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Immortalità: solo un sogno?

Prima o poi potremo vivere per sempre e raggiungere l’immortalità. Questa era la convinzione che mi è rimasta dopo aver seguito il corso di Biologia Molecolare e questa è anche la promessa che sembrano confermare di voler mantenere dei ricercatori tedeschi che lavorano sul nematode/organismo modello Caenorhabditis elegans. Loro hanno voluto indagare le cause remote dell’invecchiamento perchè c’era una diatriba incorso da circa sessant’anni sul fatto che il processo di invecchiamento fosse o meno oggetto di selezione evolutiva. Noi tutti sappiamo come funziona l’evoluzione per selezione naturale. In ogni generazione di individui di una data specie le caratteristiche sono leggermente diverse da individuo a individuo e queste differenze sono dovute alla presenza di differenti varianti dei loro geni e al differente assortimento di varianti di geni diversi.

Chi si riproduce di più lo fa soprattutto grazie ai propri geni, che lo rendono più adatto al suo ambiente rispetto agli altri individui, e di conseguenza fa sì che proprio gli stessi geni siano presenti in una percentuale maggiore nella generazione successiva. Ora, pensate a dei geni responsabili di far invecchiare gli individui e quindi anche di farli morire.

Non sarebbero contro-selezionati per lasciare il passo a dei “geni dell’immortalità”?

Di sicuro un ipotetico individuo immortale potrebbe rimanere in giro più a lungo per spargere i suoi geni! Quindi perchè esiste il processo di invecchiamento? Esso porta forse dei vantaggi a noi sconosciuti ai geni che lo promuovono?

Oppure è un sottoprodotto dell’evoluzione, cioè qualcosa che viene selezionato suo malgrado perchè pur non dando benefici diretti ma anzi degli svantaggi è in qualche modo collegato a caratteristiche che invece sono selezionate positivamente perchè vantaggiose?

In realtà la seconda ipotesi era già da tempo la favorita, perchè pensare che certi geni diano un maggiore successo riproduttivo ma risultino poi deleteri nel periodo post-riproduzione aveva senso e i modelli matematici hanno suggerito che questi geni fossero anche selettivamente favoriti rispetto agli altri.

Però mancavano prove supporto di questa ipotesi.

I ricercatori di Mainz (Germania) hanno appunto fornito delle prove che quantomeno in C. elegans le cose vanno appunto in questo modo!

Essi hanno individuato un set di 30 geni che hanno effetti positivi sulla capacità riproduttiva, cioè che permettono a chi porta delle determinate varianti di questi geni di lasciare mediamente più discendenti degli altri individui, ma che al contempo riducono l’aspettativa di vita e lo stato di salute generale nel periodo post-riproduttivo!

Lo studio non si è limitato a fare luce questo importantissimo punto ma ha anche indagato le funzioni di questi 30 geni, per capire cosa effettivamente faccia invecchiare i nematodi.

Il risultato è che si tratta di geni regolatori di un processo chiamato autofagia. L’autofagia è il meccanismo che permette alle cellule di riciclare i loro organelli danneggiati “digerendoli” per riutilizzare le sostanze di cui sono composti ed ha quindi un ruolo importante nel mantenere i tessuti del corpo, che appunto di cellule sono fatti, funzionali e quindi “giovani”. Una sua attivazione eccessiva ha però l’effetto di portare ad un alto tasso di morte cellulare (le cellule si “digeriscono” troppo, diminuendo di numero) e ad un impoverimento ed indebolimento dei tessuti.

I nostri 30 geni sono stati disattivati ad uno ad uno dai ricercatori, dimostrando che diminuire il tasso di autofagia allunga la vita e le condizioni di salute nei più famosi dei vermi cilindrici.

Un altro fatto interessante è che i tessuti più interessati da questo effetto sono stati il tessuto nervoso e quello muscolare. Come a dire che allorquando i motoneuroni riescono a rimanere più a lungo integri e funzionali anche i muscoli da essi innervati ne giovano in salute.

Come per molte ricerche di base ci saranno quindi possibili ricadute pratiche di questa scoperta, che oltre a farci sperare nell’immortalità potrà in un futuro più prossimo permettere di combattere molte malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson e quello di Alzheimer.

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