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HACCP: la messa in sicurezza degli alimenti

La salute del consumatore passa attraverso sette principi

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) riconosce ad ogni individuo il diritto al cibo. Tutti abbiamo il diritto di disporre di cibo a sufficienza (food security) ma che sia anche sano (food safety). Oggi, a garantire la sicurezza di ciò che mangiamo ci pensa l’HACCP.

Che cosa significa HACCP?

L’acronimo deriva dall’inglese “Hazard Analysis and Critical Control Point”, in italiano “Analisi dei Pericoli e dei Punti Critici di Controllo”. E’ un sistema che consente alle imprese alimentari di autocontrollare il proprio processo e garantire cibo sicuro. Attraverso l’applicazione del metodo HACCP è possibile tutelare la salute del consumatore ma anche l’azienda produttrice.

Per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro nel tempo.

C’era una volta l’insicurezza alimentare…

Negli anni ’60 ogni categoria di alimento aveva delle direttive specifiche per regolarizzarne la produzione e commercializzazione. Quindi, il latte aveva una sua normativa così come le carni fresche, il burro ecc. Si parlava, infatti, di “direttive verticali” perché relative a specifiche filiere ed erano state emanate per i prodotti ritenuti di particolare importanza per l’Unione Europea. A questo periodo risale anche l’introduzione del bollo CEE solo per gli stabilimenti che avevano i requisiti per poter commercializzare i propri prodotti nei Paesi dell’Unione.

Negli anni ’80 arrivò la liberalizzazione del mercato: tutti potevano vendere al di fuori del proprio Stato. Tuttavia, con la libera circolazione delle merci si rese necessario emanare delle direttive comuni (orizzontali) che imponessero un livello minimo di sicurezza. Le precedenti direttive verticali furono aggiornate con dettagliate procedure igieniche e requisiti tecnici per la produzione degli alimenti.

Si arrivò in questo modo alla fine degli anni ’90 quando l’Europa si trovò ad affrontare una serie di scandali alimentari. Quello della “Mucca Pazza” e della diossina nella carne di pollame furono i più emblematici. Questi casi portarono alla luce i difetti del tradizionale sistema di controllo fino ad allora basato su:

  • verifiche delle sole buone pratiche di produzione (GMP) e di igiene (GHP)
  • analisi solo sul prodotto finito e quando questo era già a disposizione del consumatore
  • impossibilità di controllare tutti i lotti di produzione
  • mancata formazione degli operatori e spirito sanzionatorio (non formativo)

Di fronte alle gravi mancanze del sistema di controllo, l’Europa mise in atto una vera e propria rivoluzione della sicurezza alimentare. Vediamo insieme come.

L’Europa adotta l’HACCP

Il primo passo fu quello di creare la cultura della sicurezza alimentare che prevedeva:

  • una profonda revisione della normativa
  • dei controlli lungo tutta la filiera (dal campo alla tavola)
  • la definizione delle responsabilità di tutte le parti coinvolte
  • un’analisi dei pericoli su base scientifica
  • la formazione degli addetti alla manipolazione degli alimenti

Nel 2004 fu emanato il cosiddetto “Pacchetto Igiene”: un insieme di quattro Regolamenti Europei che disciplinano la produzione, la commercializzazione ed il controllo degli alimenti. E’ con il primo di questi quattro (Regolamento CE N. 852/2004 riguardante l’igiene dei prodotti alimentari) che l’Europa riconosce l’HACCP come strumento di autocontrollo.

Pensate che la NASA (National Aeronautics and Space Administration) lo utilizzava già negli anni ’60 in collaborazione con l’impresa alimentare che forniva il cibo agli astronauti.

D’altronde, per un astronauta era, ed è, di vitale importanza scongiurare un’intossicazione alimentare a distanza dalla Terra!

Nonostante siano passati diversi anni dalla sua adozione, l’HACCP si presenta sempre come un enigma per chi si trova ad applicarla. Per tale ragione, il Ministero della Salute e gli altri Enti preposti hanno emanato delle lineeguida che ne facilitano la gestione.

Autocontrollo e HACCP non sono sinonimi

Come ci spiega il Ministero della Salute, l’autocontrollo è il concetto secondo cui ogni operatore del settore alimentare (OSA) deve controllare la produzione degli alimenti nella propria azienda. Vi starete chiedendo come l’OSA possa diventare ispettore di se stesso. Ebbene l’OSA può autocontrollarsi seguendo i principi dell’HACCP che si configura, quindi, come lo strumento con applicare l’autocontrollo. La legislazione impone ad ogni impresa alimentare, piccola o grande che sia, di avere un piano HACCP ed un suo responsabile. E’ importante ricordare che la figura del responsabile è ben diversa da quella dell’OSA anche se il lavoro di entrambi punta alla sicurezza del prodotto finale.

  • Operatore del settore alimentare (OSA): è la persona fisica e giuridica che ha la responsabilità di garantire il rispetto della legislazione alimentare nell’impresa posta sotto il suo controllo. Può prendere decisioni in autonomia e ha capacità di spesa economica.
  • Responsabile HACCP: persona individuabile all’interno dell’azienda e se non diversamente indicato non coincide con l’OSA. Nelle sue funzioni non sono previste autonomia decisionale e capacità di spesa.

Applicare l’HACCP consente di ridurre i rischi legati alle contaminazioni alimentari. Un alimento è a rischio quando nasconde un pericolo:

  • microbiologico (presenza di batteri, virus, tossine o parassiti)
  • chimico (residui di detergenti, fertilizzanti, ormoni)
  • fisico (schegge di legno, frammenti di vetro o di plastica, viti, bulloni, capelli, peli)

Analizzando i pericoli si valutano i rischi ad essi associati cioè la probabilità e la gravità con cui un pericolo si presenta. Dall’analisi dei pericoli e dalla valutazione del rischio emergono quelle fasi della produzione in cui i controlli sono critici. Il punto critico di controllo (CCP) è, infatti, una fase del processo che deve essere necessariamente controllata per prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile il manifestarsi di un pericolo.

Dalla teoria alla pratica

Il processo operativo della reale applicazione dell’HACCP si snoda attraverso tre fasi:

  • il soddisfacimento dei prerequisiti aziendali
  • l’elaborazione di un programma preliminare
  • l’applicazione dei sette principi

I prerequisiti aziendali

lo stabilimento deve essere progettato in modo da minimizzare la contaminazione e consentire una corretta manutenzione e pulizia. La struttura deve essere lontana da zone inquinate o che possano in qualche modo contaminare il prodotto. Le aree soggette a condizioni climatiche e ambientali a rischio (inondazioni, infestazioni di parassiti) non sono ritenute idonee. La costruzione delle strutture interne e le attrezzature devono prevedere l’impiego di materiale durevole e facile da pulire.

Facciamo qualche esempio: i pavimenti, le porte, le pareti devono avere superfici lisce e non assorbenti in modo da evitare l’accumulo di sporco e facilitare la pulizia. Le finestre devono essere dotate di reti antinsetto per evitare il rischio di infestazioni. L’impianto dell’acqua potabile deve essere separato da quello dell’acqua non potabile. I locali devono essere dotati sia di acqua fredda che calda ed i rifiuti devono essere smaltiti adeguatamente. Questi sono solo alcuni dei prerequisiti aziendali necessari per l’applicazione del metodo HACCP.

L’elaborazione di un programma preliminare

Appurata l’idoneità dello stabilimento di produzione si passa all’elaborazione del programma preliminare. Il primo step è quello di formare un gruppo di lavoro cioè una squadra di persone con competenze specifiche per gestire l’HACCP. All’interno del team si definisce un responsabile (lead auditor) che coordina le diverse attività. Le dimensioni del gruppo variano a seconda dell’impresa alimentare. Maggiori sono le dimensioni del processo maggiore è il numero di rischi da valutare e di conseguenza aumentano le attività di controllo da mettere in pratica.

A questo punto, il gruppo fornisce una completa descrizione del prodotto (materie prime, cottura, conservazione ecc.) e disegna un vero e proprio diagramma di flusso. Questo rappresenta, su carta, tutte le fasi del processo: dal ricevimento delle materie prime alla commercializzazione del prodotto finale. Infine, si attua la verifica in campo del diagramma cioè si va in produzione con “carta alla mano” e si verifica se le fasi descritte sono effettivamente quelle attuate dal processo.

L’applicazione dei sette principi

  1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre
  2. Identificare i punti critici di controllo (CCP-Critical Control Points) nelle fasi in cui è possibile prevenire, eliminare o ridurre un rischio
  3. Stabilire, per questi punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità
  4. Definire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo
  5. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo (superamento dei limiti critici stabiliti)
  6. Determinare le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate
  7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare.

Spieghiamoli meglio questi principi

Il primo impone l’individuazione dei possibili pericoli che potrebbero verificarsi in ogni fase della produzione. Quindi, aiutandosi con il diagramma di flusso, si analizzano i pericoli a cui il prodotto può andare incontro. Ad esempio, nella fase di ricevimento di una materia prima come il latte, se questo non viene trasportato in condizioni igieniche idonee può andare incontro a pericoli di tipo microbiologico e fisico.

Individuato il pericolo, si procede con l’identificazione del CCP che potrebbe anche non esserci. Questo dipende dal tipo di prodotto e dal processo di trasformazione.

Come si stabilisce se una determinata fase di produzione è un CCP o no? Attraverso l’albero decisionale cioè una sequenza di domande a risposta guidata che consentono di stabilire se quella fase è un CCP. In breve, se la risposta alla domanda che ci chiede se esistono operazioni successive in grado di eliminare o ridurre il pericolo è “No” allora ci troviamo di fronte ad un CCP. Questo implica un monitoraggio del punto per esser certi che quella fase critica della produzione sia sempre sotto controllo.

Il terzo principio suggerisce di fissare un limite (un valore numerico) per stabilire se il CCP è sotto controllo. Ad esempio, se il CCP è la temperatura di conservazione del latte e sappiamo tramite prove analitiche che deve essere conservato ad una temperatura massima di 4°C, il limite critico sarà 4°C.

Per tenere sotto controllo il limite critico si attuano delle procedure di sorveglianza (principio 4). Il team HACCP dovrà quindi mettere in pratica dei controlli della temperatura per garantire che non venga superato il limite.

Può succedere che qualcosa non vada per il verso giusto ed è in questo caso che si applicano le azioni correttive previste dal principio 5. Un esempio potrebbe essere la cella frigo dove viene stoccato il latte e che per qualche motivo non ha mantenuto la refrigerazione. Questo vuol dire che il CCP non è sotto controllo e che il prodotto potrebbe aver subito delle modificazioni tali da comprometterne la sicurezza. Le azioni correttive da attuare saranno quelle di controllare la sicurezza del prodotto e di ripristinare il corretto funzionamento della cella. In questa fase, un’attenta analisi delle cause evita che la situazione si ripresenti in futuro.

L’insieme dei controlli da eseguire giornalmente deve essere fissato secondo procedure di sorveglianza. Queste devono essere comunicate al personale addetto e verificate dal responsabile HACCP (principio 6). Tali procedure possono includere il controllo delle temperature, delle condizioni igieniche dei trasporti, le analisi sul prodotto, l’elenco delle non conformità e delle azioni correttive, ecc.

A chiudere il processo operativo è il principio 7 che viene solitamente descritto con la seguente frase: “tutto ciò che si fa deve essere scritto e tutto ciò che si scrive deve essere fatto”. Significa che ogni procedura di controllo deve essere registrata e la documentazione adeguatamente conservata, aggiornata ed esibita alle autorità competenti in fase di ispezione.

Conclusioni

Il piano HACCP rappresenta il sistema di autocontrollo dell’intero processo produttivo e non solo del prodotto finale. E’ specifico per ogni impresa alimentare perché diverse aziende possono attuare processi diversi anche se producono lo stesso alimento. L’identificazione dei CCP non può essere eseguita a priori, ma solo dopo un’attenta analisi dei pericoli basata su indagini scientifiche. Un attento monitoraggio dei CCP può scongiurare la presenza di pericoli nell’alimento. Il risultato finale sarà un piatto appetitoso ma soprattutto sicuro.

Bibliografia

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