la porta d’ingresso per il resto dell’organismo, ma possono determinare altre patologie. Infatti, possono superare la membrana alveolo-capillare, interessando organi diversi, tra cui il midollo osseo, l’apparato urinario (vescica) e la cute. Le patologie che possono svilupparsi a carico del sistema respiratorio possono essere di tipo tumorale (tumore del polmone, mesotelioma), infiammatorie croniche (BPCO, asma bronchiale) o degenerative (come la fibrosi polmonare).

Classificazione chimica

Gli inalanti pneumotossici possono essere distinti in:

  • Composti organici volatili (VOC): si tratta, in genere, di liquidi che vaporizzano a temperatura ambiente. Fonti di questo tipo di inalanti sono molteplici, inclusi materiali di costruzione o arredi che possono rilasciare VOC anche per diverse settimane. Sono classici esempi di VOC gli alcooli (alcool etilico), contenuti nei detergenti per la pulizia degli ambienti, solventi utilizzati per le unghie, alcuni tipi di colle. I più temuti, come la formaldeide, sono ubiquitari: presenti nei prodotti per disinfezione, igiene personale e materiali edili.
  • Aerosol: si definiscono come sostanze liquide disperse in un gas. Gli inalanti di questo tipo sono contenuti negli spray, dai mille usi quotidiani (vernice, disinfettanti, deodoranti).
  • Gas: in questa categoria rientra qualsiasi sostanza chimica presente in stato aeriforme, come gli inalanti tossici che caratterizzano l’inquinamento dell’aria che respiriamo.

Inquinamento outdoor

L’inquinamento rappresenta un fattore di rischio sempre più rilevante negli ultimi anni.
Nel 2013 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC, International Agency for Research on Cancer) ha classificato l’inquinamento atmosferico come cancerogeno certo per l’uomo. Solitamente, con inquinamento outdoor ci si riferisce alla scarsa qualità dell’aria respirata quando si sta all’aperto.

Principali determinanti

I determinanti principali di questa forma di inquinamento sono rappresentati da:

  • Biossido di zolfo (SO2): molto aggressivo, prodotto per il 90% dall’attività umana e derivante dalla combustione di combustibili solidi come il carbone, da sistemi di riscaldamento domiciliare, incenerimento dei rifiuti. Le conseguenze cliniche sono riconducibili a effetti irritativi sulle vie aeree superiori (faringo-tracheiti, bronchiti). Nei soggetti suscettibili può portare a un peggioramento della funzione respiratoria o eventi infettivi in soggetti vulnerabili (ad esempio, i bambini, che hanno dei polmoni non ancora completamente maturi, o i pazienti con patologie respiratorie croniche quali asma e BPCO).
  • Ozono (O3): rientra tra gli inquinanti secondari, cioè quelli che si sviluppano a partire da molecole (innocue o meno) già presenti nell’atmosfera, come ad esempio i VOC, che reagiscono con i raggi solari. Elemento di curiosità è che la sua presenza è naturale e anzi auspicabile almeno negli strati più altri dell’atmosfera (circa a 60 km di altezza dal suolo), dove svolge un effetto barriera nei confronti degli UV e di altri elementi fisici nocivi per l’uomo. Le conseguenze cliniche sono da ricondurre a una serie di effetti molecolari sulle nostre cellule: dalla perossidazione lipidica (un fenomeno per il quale lo strato di grassi che riveste le cellule viene meno, aumentando la permeabilità della cellula e rendendola suscettibile all’apoptosi o morte cellulare) fino ad arrivare al rilascio di citochine che comportano uno stato infiammatorio locale.
  • Il particolato (PM): è una miscela di sostanze, solide e gassose, disciolte nell’aria.
    Nella fattispecie si distinguono: polveri grossolane (dimensioni superiori a 2.5 µm, come il PM10), polveri fini (diametro compreso tra 0.1 e 2.5 µm, come il PM2.5), polveri ultrafini (indicate con la sigla UPF, sono determinate dalla cristallizzazione di gas come il SO2 e O3, dal diametro tra 0.01 e 0.1 µm) e nanoparticelle (diametro inferiore a 0.1 µm, come il particolato incombusto del Diesel o DEP). Per rendere l’idea: un granello di sabbia ha le dimensioni di 0.06 mm, cioè di 60 µm!

Effetti patologici

Il destino di queste sostanze una volta respirate è strettamente correlato alle dimensioni. Le particelle più grandi (anche 10 µm) si depositano nelle vie aeree superiori (rinofaringe) mentre quelle più piccole (PM2.5 o meno) sono trasportate fino alla periferia polmonare e impattano su bronchioli o alveoli (dove avvengono gli scambi tra sangue e polmone).

Uno studio pubblicato ad aprile del 2023 su Nature indaga la correlazione tra tumori e inquinamento atmosferico, focalizzandosi sulla correlazione tra esposizione al particolato e tumori polmonari caratterizzati da specifiche mutazioni (gene EGFR). Il dato più sorprendente che emerge è che un’esposizione della durata di 3 anni può essere sufficiente affinchè si manifesti tale associazione.

Una tipologia peculiare di particolato è il DEP (particolato incombusto del Diesel), che ha dimensioni inferiori a 2 µm (può addirittura arrivare alle dimensioni di nanoparticella, cioè <0.1 µm) ed è in grado di raggiungere la profondità del tessuto polmonare. L’interesse verso questa molecola è legato alla sua facilità di produzione e all’elevata concentrazione in aree ad alta densità abitativa. Il DEP, in maniera analoga agli altri particolati, è in grado di innescare le vie metaboliche dello stress ossidativo cellulare. Ciò, specialmente nei soggetti allergici o asmatici, può indurre severe riacutizzazioni di malattia.

Potenzialmente, il DEP e altri particolati possono indurre un danno epiteliale tanto più grave e irreversibile quanto più il soggetto risulta predisposto (perché già affetto da una malattia respiratoria). Su modelli cellulari in coltura è stata osservata l’attivazione delle vie della fibrogenesi, cioè l’innesco di una serie di reazioni a cascata coadiuvate da attività enzimatiche e precedute dall’attivazione di specifici geni, che determinano la deposizione di fibrina e cioè di materiale inerme ove in precedenza c’era polmone sano.

Inquinamento indoor

Potrebbe essere sorprendente per alcuni sapere che le cose non vanno meglio se consideriamo l’aria che respiriamo negli ambienti chiusi. Infatti, il cosiddetto inquinamento indoor rappresenta in taluni casi un problema ancora più impattante rispetto a quello outdoor. In particolari contesti, solitamente nelle aree densamente popolate che usano la biomassa, è l’inquinamento indoor che provoca un innalzamento dei livelli degli inalanti tossici dell’aria atmosferica influenzando negativamente l’inquinamento outdoor: questo fenomeno è noto come inquinamento “del vicinato” o “neighborhood effect.

Passiamo oltre metà della nostra vita in ambienti chiusi, a casa, a lavoro, durante l’attività fisica e in altri momenti recreazionali. L’aria che respiriamo in questi casi, bene che vada, è la stessa dell’esterno (sebbene con proporzioni diverse dei vari contaminanti). Spesso, però, si aggiungono agenti biologici come gli allergeni comuni (acari della polvere, muffe) il cui impatto è tutt’altro che di poco conto.

Cenni di patologia: la sindrome dell’edificio malato

Caratteristica è una particolare sindrome nota come sindrome dell’edificio malato (Sick building syndrome). Si viene a instaurare nei soggetti che frequentano ambienti con alto tasso di inquinamento indoor.

I sintomi sono solitamente aspecifici, si verificano quasi subito dopo l’esposizione e cessano uscendo dall’ambiente incriminato. Può verificarsi mal di testa, irritazione oculare o disgeusia (alterazione nella percezione dei sapori).

I principali fattori antropici che peggiorano la qualità dell’aria negli edifici e potenzialmente responsabili di questa sindrome sono:

  • la ridotta efficienza energetica, responsabile di aumentate emissioni di CO2, alterato riciclo d’aria, discomfort legato alla temperatura o al tasso relativo di umidità, tutti fattori determinanti l’inquinamento indoor. Secondo un’indagine del Politecnico di Milano, il 50% degli immobili ha un’efficienza energetica collocabile tra le classi F ed E (le più basse, spesso caratterizzate dall’assenza di sistemi di areazione o il mal posizionamento degli stessi che non garantiscono il ricambio dell’aria), con un’emissione di CO2 di circa 60 kg/m2/anno. Si ritiene che la massima classe di efficienza energetica (la A) possa ridurre tali emissioni perfino del 90%.
  • La dipendenza dai combustibili fossili, che contribuiscono al rilascio di gas serra, tra i principali protagonisti del cambiamento climatico.
  • La presenza di altri fattori che possono produrre inalanti pneumotossici (prodotti per la pulizia di casa, la cottura degli alimenti, l’uso di stampanti laser, fotocopiatrici, i vari sistemi di riscaldamento).

Da qualche anno, la Finlandia sta attuando il programma di sensibilizzazione della comunità Healthy People in Healthy Premises 2018-2028, che mira a obiettivi ambiziosi, tra cui promuovere la consapevolezza dei rischi ambientali, ottimizzare sistemi energetici negli edifici pubblici, potenziare le competenze dei professionisti sanitari e migliorare la funzionalità lavorativa delle persone con intolleranza ambientale tramite specifici percorsi diagnostici e terapeutici.

Inalanti pneumotossici professionali e altri agenti sensibilizzanti

Già 10 anni fa, l’Eurostat ha dichiarato che le patologie respiratorie rappresentano circa il 20% delle malattie professionali, cioè quelle condizioni cliniche che si innescano lentamente nel tempo, strettamente correlate al tipo di lavoro svolto.

Gli inalanti classicamente associati a malattie professionali respiratorie (oncologiche, come il carcinoma polmonare o il mesotelioma pleurico, e non oncologiche, quali l’enfisema bolloso, le interstiziopatie e la BPCO) sono:

  • Polveri minerali. Le patologie che possono svilupparsi da questo tipo di esposizione rientrano nel quadro delle pneumoconiosi cioè alterazioni parenchimali irreversibili legate a distruzione di componenti del tessuto polmonare.
  • Polveri di origine vegetale, sostanze chimiche e antigeni biologici: possono essere la causa di una polmonite da ipersensibilità.
  • Sostanze ad alto e basso peso molecolare: sono quelle strettamente associate all’asma professionale. Le sostanze ad alto peso molecolare sono rappresentate da prodotti della farina (a cui vengono esposti fornai e panettieri), lattice (chi usa i guanti); quelle a basso peso molecolare sono isocianati, nichel. In questo ultimo caso il professionista maggiormente coinvolto è il parrucchiere, esposto a tinte e detergenti. Ovviamente, l’asma professionale non interessa tutti i soggetti esposti, come del resto anche le altre problematiche respiratorie, ma si manifesta in soggetti predisposti per una varietà di fattori, genetici e ambientali.

Cenni di patologia: polmonite da ipersensibilità e pneumoconiosi

Il meccanismo patogenetico della polmonite da ipersensibilità è complesso e solo in parte noto. Questo disturbo consiste in una reazione immunologica spropositata a ripetute inalazioni ad agenti di varia natura. La condizione clinica che si può sviluppare è eterogenea.

Le forme acute si sviluppano entro poche ore o giorni dall’esposizione e si manifestano clinicamente con dispnea (affanno), tosse e febbre. Le forme croniche, che conducono a fibrosi polmonare con conseguente insufficienza respiratoria, sono solitamente il risultato di un’esposizione che dura anche molti anni. Alcune di queste forme di polmonite da ipersensibilità sono correlate all’attività professionale, tanto che ad alcune di esse vengono dati nomi come, ad esempio:

  • il polmone dell’agricoltore (farmer’s lung): associato soprattutto al fieno, in particolare quello ammuffito che contiene actinomiceti che producono micotossine;
  • il polmone dell’allevatore di legno, riconducibile a spore di Aspergillus aerosolizzate con il taglio e il rimodellamento di materiali di legno.
  • Infine, di particolare rilievo è il polmone dell’allevatore di uccelli, determinato dall’esposizione a proteine aviarie rilasciate da piccioni, pappagalli e altri pennuti.

Per quanto riguarda le pneumoconiosi, le polveri minerali che ne sono responsabili vengono distinte in:

  • fibrogene, cioè in grado di determinare interstiziopatie fibrosanti (le fibrosi polmonari), come la silice e l’asbesto che causano rispettivamente la silicosi e l’asbestosi o il mesotelioma (per quanto riguarda l’asbesto);
  • inerti, come le polveri prodotte dalla saldatura (categorie professionali coinvolte sono i fabbri e i saldatori);
  • granulomatose, come il berillio.

Sono a rischio di pneumoconiosi i lavoratori delle strade e delle gallerie, dell’industria siderurgica e della ceramica o del vetro. Per quanto concerne l’asbestosi, una categoria professionale ancora oggi interessata sono gli operai che si occupano dello smaltimento dei residui di materiale che contengono amianto.

Prospettive future: i lung-on-chip

In ultima istanza, possiamo affermare che il numero di inalanti pericolosi per l’uomo è altissimo. Per individuarli, i ricercatori ricavano le correlazioni tra inalante e patologia da esperimenti su colture cellulari o, in alternativa, da evidenze prodotte da studi osservazionali.

Stanno emergendo, tuttavia, nuovi e sofisticati metodi di studio degli inalanti atmosferici e delle sostanze pneumotossiche in generale. Un esempio di questo tipo di sistemi è rappresentato dai lung-on-chip: avanzatissimi sistemi di ingegneria biomedica basati sulla microfluidica (la scienza che studia le interazioni macromolecolari in canali dalle dimensioni microscopiche).

Questi sistemi mirano a riprodurre in 3D il polmone e in particolare la componente in cui avvengono gli scambi tra i gas, cioè la membrana alveolo capillare. In uno strato del chip è presente uno strato di cellule epiteliali (quelle che rivestono normalmente l’alveolo) murine, l’altro strato è costituito da cellule endoteliali (che rivestono, cioè, il vaso sanguigno). Tra i due è presente una membrana porosa che presenta lo stesso spessore di quella normalmente determinata dalle membrane basali. Si riproduce in tal modo una condizione simile a quella reale.

Possono in tal modo venire testati i vari antigeni e inalanti e osservare il tipo di risposta cellulare (fibrotica? Apoptotica? Infiammatoria?) a sostanze diverse. Un metodo che potrà potenzialmente consentire anche di studiare farmaci in grado di favorire la riparazione cellulare o “spegnere” lo stato infiammatorio.

Referenze

* Letture consigliate

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