Il capodoglio è tra i giganti del mare: lungo fino a 18 metri – quanto quattro automobili e mezzo messe in fila! – e pesante quanto 12 elefanti indiani (50 tonnellate), preda abitualmente i famosi calamari giganti. I capodogli li vanno a cercare nelle profondità oceaniche spingendosi oltre i due chilometri sotto il livello del mare: laddove non arriva luce, dove la pressione è talmente elevata da richiedere speciali accorgimenti anatomici per sopportarla. Loro possono rimanere in queste condizioni fino ad un’ora e mezza, senza prendere respiro.
Sono i più grandi mammiferi dotati di denti, hanno ispirato la letteratura fin dai tempi della Bibbia – e chi altro pensavate fosse il Leviatano? – per arrivare a “Moby Dick” e sono gli animali viventi con il cervello di dimensioni maggiori. I capodogli sono certamente capaci di collezionare record e di stuzzicare l’immaginazione per le loro notevoli caratteristiche.
Eppure da secoli minacciamo le loro vite: consapevolmente, con la caccia sfrenata che abbiamo dato loro fino a tempi recenti e che ha causato un drastico calo delle loro dimensioni per effetto della selezione fatta dai balenieri; e ora anche inconsapevolmente con gesti tanto incoscienti, leggeri e stupidi quanto gettare in mare, sulle spiagge o nei fiumi dei rifiuti di plastica che non sono biodegradabili e che nella loro lunga vita vengono solitamente scambiati per cibo da diverse specie marine e da esse ingeriti.
Il caso
È datato giovedì 28 novembre 2019 l’ultimo ritrovamento di un capodoglio morto spiaggiato – un subadulto, ovvero un giovanotto con tutta la vita davanti – sulle coste di Luskentyre, nelle isole Ebridi esterne (Scozia).
Dei volontari dello Scottish Marine Animal Stranding Scheme (Smass), una rete di pronto intervento e al contempo di ricerca organizzata e finanziata congiuntamente dai governi britannico e scozzese, sono da subito intervenuti per studiare le cause del tragico evento e, tra le altre cose, hanno aperto l’animale per farne l’autopsia e studiare il contenuto del suo stomaco.
Le sue condizioni generali di salute, ha reso noto lo Smass, erano in generale buone, senza segni di malnutrizione. La concausa più probabile dello spiaggiamento è stata quindi una tempesta, che potrebbe aver disorientato l’animale. Tuttavia ha destato orrore l’enorme quantità di rifiuti di plastica presente nel suo stomaco. Reti da pesca, bicchieri e sacchetti di plastica accumulatisi nel tempo minacciavano di ostruire il suo intestino e certamente diminuivano la sua capacità gastrica.
Purtroppo non si tratta del primo caso di questo genere, e altri esemplari sono invece morti proprio di fame. Le plastiche disperse in mare, in tutte le loro forme, stanno diventando uno dei problemi ambientali più gravi del terzo millennio, insieme a crisi climatica, inquinamento, caccia e pesca indiscriminate, deforestazione e perdita degli habitat naturali.
Queste e altre attività umane sono i motori di una enorme perdita di biodiversità che ha ormai assunto le proporzioni di un’estinzione di massa e che rischia di lasciarci solamente il ricordo di molti dei più straordinari abitanti del pianeta. Molte foto e filmati, qualche scheletro esposto nei musei, delle citazioni letterarie e tanto, troppo da lasciare all’immaginazione.