Giochi di ruolo: analisi psicologica della vita offline-online
Giocare è forse l’attività più semplice e più innata nell’uomo tanto che, sin da piccolo, egli sfrutta questa modalità di relazione al mondo per conoscersi e scoprire tutto ciò che è intorno a lui. Nessuno infatti insegna al bambino come agire e come servirsi degli elementi del mondo circostante per costruire una realtà di gioco, eppure egli ne fa quasi un compito quotidiano.
Per quanto possa apparire comune, in realtà l’azione ludica è carica di significati e di scopi che solo a una lettura meno attenta possono scomparire nell’ombra della banalità.
Non è dunque un caso che anche in età adulta il gioco permanga nelle sue molteplici forme odierne come mezzo di divertimento e che venga addirittura utilizzato in alcuni casi come strumento di apprendimento. Fatta questa premessa, addentriamoci nel mondo dei giochi di ruolo.
I giochi di ruolo: Perchè vivere offline?
L’uso del “Role playing” in psicologia
Proprio con queste finalità viene usato in psicologia nella forma del “role playing” (giochi di ruolo), soprattutto nelle situazioni gruppali e lavorative. Con quest’espressione si definisce un metodo formativo che ha alla base la chiave della simulazione. Esso infatti si configura come una rappresentazione scenica che sfrutta il rapporto interpersonale che si viene a creare dalla messa in atto di un comportamento reale in una situazione immaginaria. (Capranico, 1997)
L’apprendimento è perciò vicariato dalla riproduzione attiva di problemi e situazioni attraverso il “mettersi nei panni di”. Generalmente il suo utilizzo prevede che i partecipanti svolgano alternativamente il ruolo di attori e osservatori della messa in scena; questa dicotomia permette al singolo di avere stimoli educativi dettati dall’osservazione degli altri, dai commenti sul proprio operato o dall’analisi del coinvolgimento, spesso anche emotivo, della situazione vissuta.
La protezione data dalla situazione immaginaria permette di apprendere senza essere bloccati dalle paure, acquisendo così nuove competenze. Agendo in un contesto non individuale, si possono vedere sia nuovi lati di sé, sia riuscire a raggiungere una consapevolezza del proprio gruppo di appartenenza.
Un’altra veste dei giochi di ruolo: L’uso nei videogiochi
I giochi di ruolo, però, non sono solo un tema caro alla psicologia. Questo specifico sistema relazionale può essere utilizzato, con finalità comunque diverse, anche nell’ambito videoludico. Con il termine “gioco di ruolo” si intende infatti una modalità ludica nella quale chiunque può interpretare uno o più personaggi.
Non esiste concretamente azione giocata, ma essa potrebbe essere definita “azione scritta” in quanto il gioco si articola tramite il colloquio dei partecipanti. Con tali conversazioni si crea così lo scenario in cui ambientare le proprie scelte e dove prendono vita gli stessi intrecci, spesso guidati da un master, una sorta di arbitro che, oltre a dettare i confini della seduta di gioco, può avere forte influenza sulle azioni messe in atto dai giocatori.
La letteratura e le sue scoperte sul Role Playing videoludico
Sul tema la letteratura scientifica presenta vari filoni di studio che mettono in luce dettagli veramente diversificati. Uno studio australiano, ad esempio, ha voluto analizzare se questa specifica modalità di gioco potesse avere una correlazione maggiore rispetto alle altre con disturbi e psicopatologia in caso di uso massiccio (Berle et al., 2015). Basandosi sull’assunto già dimostrato in precedenza della possibile influenza nello studio o nel lavoro del videogioco per alcuni individui (Gentile, 2009) o nelle relazioni sociali (Achab et al., 2011), questa ricerca, condotta tramite questionari a un campione internazionale di quasi ben duemila giocatori, sembra aver contenuto la problematicità insita nei giochi di ruolo.
I risultati hanno infatti sottolineato che i giochi di ruolo non hanno nessuna possibilità di indurre situazioni psicopatologiche in misura maggiore rispetto alle altre forme videoludiche, ma fanno registrare un uso più problematico e maggiori interferenze con la quotidianità. In particolare sembra essere il tempo di gioco la chiave che lega, correlandoli, la forma ludica alle potenziali conseguenze negative.
Cosa si intende per uso problematico? Gli autori dello studio sostengono che proprio in questo specifico spaccato del game-play i giocatori sono indotti a giocare più di quanto pianificano, pur non volendolo, provando addirittura situazioni di irrequietezza o irritabilità se si presenta l’impossibilità di interfacciarsi col gioco. Nei casi in cui si presenta la possibilità di azione collaborativa per raggiungere gli obiettivi di gioco è come se ci si sentisse obbligati a partecipare e, di contro quindi, aumentare la permanenza nel portale. (Collins, 2012)
Quando la personalità è alimentata dal videogioco
Nonostante sia una tematica in realtà molto nuova nella letteratura scientifica (esistono infatti molti pochi dati e decisamente altrettanto scarne conclusioni), alcuni studi hanno persino voluto indagare quanto la personalità del videogiocatore potesse potenzialmente influenzare i comportamenti in gioco e fuori dalla dimensione ludica.
I risultati, ancora troppo precoci, non possono darci indicazioni concrete e totalmente certe, ma possono creare un terreno preventivo, base anche per prossime analisi. Innanzitutto sembra che i giocatori di giochi di ruolo non abbiano necessariamente una dinamica di uso compulsivo o di abuso sia di media che di sostanze superiore alla norma, quindi la struttura del gioco non induce alla dipendenza.
Ciò che sembra più rischioso è il livello di piacevolezza e il basso senso di autocontrollo: come precedentemente assunto, oltre alla dinamica temporale sembra essere proprio questo l’elemento cardine per passare da una modalità di gioco funzionale a una del tutto contraria. Lo studio, sulla base dell’analisi delle caratteristiche di personalità, ha anche evidenziato la mancanza di livelli di introversione o di bassa autostima nel campione partecipante.
Ciò sottolinea che alla base non esiste una personalità incapace nell’interazione sociale che predisponga a queste tipologie di gioco. Sono stati comunque riscontrati dei livelli di accettazione sociale più bassi della norma, a conferma che comunque la socializzazione sembra essere un problema per questi specifici videogiocatori, ma le ricerche devono ancora comprendere il corretto rapporto tra role playing e abilità sociali. Allo stato della letteratura odierna si può quindi solo affermare che il piacere nel gioco e l’autocontrollo siano i tratti base per una distinzione tra giocatore problematico e non.
Un modo per superare la dicotomia tra offline e online
Fa anche molto riflettere l’influenza che tale tipologia di gioco ha avuto nella stessa interfaccia ludica del web: gli ambienti di gioco che si creano tramite i giochi di ruolo non sono in realtà totalmente dei mondi fantastici, ma sono luoghi che diventano concreti e quasi reali per il giocatore a causa di azioni nel qui e ora. Gli stessi elementi tecnici come la carta e penna o il pc simulano quasi un’interazione faccia a faccia, poiché collegano necessariamente ad altri individui che sono responsabili della comune dinamica di gioco.
Se si volesse ampliare l’ottica adottata dal ricercatore Alessandro Tietz (2015), è come se proprio questi oggetti che permettono la comunicazione tra giocatori volessero ambire a ristabilire la connessione fisica che potrebbe esserci tra individui all’esterno e che, vista la dinamica online, in realtà in questo caso non esiste.
L’avatar dietro cui ci si nasconde è perciò una sorta di corpo sociale: esso non ha connotati fisici, poiché non è di carne e ossa, ma ha una valenza sociale in quanto unisce il mondo reale con l’online. Attualmente purtroppo è ancora lunga la strada per un’analisi più profonda di un fenomeno in forte crescita come quello del gioco di ruolo. Solo il tempo e la ricerca potranno dare tutte le risposte che appassionati e giocatori cercano sia durante la fase di gioco, sia a posteriori, nelle riflessioni sui meccanismi e sui compagni della dimensione ludica vissuta.
Fonti
- Achab, S., Nicolier, M., Mauny, F., Monnin, J., Trojak, B., Vandel, P., Haffen E. (2011). Massively multiplayer online role-playinggames: Comparing characteristics of addict vs non-addict online recruited gamers in a French adult population. BMC Psychiatry, 11,144.
- Berle, D., Starcevic, V., Porter, G. and Fenech, P. (2015), Are some video games associated with more life interference and psychopathology than others? Comparing massively multiplayer online role-playing games with other forms of video game. Australian Journal of Psychology, 67: 105–114.
- Collins, E., Freeman, J., & Chamarro-Premuzic, T. (2012). Personality traits associated with problematic and non-problematicmultilpayer online role playing game use. Personality and Individual Differences, 52, 133–138.
- Gentile, D. (2009). Pathological video-game use among youth ages 8 to 18: A national study. Psychological Science, 20, 594–602.
- Tietz (2015), Embodiment Online and Interaction in Massively Multiplayer Online Games, in Thaddeus Müller (ed.) Contributions from European Symbolic Interactionists: Conflict and Cooperation (Studies in Symbolic Interaction, Volume 45) Emerald Group Publishing Limited, pp.119 – 136