La scienza non si basa sul principio di autorità, ma sui fatti oggettivi, valutati dall’intera comunità. Ma cosa succede quando alcuni singoli scienziati vanno contro l’opinione generale? A volte succedono disastri. Ecco perché bisogna ascoltare ciò che dice l’intera comunità scientifica, e non bisogna fidarsi acriticamente delle singole voci – neanche di quelle più venerate.
La supremazia dei fatti
È una cosa talmente ovvia che di solito non bisogna ripeterla. È l’aria che si respira, e qualsiasi studente che esca dall’università lo ha capito forse senza che nessuno glielo abbia spiegato esplicitamente. A decidere cosa è vero e cosa no, nella scienza, sono i fatti. Ciò che conta per la comunità sono i risultati; questi sono il nucleo degli articoli scientifici, sono ciò che si porta alle conferenze, sono l’argomento di discussione nelle dispute. Insomma, la conoscenza scientifica è basata sui fatti.
Questo esclude le altre fonti di conoscenza, dalla rivelazione divina all’autorità. Per verificare se A causa B non ci si affida a un testo religioso, o alle parole di un grande pensatore: si misura se A causa davvero B, con i migliori strumenti a disposizione; e lo si comunica al pubblico nel modo più trasparente possibile, così che anche altri possano ripetere la prova. Le regole e le abitudini dell’impresa scientifica servono a rispettare per davvero queste esigenze.
«In generale cerchiamo una legge [scientifica] con il seguente processo. Prima tiriamo a indovinare. […] Poi calcoliamo le conseguenze dell’ipotesi. […] E poi confrontiamo i risultati del calcolo con la natura, o diciamo con gli esperimenti, l’esperienza. […] Se [l’ipotesi] non concorda con l’esperimento è sbagliata. In questa semplice affermazione c’è il concetto cardine della scienza. Non importa quanto sia bella la tua ipotesi, non importa quanto sia intelligente chi ha avuto l’idea, né quale sia il suo nome. Se non concorda con l’esperimento è sbagliata. Tutto qua.»
Quale autorità?
Qui potrebbero nascere dei dubbi. Spesso infatti si sente dire che bisogna “verificare le fonti” quando si valuta una notizia o un’affermazione, per poi accettare solo quelle “autorevoli”. Com’è possibile mettere insieme queste due cose?
È possibile perché si riferiscono a cose diverse. Nel primo caso sono gli scienziati, coloro che producono la conoscenza, a non doversi fidare della parola dei colleghi. Quando uno scienziato vuole contribuire deve presentare dei fatti – cioè dei risultati, tipicamente analizzati con la statistica. Non basta che lo dica uno scienziato, magari anche famoso; servono le prove. E queste non sono neanche sufficienti, perché potrebbero essere frutto del caso o persino della frode: serve che gli altri scienziati ripetano i risultati per conto proprio.
Il consiglio, invece, serve ai non-specialisti quando devono valutare un’affermazione (“non-specialisti” non vuol dire “non-scienziati”: ogni scienziato è specialista solo del suo campo, quindi in tutti gli altri è allo stesso livello dei non-scienziati). Ma è un consiglio di buonsenso, e facilmente comprensibile: per sapere se una cosa ha senso si ascolta una fonte esperta, allo stesso modo in cui, quando c’è una tubatura che perde, si sente l’idraulico.
Infine fidarsi di fonti autorevoli serve soprattutto a evitare quelle inaffidabili – serve a ignorare ciò che è falso piuttosto che a stabilire cosa è vero.
Il consenso scientifico
Capire cosa è giusto è un’impresa più ardua, e richiede conoscere l’opinione degli scienziati nel loro insieme. Se tutti (o quasi) gli scienziati di un ambito ritengono una certa cosa vera, allora quella cosa è molto probabilmente vera. Un esempio è il ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico, considerato una realtà dal 97% degli scienziati del clima. Difficile trovare un consenso scientifico più netto.
Attenzione, però: il consenso scientifico è raggiunto con i fatti dimostrabili. Se il 97% degli scienziati concorda su un punto, vuol dire che il 97% di persone con i mezzi per capire l’argomento, valutare criticamente le prove e formarsi un’opinione ragionata concorda che i fatti siano convincenti.
Fidarsi del consenso scientifico, insomma, vuol dire valutare le prove “per interposta persona”, una “persona” molto competente in materia.
Quando le autorità falliscono
Dare retta al consenso scientifico è particolarmente utile per difendersi da una precisa minaccia: le singole voci deliranti. A volte capita che uno scienziato, magari di fama mondiale, abbia opinioni opposte a quelle della comunità scientifica. E in rari casi questa differenza di vedute provoca molti danni.
Andrew Wakefield
Wakefield, ex medico, è il primo responsabile dell’isteria sui vaccini che continua ancora oggi. Fu il primo a ipotizzare che i vaccini causassero l’autismo, in un articolo scientifico del 1998. Ci volle un’inchiesta ufficiale per scoprire che Wakefield aveva compiuto una frode scientifica, cioè aveva falsificato i propri dati e aveva guadagnato lautamente dal panico derivato dal proprio articolo; ci vollero anni di ricerca per accertare che i vaccini sono sicuri.
Ciascuno può trarre le dovute considerazioni sulla moralità di un soggetto del genere, ma il punto è che in questo caso fidarsi dell’autorità ha avuto gravi conseguenze. A pubblicare l’articolo di Wakefield fu un giornale prestigioso, il Lancet, e nessuno aveva motivo di sospettare una frode. La verità è venuta a galla con il tempo e con le replicazioni, cioè con il normale lavoro della comunità scientifica.
Konrad Lorenz
Essere esperti di un campo non rende un’autorità su tutto il resto, e nessuno lo dimostra meglio di Konrad Lorenz. Premio Nobel per la medicina e la fisiologia del 1973, fondatore e mostro sacro dell’etologia, Lorenz era anche un nazista e un sostenitore dell’eugenetica. Membro del partito nazista dal 1938, grazie a una domanda di iscrizione in cui assicura che «l’intero lavoro scientifico della [sua] vita […] è al servizio del pensiero nazionalsocialista» [1, pag. 83], Lorenz conquistò cattedre grazie alle sue amicizie nel partito e sostenne l’utilità di un «allevatore della razza» che si occupasse «dell’eliminazione degli individui moralmente inferiori» [1, pag. 84].
A onor del vero, Lorenz ha poi scritto di aver rinnegato queste idee, e di non aver capito che i nazisti intendevano selezionare la specie umana attraverso l’omicidio. Tuttavia la sua posizione è ambigua: Lorenz negò la propria appartenenza al partito nazista finché i documenti ufficiali vennero allo scoperto e in alcune lettere private, ai tempi della seconda guerra mondiale, affermava esplicitamente il suo antisemitismo [1, pag. 85].
Insomma, sicuramente una figura storica della biologia, ma anche autore di deliri pseudoscientifici sulla questione delle razze e l’eugenetica [1, pagg. 79-85].
James Watson
Di Watson e delle sue uscite più recenti si è già parlato ampiamente anche su BioPills. Il premio Nobel 1962, però, ha un’intera carriera di affermazioni controverse o proprio assurde. Sebbene non un membro del partito nazista come Lorenz, Watson ha scioccato i colleghi e il mondo intero con le seguenti affermazioni [1, pagg. 68-71]:
- gli africani sono meno intelligenti dei bianchi, e chi ha a che fare con impiegati neri lo sa bene;
- le persone di colore hanno più libido dei bianchi, a causa della melatonina;
- avere troppe donne nella scienza è «divertente», ma riduce l’efficienza dei maschi;
- la stupidità è una malattia da estirpare.
Un collega ipotizzò che si sentisse libero di dire qualsiasi cosa a causa della vittoria del Nobel. Sia come sia, Watson non sembra avere scrupoli nel dire cose prive di basi scientifiche, purché siano scioccanti – un comportamento più simile a un divo in cerca d’attenzione che a uno scienziato coscienzioso.
Kary Mullis
Kary Mullis è un altro premio Nobel, stavolta per la chimica nel 1993, per aver inventato una tecnica per duplicare il DNA. Un rivoluzionario, insomma, ma anche sostenitore di posizioni pseudoscientifiche. Sosteneva per esempio l’astrologia; anzi, si chiedeva incredulo come fosse possibile «definirsi uno studioso del comportamento umano […] senza studiare un po’ di astrologia» [1, pag. 185].
È inutile specificare che l’astrologia non dà alcuna informazione utile su una persona, e gli psicologi che studiano la personalità neanche si sognano di considerarla; ma almeno è una convinzione relativamente innocua. Diverso è il caso di un’altra idea di Mullis, cioè che la causa dell’AIDS non sia il virus dell’HIV [1, pag. 186]. Questa folle idea, quando fu sostenuta da un presidente sudafricano, causò la morte di centinaia di migliaia di persone [2].
In definitiva, essere uno scienziato – anche premiato con la riconoscenza più ambita, il Nobel – non è una garanzia di scientificità, né di affidabilità. Di questi quattro scienziati, gli ultimi tre sconfinavano in campi non di loro competenza: quindi ignorarli era legittimo. Il primo invece parlava di ciò su cui era esperto, persino dalle pagine di un prestigioso giornale accademico. Questo a rammentare che la conoscenza scientifica emerge dal consenso della comunità e che essa accetta solo affermazioni sostenute da prove solide e ripetute.
Un caso anomalo: Freud e la psicologia
«In realtà non sono affatto un uomo di scienza, o un osservatore, o uno sperimentatore, o un pensatore. Sono per temperamento nient’altro che un conquistador–un avventuriero, se lo vuoi tradotto–con tutta la curiosità, l’audacia e la tenacia tipiche di un uomo del genere.»
Sigmund Freud [3, pag. 398].
Nel panorama scientifico, Freud occupa una posizione unica. Forse è l’unico psicologo noto al grande pubblico, e le sue citazioni vengono tirate fuori come assi dalla manica, quasi come se fosse l’autorità suprema sulla psicologia umana; la psicoanalisi stessa si basa sulla parola di Freud anziché sui risultati scientifici (e perciò si tiene al di fuori della psicologia scientifica). Infine, persino gli psicologi scientifici, nonostante non prendano in considerazione le sue teorie, pronunciano il suo nome con rispetto, quello che si deve a un pioniere del proprio campo. Insomma, Freud è considerato un’autorità indiscussa o perlomeno un saggio pioniere della psicologia, più o meno allo stesso livello di Galileo con la fisica o Darwin con la biologia.
Ma questo rispetto è meritato? Probabilmente no.
Freud irrilevante per la psicologia scientifica
Come già anticipato, attualmente la psicologia scientifica neanche considera le teorie di Freud. I manuali di psicologia sui temi più vari – memoria, attenzione, psicologia sociale, eccetera – a malapena lo citano. I manuali introduttivi ne parlano dal punto di vista storico e di solito ne sottolineano i punti deboli, che lo rendono irrilevante per la psicologia moderna. Ma questa incompatibilità c’era già ai tempi di Freud stesso, che si tenne sempre al di fuori della psicologia scientifica. Questo non ha impedito a psicologi sperimentali, come i pionieri italiani Vittorio Benussi e Cesare Musatti, di interessarsi alla psicoanalisi. Tuttavia, almeno fino al 1999, la letteratura scientifica e quella psicoanalitica erano tra loro indipendenti [4].
Perché? Per quale motivo Freud è del tutto ignorato dal mondo scientifico? I motivi sono numerosi. Il più semplice è che è obsoleto. La psicologia è un campo in rapido cambiamento: le scoperte si accumulano, insieme alle rivoluzioni nei metodi. Un autore morto ottanta anni fa, perciò, difficilmente rimane rilevante. In più Freud ha basato le sue speculazioni sulla biologia dell’epoca, biologia che adesso è largamente superata [5].
Secondo, è difficile valutare scientificamente le speculazioni freudiane. Karl Popper usava la psicoanalisi come esempio di pseudoscienza, perché sfuggiva alle falsificazioni [6]. Altri autori la considerano una teoria vuota, priva di contenuto reale, coerente con tutto e con niente [7]; non è un caso, perché Freud stesso la rendeva volutamente ambigua [8, pag. 451]. Inoltre è stato regolarmente smentito, nei pochi casi in cui era possibile confrontare le predizioni con la realtà – come sulla teoria dei sogni [9].
Il terzo è la volontà di Freud di tenere la psicoanalisi al di fuori delle regole scientifiche. Non solo Freud rendeva le sue speculazioni ambigue, e quindi impossibili da confutare, ma si faceva pure beffe della scienza. Quando uno psichiatra gli fece notare che Lamarck – sulle cui idee Freud basò molte speculazioni – era ormai stato confutato, Freud rispose «Ma non possiamo preoccuparci dei biologi. Noi abbiamo la nostra scienza» [8, pag. 636]; e di fronte a un esperimento che testava alcune sue ipotesi rispose di non considerarlo di grande valore. In generale si rifiutava di sottoporre le sue ipotesi a esperimenti controllati [10, pagg. 137-140].
Si cimentò una sola volta in un esperimento di psicologia scientifica e gli esiti furono tragicomici [8, pagg. 117-121]. Il suo obiettivo era misurare se una persona sotto l’effetto di cocaina – all’epoca una sostanza semi-sconosciuta – avesse una forza e dei tempi di reazione diversi. Nonostante a Vienna avesse avuto un’istruzione medica di prim’ordine, Freud si accontentò di un solo soggetto sperimentale: se stesso – mentre per avere dei risultati affidabili è necessario avere molte più persone ignare degli obiettivi dello studio. Nell’articolo in cui descrisse l’esperimento, Freud giustificò questa mancanza in modi contraddittori: prima disse di essere stato costretto a fare da unico soggetto sperimentale da “circostanze esterne”; poi che nessun individuo testato mostrava reazioni regolari come le sue; e poi che i suoi risultati comunque erano stati confermati testando altre persone. Insomma, non è chiaro né se abbia testato altre persone, né quante, né con quali risultati.
Una volta trovato il campione sperimentale, comunque, Freud cominciò a misurare la propria forza e i propri tempi di reazione in risposta a uno stimolo, avendo o meno assunto cocaina. Tuttavia la metodologia era quantomai approssimativa: non riportò il numero di prove compiute; la quantità di cocaina assunte variava da un decimo di grammo a “una piccola quantità indeterminata”; gli intervalli tra le prove variavano da cinque minuti a tre ore; non considerò gli effetti dell’autosuggestione, che avrebbe potuto portarlo a comportarsi in modo da confermare la propria ipotesi, e via dicendo. Questi errori grossolani non lo dissuasero però dal trarre conclusioni ben al di là di quanto era legittimato.
Non sorprende che Freud stesso confidò in una lettera che l’articolo “non sarebbe mai dovuto essere pubblicato” [8, pag. 120]; in effetti questo non fu mai incluso nelle sue raccolte di lavori, inclusa la famosa Standard Edition.
Freud scriveva il falso
Questo, però, è solo l’inizio. Freud non si limitava a tenersi di fatto al di fuori della scienza, ma si spingeva al punto di pubblicare informazioni false.
Innanzitutto mentì sull’efficacia della psicoanalisi. Più volte annunciò al mondo dei fantomatici successi straordinari; eppure, diversi anni dopo questi annunci, nelle lettere private confidava di «non poter annunciare ancora nessun caso di guarigione» e di non aver nemmeno finito nessuna analisi [11, pag. 50]. La stessa cosa è confermata in seguito – dopo che ha raggiunto il successo con L’interpretazione dei sogni – nel 1908: invitato a presentare un suo caso a una riunione di psicoanalisti, Freud decide all’ultimo minuto di parlare del suo paziente di allora, perché non aveva completato ancora nessuna analisi [10, pag. 219].
Il paziente era il cosiddetto “Uomo dei topi”, che in seguito Freud pubblicò come caso studio modificando date ed eventi perché si adattassero alle sue ipotesi, com’è evidente dal confronto tra la versione pubblicata e i suoi appunti (scoperti per caso dopo la sua morte: aveva l’abitudine di bruciarli). E questo è solo un caso studio: gli studiosi hanno ormai trovato ombre o falsità in tutti quelli pubblicati [11; 12].
Neanche la guarigione di Anna O., uno dei casi esemplari della psicoanalisi, è mai avvenuta, nonostante ciò che scrive Freud [8, pag. 339]. Dopo la “cura” di Freud e Breuer – suo amico e collega più anziano – la paziente in realtà finì in un sanatorio, e guarì completamente solo diversi anni dopo; Freud lo sapeva benissimo ma scelse di non rivelarlo mai [13]. Inoltre, c’è la possibilità che la vera causa della malattia di Anna O. fosse la dipendenza da morfina e idrato di cloralio che Breuer stesso le somministrava, anziché l’isteria (che non esiste) – ma le diagnosi a distanza di oltre un secolo sono ardue [8, pagg. 345-360]. Ad ogni modo, come sintetizzò il primo autore che ha smascherato l’inganno, «il celebre prototipo della cura catartica non è stato né una cura né una catarsi» [14].
Anche il suo comportamento nei confronti della cocaina, oggi, verrebbe probabilmente considerato una frode scientifica. All’epoca la cocaina aveva appena fatto la sua comparsa, veniva comunemente usata persino nei vini, e la comunità scientifica non ne conosceva ancora le proprietà. Freud divenne il suo principale sostenitore, e spronò i colleghi – attraverso sia articoli scientifici che consigli personali – a usare la cocaina come rimedio per diverse malattie, inclusa la dipendenza da morfina, ben prima di avere delle prove scientifiche a riguardo – anzi, l’unica persona su cui aveva testato il rimedio peggiorava a vista d’occhio. Altri medici ascoltarono questi avventati consigli e usarono la cocaina sui propri pazienti [8, pagg. 79-90; 15]. Ci volle qualche anno e qualche ricerca seria per riportare la comunità scientifica sui binari giusti.
Nessuno di questi comportamenti ha granché a che fare con l’etica scientifica, né tantomeno con l’etica di base.
Freud è inaffidabile
Per concludere, la storia stessa della psicoanalisi, per come viene narrata da Freud e dai seguaci, è inaffidabile; anzi, è una leggenda, gradualmente smantellata grazie al metodo storico-critico [10, pagg. 12-24].
Di questa leggenda, i casi studio alterati sono solo una parte. Un’altra è formata dalle lettere di Freud stesso, in particolare quelle spedite all’allora amico Wilhelm Fliess. Le lettere, che Freud cercò di distruggere in tutti i modi, vennero inizialmente pubblicate da alcuni seguaci ma subirono una pesante censura. Delle 284 lettere ne vennero pubblicate 168, di cui solo 29 in forma integrale; tutte le altre furono censurate o alterate. I passaggi eliminati sono naturalmente quelli più compromettenti, in cui Freud mostrava tutta la sua credulità nelle speculazioni senza fondamento dell’amico Fliess, riscriveva la storia delle sue “conquiste scientifiche” e svelava le sue abitudini tutt’altro che professionali con i pazienti [10, pagg. 237-256]. Significativa è l’aggiunta da parte dei censori di una “m”, che in tedesco trasformò l’originale ma allarmante “non ho ancora finito nessuna analisi” in “non ho ancora finito la mia analisi” [8, pag. 509].
Tutto ciò è venuto alla luce solo quarant’anni dopo, con la pubblicazione delle lettere integrali da parte di uno psicoanalista ribelle [3].
Questa è solo una piccola, piccolissima parte delle criticità portate alla luce dagli studiosi, che hanno ridimensionato il mito freudiano a una moda pseudoscientifica del passato. Purtroppo queste criticità sono ancora in gran parte sconosciute, non solo al grande pubblico ma anche all’accademia. Una cosa però è certa: Freud non è un’autorità.
Bibliografia
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- Borch-Jacobsen M (2006). La verità sul caso di Anna O. In C Meyer (a cura di), Il libro nero della psicoanalisi, pagg. 11-14. Roma: Fazi Editore. Pagg. 12-13.
- Ellenberger HF (1972). The story of “Anna O”: A critical review with new data. Journal of the History of the Behavioral Sciences, 267-279. Pag. 279.
- Israëls H (2006). Freud cocainoterapeuta. In C Meyer (a cura di), Il libro nero della psicoanalisi, pagg. 45-47. Roma: Fazi Editore.
Collegamenti esterni
- Cos’è un articolo scientifico e a chi serve? – BioPills
- Richard Feynman on Scientific Method (1964) – YouTube
- I vaccini: Cosa sono? Sono nocivi? – BioPills
- Le conseguenze dei cambiamenti climatici – BioPills
- Scientific Consensus: Earth’s Climate is Warming – NASA.gov
- All Nobel Prizes – nobelprize.org
- Kary Mullis e la PCR: tra genio e sregolatezza – BioPills