Impact Factor e Ricerca: Come funziona?
Il fattore di impatto ( impact factor o IF in inglese e generalmente anche nella normativa e nelle procedure italiane) è un indice sintetico, artificiale(per non dire artificioso), di proprietà di Thomson Reuters, che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati in una rivista scientifica (Journal) nei due anni precedenti. Il 5-year Journal Impact Factor è un fattore basato invece sulle citazioni degli articoli pubblicati nei cinque anni precedenti. Questa misura viene utilizzata per categorizzare, valutare, comparare e ordinare le riviste scientifiche catalogate dalla Thomson Reuters stessa(1).
A causa del fatto che per calcolare l’IF occorre un minimo di tre anni e che passa un tempo imprecisato (di solito qualche anno) prima che una rivista sia inserita nelle banche dati Thomson Reuters, le riviste più recenti – anche se pubblicate da prestigiose associazioni scientifiche – possono non avere l’IF per molti anni.
Secondo l’opinione di Eugene Garfield e di Thomson Reuters stessa, quindi, questa misura deve essere usata in modo prudente per la valutazione di singoli ricercatori in quanto, almeno in parte, discutibile, controversa e soggetta ad abuso. Eugene Garfield e Thomson Reuters mettono in guardia nel valutare mediante impact factor i singoli ricercatori anche perché esiste una ampia variazione della qualità degli articoli in un singolo giornale. Inoltre l’IF non tiene conto del numero di autori di un singolo articolo o della complessità della ricerca; per cui a tutti gli autori si può calcolare lo stesso IF in articoli che spesso hanno un numero di autori molto elevato, non giustificato e i cui ruoli nella ricerca pubblicata non sono chiariti almeno in nota.
Un’altra incongruenza è relativa all’ampia variazione dell’IF fra le discipline e fra riviste mainstream o focalizzate su argomenti più circoscritti. L’uso dell’IF per paragonare due ricercatori che si occupano di argomenti simili ma non identici – entrambi pur con pubblicazioni internazionali su riviste peer-reviewed – premia di solito il ricercatore che pubblica su argomenti che seguono il mainstream e, quindi, con una elevata probabilità di citazione.
La rincorsa all’impact factor può quindi vincolare la ricerca a fini differenti da quelli che le sono propri e premiare sempre gli stessi ricercatori o le stesse tradizioni di ricerca a scapito dell’originalità, dell’innovatività e della ricerca su argomenti oggetto di comunità scientifiche meno numerose e con un numero di riviste poco numeroso. Sia Eugene Garfield che Thomson Reuters declinano ogni responsabilità nell’abuso dell’IF.
Tutte le riviste scientifiche hanno un team di esperti che revisionano e decidono se pubblicare o meno un determinato articolo. Quando un articolo scientifico viene inviato ad una rivista per la pubblicazione, il responsabile scientifico della rivista individua due o tre scienziati a cui chiedere un parere sulla validità del lavoro presentato. Il parere espresso sarà vincolante per l’accettazione del lavoro e la sua pubblicazione.
Essendo perlopiù società private va da sé che l’incidenza dell’indice, appunto, è stabilita sì da scienziati ma solo dagli scienziati di questa o quella rivista. Nessuno può obbligarle a pubblicare nulla, nemmeno uno Stato.
Questo è un sintomo di indipendenza, il che è una cosa eccezionalmente positiva per la ricerca ma allo stesso tempo è anche il sintomo di un monopolio dell’informazione scientifica.
Di per sé non sarebbe un grosso problema, la scienza va sempre avanti a dispetto di tutto e tutti, lo diventa però quando esistono organi pubblici, come ad esempio quelli italiani, che usano l’impact factor delle riviste scientifiche per stabilire l’importanza degli articoli. Nature ha il massimo impact factor nel mondo: 27, mentre il Giornale della Società Italiana di Fisica: 0.2; cioè, ci vogliono 135 articoli sul Giornale della Società Italiana di Fisica per pareggiare un articolo su Nature. Questo vuol dire, in un certo senso, che le opinioni della redazione di Nature sono la legge in base a cui lo Stato italiano assegna i fondi per la ricerca.
Ovviamente non è proprio così ma è uno scenario verosimile quando si tratta di ricerca di frontiera, dove per frontiera non si intende qualcosa di sconosciuto in un sistema già conosciuto ma qualcosa che implica la revisione dell’ossificazione della precedente ‘verità’ scientifica che è di per sé una verità parziale, come ogni verità scientifica; in parole povere, quando bisogna riscrivere le formule.
Quando la precedente verità parziale diventa pregiudizio allora cominciano i problemi.
L’organizzazione del lavoro nella “big science”, fortemente gerarchica, consente un efficiente ottenimento dei risultati ma altrettanto efficientemente è in grado di condizionare la direzione in cui la ricerca può, o deve, andare. La logica della ricerca finalizzata all’ottenimento di risultati di interesse industriale in tempi medio-brevi, (2-3 anni) completa il quadro.
Una realtà scomoda ed inquietante è che oggi, i margini per una ricerca realmente libera, sono ridotti quasi a zero. Così, quando accade che qualcuno azzardi una proposta totalmente inaspettata e suscettibile di alterare i meccanismi consolidati, è possibile che si scateni un putiferio: la reazione viene non soltanto da chi lavora per indirizzare la ricerca su alcuni binari invece che su altri, ma anche da parte di coloro che lavorano, duramente, per partecipare alle grandi imprese scientifiche, avendo rinunciato alla creatività ed al gioco in cambio di una “professionalità”.
Anche i grandi progetti nella ricerca medica e biologica, il “Progetto Genoma”, la ricerca sul cancro, sono esempi di “big science”, di scienza “in grande”. In tutti questi esempi gli aspetti organizzativi sono quasi preponderanti rispetto agli aspetti scientifici. Lo scienziato, fisico o biologo, si trasforma in “manager di ricerca” per tenere sotto controllo tutte le diverse parti che compongono l’insieme complesso: la finalità della ricerca e la strategia per conseguirla, il reperimento e la destinazione dei fondi, la gestione del gruppo di ricerca che può coinvolgere anche centinaia di scienziati, la realizzazione delle infrastrutture necessarie al funzionamento dei laboratori.
Solo pochi, o pochissimi, hanno la visione complessiva dell’esperimento, la maggior parte dei ricercatori coinvolti è concentrata su una porzione di lavoro ad altissima specializzazione e finisce per trasformarsi da scienziato in “esperto”. Lo scienziato moderno assomiglia sempre di più a colui che cerca di guardare al cielo stellato dal fondo di un pozzo: più il pozzo è profondo, più piccola sarà la porzione di cielo che riesce a vedere. La sua specializzazione è la profondità del pozzo da cui guarda il cielo(2).
Sono tempi duri per la ricerca italiana. Gli scienziati che occupano le posizioni più rappresentative, dirigenti di ricerca, professori universitari, presidenti di enti scientifici, non obbediscono agli ordini di un “grande vecchio” ed operano nella piena autonomia delle proprie convinzioni, tuttavia soltanto coloro che per convinzione o convenienza concordano con le finalità del sistema possono aspirare a ricoprirne le posizioni dirigenziali, e questo semplicemente a causa di un processo naturale di selezione che peraltro non è limitato soltanto al mondo della scienza(3).
Nella ricerca accademica la valutazione qualitativa basata sul giudizio tra “pari” (peer review) è una prassi consolidata per decidere la pubblicazione o il rifiuto di un documento scientifico. Tale prassi è stata applicata soprattutto al campo delle scienze dure(matematica, fisica, medicina, informatica, ecc), ma, per come è condotta tradizionalmente, esclude gli autori dalla conversazione e ostacola la circolazione delle idee.
La rete di revisione non solo rende possibile spostare la revisione dopo la pubblicazione ma trasforma il giudizio in una peer-to-peer review. L’autore non è più un ‘individuo originale” ma viene artificiosamente isolato dal contesto in un nodo di citazioni e di rielaborazioni.
L’attuale processo di peer review è in crisi e riceve sempre più critiche per la sua parzialità da parte del mondo scientifico(4).
“Nessun esperimento è riproducibile se lo si effettua con sufficiente incompetenza. Non basta accendere una fiammifero sotto una pentola d’acqua per portarla in ebollizione, ma bisogna che la fiamma sia abbastanza ‘grande’ e che aspettiamo abbastanza tempo. Se usassimo un fiammifero, rimarremmo sempre convinti che non è vero che l’acqua può bollire e voi affermereste che io mi sbaglio e non è vero che l’acqua bolle.” (Emilio Del Giudice)
Fonti:
(1) http://wokinfo.com/essays/impact-factor/
(2) https://www.biopills.net/articoli/news-e-curiosita/errare-per-errore/
(3) “Pares cum paribus facillime congregantur”: I simili si accompagnano molto più facilmente con i loro simili.(Cicerone, Cato Maior de Senectute, III.7 )…
(4) http://www.economist.com/news/leaders/21588069-scientific-research-has-changed-world-now-it-needs-change-itself-how-science-goes-wrong