L’impronta ecologica è un indicatore che misura l’impatto dell’uomo sulla Terra: più grande è l’impronta ecologica di un Paese, o di un individuo, più grande sarà il suo impatto.
Cos’è l’impronta ecologica?
L’impronta ecologica è l’unica metrica che confronta la domanda di risorse di individui, governi e imprese con la capacità della Terra di rigenerare tali risorse. La locuzione impronta ecologica venne utilizzata per la prima volta nel 1996 da William Rees e Mathis Wackernagel nel loro libro L’impronta ecologica. Come ridurre l’impatto dell’uomo sulla Terra: l’intento era quello di far prendere coscienza del problema della cruda disparità tra domanda e risorse disponibili; per la prima volta fu allora proposto di misurare l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi della Terra. Tale metodo si è poi affermato come uno dei più utilizzati nell’ambito degli studi della sostenibilità .
Nel 2003, Wackernagel e altri fondarono il Global Footprint Network, un’organizzazione no profit che si propone di migliorare la misura dell’impronta ecologica e di conferirle un importanza analoga a quella del prodotto interno lordo (PIL). Questa organizzazione collabora con ventidue Paesi, agenzie governative, università , istituti di ricerca e associazioni. Ogni anno, la Global Footprint Network misura l’impronta ecologica di ogni Paese e utilizza poi i risultati per poter individuare l’Earth Overshoot Day, ossia il giorno in cui l’umanità esaurisce le risorse naturali prodotte dalla Terra nell’intero anno. Lo scorso anno, ad esempio, l’Earth Overshoot Day è stato il 22 agosto, giorno in cui pertanto abbiamo iniziato a sovrasfruttare il pianeta. Secondo il Global Footprint Network, servirebbero 1,7 pianeti Terra per sostenere l’attuale richiesta di risorse naturali dell’umanità [1]!
Per comprendere meglio il significato di impronta ecologica e dell’Earth Overshoot Day, immaginiamo che le risorse naturali del Pianeta siano delle monete. Noi esseri umani abbiamo a disposizione 100 monete da spendere ogni anno ma, quest’anno, ne spendiamo 170, l’anno prossimo 200, l’altro ancora 250 e così via per gli anni a venire: in questo modo si viene ad accumulare un debito sempre più grande nei confronti del Pianeta. Questo debito noi lo paghiamo ad esempio sotto forma di cambiamenti climatici, riscaldamento globale, crisi idriche e catastrofi naturali.
Come si calcola?
L’impronta ecologica viene calcolata determinando la quantità di suolo e di acqua necessari per reggere la quantità di risorse che una determinata popolazione richiede alla biosfera e al Pianeta attraverso il proprio stile di vita[2], in cui sono compresi l’alimentazione, i trasporti, le abitazioni, i beni di consumo e i servizi.
La formula per poter calcolare l’impronta ecologica risulta abbastanza complessa, in quanto prende in considerazione sei tipi differenti di superfici produttive:
- i terreni coltivabili;
- i pascoli;
- le zone di pesca;
- le aree edificate;
- le aree boschive;
- la superficie terrestre necessaria per smaltire le emissioni di carbonio ovvero le foreste.
Alle diverse superfici viene associata una misura comune, i dati vengono introdotti in un foglio di calcolo e viene loro attribuito un peso proporzionale alla rispettiva produttività media mondiale. In questo modo, viene individuata l’area equivalente necessaria a produrre la quantità di biomassa sfruttata da una popolazione. Questa area viene misurata in ettari globali (Gha), a partire dalla realtà locale, regionale e nazionale, fino ad arrivare alla situazione mondiale. Un ettaro globale è un ettaro che indica la capacità media mondiale di produrre risorse e assorbire materiali di scarto (cioè il biossido di carbonio).
La formula dell’impronta ecologica (indicata con F) è :
Questa formula indica la sommatoria di tutti i consumi; Ei rappresenta infatti l’impronta ecologica derivante dal consumo Ci di un dato prodotto, mentre qi, espresso in ha/Kg, è il reciproco della produttività media per lo stesso prodotto.
Per calcolare l’impronta ecologica pro capite (indicata con f) bisogna invece dividere il valore di impronta ecologica di una popolazione per il numero di individui (N) di quella popolazione:
Per rendere più semplice e accessibile a tutti il processo di calcolo, sono stati creati siti appositi che riescono a calcolare la nostra impronta ecologica in base alle risposte date a specifiche domande. Ne sono degli esempi il Foot Print Calculator e la sezione dedicata del WWF.
Impronta ecologica nel mondo
Ogni comunità umana ha una propria impronta ecologica e può contare su una certa disponibilità di risorse. Alcuni Paesi, tuttavia, consumano più di quanto hanno a disposizione.
Se l’impronta ecologica di una popolazione è maggiore rispetto alla biocapacità del territorio in cui vive allora quella popolazione che si trova in deficit ecologico, come accade per la Spagna, la Gran Brettagna, la Cina, l’India e gli Stati Uniti. Se invece la biocapacità di una nazione è maggiore della sua impronta ecologica allora quella nazione dispone di una riserva ecologica, come accade per il Brasile, la Bolivia, la Finlandia e la Svezia; anche l’Australia, pur avendo un impronta ecologica abbastanza importante, ha una grande disponibilità di ettari a causa della bassa densità di popolazione[1].
Impronta ecologica in Italia
L’italiano medio ha un’impronta ecologica superiore alla media globale. L’Italia è una nazione che si trova in deficit ecologico da decenni e, non avendo abbastanza ettari disponibili per la produzione di beni, deve affidarsi in larga misura all’importazione. Negli anni Sessanta, l’impronta ecologica italiana era di 2,4 Gha a persona, mentre oggi risulta di 4,5 Gha a persona[1].
Se l’intera popolazione mondiale vivesse come gli italiani sarebbero necessari tre pianeti! La situazione è comunque migliore rispetto agli Stati Uniti e all’Australia, che superano i cinque pianeti. In ogni caso, ci ritroviamo in forte debito con il nostro pianeta. Il cammino che deve compiere l’Italia verso il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile è ancora lungo. Inoltre, nel 2020, questo cammino ha subito un ulteriore rallentamento dovuto all’emergenza sanitaria e alla crisi economica innescata.
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Quanto influisce il cibo sulla nostra impronta ecologica?
Il settore alimentare ha un impatto sull’ambiente superiore rispetto a quello del settore industriale e dei trasporti.
Gli impatti ambientali (ovvero le impronte) dovuti alla produzione alimentare possono essere rappresentati, oltre che dall’impronta ecologica, anche dal carbon footprint (l’impronta del carbonio), ovvero le emissioni di gas serra, e dal water footprint (l’impronta dell’acqua), ovvero l’utilizzo delle risorse idriche. Gli alimenti di origine vegetale hanno un impatto ambientale minore rispetto a quelli di origine animale: basti pensare che per produrre 1 kg di pomodori si utilizzano 214 litri d’acqua, si emettono 1,1 kg di CO2 equivalente e sono necessari 1,5 Gha di terreno; al contrario, per la produzione di 1 kg di carne rossa parliamo di 15 500 litri d’acqua, 26 kg di CO2 eq emessa e 109 Gha di terreno utilizzato. Come viene riportato dalla FAO[3], esiste una grande differenza d’impatto anche tra le diverse tipologie di carne, come i 4 325 L di acqua necessari per 1 kg di carne di pollo e i 15 500 L di acqua necessari per 1 kg di carne bovina.
La dieta mediterranea, come descritto anche dalla doppia piramide ambientale-alimentare, sembra essere il giusto punto di incontro tra sostenibilità ambientale e salute dell’uomo[4].
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L’industria della moda e la sua impronta
Negli ultimi anni si sta dando la giusta importanza alla sostenibilità anche nell’industria della moda: un fattore che prima veniva sottovalutato ma che invece incide in modo importante sull’impronta ecologica globale. Secondo il WWF, sono però ancora poche le imprese che hanno affermato il loro impegno ecologico[5].
Il settore della moda contribuisce alle emissioni globali di gas serra, con i suoi 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 prodotte ogni anno e con il grande consumo di acqua. Infatti, per produrre una maglietta e un paio di jeans, si consumano più di 12 000 L di acqua, quasi quanto quella necessaria a produrre 1 kg di carne di manzo. Inoltre, il fabbisogno di abbigliamento continuerà a crescere, passando dai 62 milioni di tonnellate odierni ai 102 milioni nel 2030[5].
Molte aziende, visto l’interesse dei consumatori nei riguardi dell’ambiente, mettono in pratica il cosidetto Greenwashing, un neologismo inglese conosciuto anche come ambientalismo di facciata: si tratta di una strategia di comunicazione volta a valorizzare e a sostenere la reputazione ambientale di un’impresa che però non è supportata da prove reali e credibili che ne testimoniano il rispetto per l’ambiente. Secondo il WWF, anche l’industria tessile dovrebbe contribuire a creare un mondo più sostenibile.
Come possiamo ridurre la nostra impronta ecologica?
Ogni anno, l’Earth Overshoot Day arriva sempre in anticipo rispetto all’anno precedente. Ogni individuo, durante la propria quotidianità , può agire facendo delle scelte più sostenibili. I piccoli gesti, sommati, diventano grandi azioni e possono portare grossi benefici. Per prevenire un ulteriore aggravamento e per colmare questo debito nei confronti del nostro pianeta, possiamo adottare dei comportamenti più sostenibili. Fra le tante cose, potremmo infatti investire sulle energie rinnovabili e ridurre l’uso dei combustibili fossili, far sì che il riutilizzo e il riciclo entrino a far parte della nostra quotidianità , smettere di acquistare prodotti e vestiti dei quali non abbiamo realmente bisogno, utilizzare sistemi di mobilità più intelligenti, favorire cibi a basso impatto ambientale e ridurre gli sprechi alimentari.
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Referenze
- Data Footprint Network;
- WWF – Impronta del carbonio;
- FAO – Sito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura;
- Barilla CFN – La doppia piramide alimentare;
- WWF – Industria dell’abbigliamento e impronta ecologica.
Immagine di copertina di ColiN00B, Pixabay (Pixabay License).