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Heat Shock Protein

Una storia di serendipità

Una delle scoperte più fortunate della storia nella scienza moderna, una categoria di proteine dal potere quasi “magico” ed un importante meccanismo di difesa delle proteine. Parliamo delle proteine da shock termico, o Heat Shock Protein.

La scoperta casuale

Correva l’anno 1960 e un già affermato scienziato, Ferruccio Ritossa, famoso all’epoca per essere uno dei pionieri italiani nello studio della genetica, pieno di una grande curiosità che lo spingeva ad interrogarsi su parecchie tematiche della biologia, iniziava a studiare l’espressione proteica su Drosophila melanogaster.

Non si era soliti sperimentare su Drosophila 50 anni addietro, il famoso moscerino, era ai tempi considerato poco utile ai fini di studio, paragonabile al fago. Anche per questo, spesso Ritossa fu criticato pesantemente al tempo dei suoi  studi.

Durante uno studio sulle modifiche quantitative dell’espressione proteica in relazione all’aumento della temperatura ambientale, Ritossa si rese conto straordinariamente che invece di diminuire a causa della denaturazione, alcune proteine erano overespresse.

Tale evento era un controsenso per le conoscenze dell’epoca, ci si aspettava infatti che all’aumento di esposizione all’agente denaturante (il calore) fosse correlata una diminuzione dell’espressione proteica mentre ciò che succedeva era esattamente l’opposto. Lo scienziato iniziò così un’intensa attività di studio e scoprì che, sì, alcune proteine erano overespresse, ma solo in un dato range di dimensione (intorno ai 7000 Da). Rilevò inoltre che al diminuire della temperatura l’espressione di questo gruppo di proteine si riduceva. 

Nominò questa nuova classe di proteine, HPS (heat shock protein) perché la loro presenza era fino ad allora stata associata solo all’aumentare della temperatura e quindi allo shock termico subito dalle cellule.

Funzione delle HSP

Questa scoperta casuale portò Ritossa ad indagare più approfonditamente sul funzionamento delle HSP, in particolar modo sul ruolo che queste potessero avere durante il processo di denaturazione delle proteine. Egli scoprì infatti che le HSP sono proteine che assistono altre proteine durante il re-folding a seguito di denaturazione. Ciò che venne scoperto negli anni successivi fu che le HSP non assistono solamente in caso di misfolding dovuto alla variazione di calore, ma sono implicate nella risoluzione del folding anche durante altri tipi di stress a cui possono essere esposte le cellule come ad esempio metalli, radiazioni ultraviolette,  inquinanti organici ecc.

Per questa loro funzione di “assistenza”, non solo nei confronti della denaturazione temperatura-correlata, le HSP vengono chiamate anche Chaperonine (da chaperon – accompagnatore).

La scoperta di Ritossa risolse parzialmente il paradosso di Levinthal secondo cui esistono 1050 possibili conformazioni di ripiegamento di una proteina di 124 residui aminoacidici (ribonucleasi). Se una ribonucleasi passasse ad una delle possibili conformazione ogni 10-13 secondi, servirebbero 1030 anni (un tempo più lungo dell’età dell’universo) affinchè essa transiti in tutte le possibili conformazioni fino ad arrivare a quella biologicamente attiva.

La ribonucleasi tuttavia può completare il folding in circa un minuto! Chiaro segnale quindi che il ripiegamento non è completamente randomico ma “accompagnato” da un fattore (HSP) che rende il ripiegamento altamente specifico, funzionale ed eccezionalmente veloce.

Lo studio delle chaperonine è andato avanti per decenni e molte altre classi sono state individuate (catalogate in base al peso in KDa) nei più svariati tessuti. E’ stato notato inoltre che la struttura delle chaperonine umane e quella di E. Coli risulta molto simile, seppur più semplice nel caso del batterio. Tale conservazione evolutiva è indicativa dell’importanza del ruolo che le chaperonine svolgono.

Meccanismo d’azione

Anche nella modalità d’azione si mantiene la somiglianza, infatti sia nel batterio che nell’uomo la chaperonina è configurata a formare una gabbia, chiamata “gabbia di Anfisen” dentro la quale la proteina mis-foldata viene assistita nel processo di re-folding.

E se le Chaperonine non funzionassero?

L’eventuale mancanza o mal funzionamento delle Chaperonine porterebbe innumerevoli problemi e sembra correlata a diverse patologie. Immaginiamo che ogni qual volta una proteina si trovi nella condizione mis-folded questa debba essere sintetizzata ex-novo, vi sarebbe un consumo di ATP incredibile, ed anche in questo caso, nelle fasi intermedie della sintesi proteica sono presenti HSP che accompagnano il folding a livello ribosomiale proprio al fine di evitare errori e quindi un successivo utilizzo di ATP.  La loro mancanza porterebbe sicuramente ad un consumo anomalo di energia e ad una quantità superiore alla norma di proteine ripiegate in maniera errata.

Chaperonine e patogenesi

Esiste infatti una teoria, che vede le chaperonine coinvolte nell’insorgenza delle  più importanti patologie neurodegenerative.  La malattia di Alzheimer ad esempio è dovuta all’accumulo di una proteina mal ripiegata, la beta Amiloide, capace di formare delle placche a livello dei neuroni che portano le cellule a morte con un decorso della malattia di Alzheimer che è noto ai più, ma per la quale ad oggi non esiste una cura definitiva.

Inoltre è stato appurato che una anomala iperespressione delle HSP70 e HSP90  può portare a chemio-resistenza in molti tipi di tumore difatti la HSP70 è associata all’aumentata resistenza allo stress ossidativo.

In particolar modo TRAP1, proteina appartenente alle HSP70  sembrerebbe essere coinvolta sia nella riduzione della cascata caspasica che nel ridotto accumulo di AIF (Apoptosis Inducing Factor). Le caspasi sono proteine fondamentali nel pathway apoptotico che porta a morte cellulare programmata (apoptosi). Una minore attivazione delle pro-caspasi in caspasi blocca il processo apoptotico.

Una riduzione dei livelli di AIF sembrerebbe bloccare invece il reclutamento di molecole endonucleari preposte alla frammentazione del DNA durante il processo di morte programmata. Entrambi i path d’arresto risultano dannosi in caso di apoptosi avviata a seguito di processi genotossici, danni ossidativi o azione di chemioterapici.

La HSP90 sembrerebbe coinvolta nella creazione di complessi multiproteici che stabilizzerebbero enzimi della tirosin chinasi (SFK), preservandone il mantenimento dall’intervento dell’ubiquitina e dalla successiva degradazione ad opera di quest’ultima. In condizioni normali il legame tra SFK e HSP90 risulta difficile da identificare per il continuo ciclo di associazione e rilascio tra le due proteine.

In cellule tumorali è stato osservato un cambiamento conformazionale della struttura in HSP90 nella sua forma attivata che aumenta quindi l’affinità di legame con la SFK e la conseguente preservazione. Gli enzimi della SFK sono stati identificati come proto oncogeni ed una loro mis-regulation sembrerebbe essere legata all’insorgenza di tumori, tuttavia da chiarire ancora nel dettaglio il meccanismo biomolecolare alla base degli eventi di cui sopra.

Conclusione

In conclusione possiamo affermare che questa scoperta avvenuta come spesso avviene, per caso, ha portato un grandissimo contributo alla biologia molecolare e molto ancora ci sarebbe da aggiungere.

Sicuramente in un prossimo futuro è auspicabile puntare all’identificazione di biomarker precoci che sfruttino le HSP, potenzialmente utili nella diagnosi di malattie neurodegenerative. Infine una migliore comprensione dei meccanismi d’azione delle HSP spianerebbe la strada ad ad un ampio ventaglio di possibilità per la terapia di patologie dovute a mis-folding proteico.

Bibliografia

  • Induzione delle Heat shock proteins (Hsp), analisi proteomica di campioni vegetali sottoposti a stress abiotici – Tesi di dottorato di Stefania Montanari
  • Heat Shock Proteins and Inflammation – Willem van Eden

Collegamenti esterni

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