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Fuochi Fatui: leggenda o realtà?

Nel Folklore anglosassone i fuochi fatui sono legati alla leggenda “Will-o’-the-wisp“, nella quale si narra di un fabbro malvagio di nome Will che, giunto alla fine dei suoi giorni, incontra San Pietro all’ingresso dei cancelli dorati. Il santo lo rimanda sulla terra per redimersi e meritarsi l’ingresso in paradiso ma Will si dimostra incapace nell’assolvere il compito e viene condannato a vagare sulla Terra per l’eternità, con in mano un carbone ardente per scaldarsi. Fedele alla sua malvagità, Will si serve del carbone luminoso per attirare in trappola gli ignari viaggiatori che, notando e seguendo la luce, vengono condotti in fitte foreste e terribili paludi dalle quali è impossibile uscirne. [1] Questa leggenda ha origine dal fenomeno noto come ignis fatuus o fuoco fatuo.

Cos’è un fuoco fatuo? E da cosa è creato?

Questo fenomeno è stato ampiamente osservato in tutta Europa e in Nord America, almeno fino al XIX secolo. È stato spesso avvistato nelle paludi o stagni, ma anche nei cimiteri e si poteva osservare in notti buie e calde. Queste fiamme venivano descritte gialle luminose al centro con un colore blu ai bordi. In loro vicinanza non si sentiva nessuna sensazione di calore ma avevano intensità sufficiente ad illuminare i dintorni. Di questi avvistamenti, però, nei tempi moderni non c’è più traccia.

Le piante e gli animali sono composti principalmente da carbonio, idrogeno e ossigeno. La materia organica morta va incontro a differenti processi di decadimento e, se collocata in ambienti con assenza di ossigeno (come sottoterra) entra in moto un processo definito decomposizione anaerobica che produce principalmente metano e anidride carbonica. Nei secoli passati i corpi dei propri defunti venivano sotterrati direttamente nel terreno e questi gas fuoriuscivano nell’aria mentre ora, con le bare di zinco a fare da isolante, questo non avviene più.

La prima teoria storica più accettata fu presentata da Alessandro Volta subito dopo aver scoperto il metano nell’estate del 1776. Volta credeva che i fulmini interagissero con questi gas e causassero la formazione delle “luci tremolanti“. Passò più di un secolo prima che la teoria di Volta fosse dimostrata, risultando più o meno corretta. L’accensione di queste sostanze è, in realtà, un processo spontaneo ed è stato attribuito alla fosfina, una molecola descritta per la prima volta nel 1789 da Lavoiser come idrogeno fosforizzato, la cui presenza nelle emanazioni gassose è attribuita alla putrefazione della materia organica fosfatica (come corpi di animali). Le fosfine sono dei gas infiammabili altamente tossici e sono anche così instabili che quando esposte all’aria possono esplodere in fiamme spontanee in modo imprevedibile. [2]

Questa combustione delle fosfine nelle paludi non solo forma una luce blu – verdastra intensamente luminosa, ma crea anche spesse nuvole bianche. La densa nebbia bianca amplifica le dimensioni apparenti della fiamma e questa illusione visiva spiega le leggende nelle quali vengono interpretate come apparizioni di spiriti o anime dei morti. Conoscendo ora la causa di questi fuochi fatui possiamo fare luce anche su un altro archetipo mitologico: quasi tutte le leggende che presentano come protagoniste queste luci raccontano che, quando vengono avvicinate, “si allontanano” e “si disperdono”.

Quando un oggetto si sposta verso questa reazione chimica, infatti, causa uno spostamento dell’aria che provoca una circolazione di correnti calde e fredde causando il diradamento e sparizione di questo fenomeno.

Ora sappiamo la teoria scientifica dietro ai fuochi fatui, ma questo fenomeno rimarrà per sempre circondato da un alone sovrannaturale di mistero, legandolo eternamente alle leggende di fantasmi, racconti dell’orrore e composizioni poetiche.

“Solo la morte m’ha portato in collina
un corpo fra i tanti a dar fosforo all’aria
per bivacchi di fuochi che dicono fatui
che non lasciano cenere, non sciolgon la brina.” [3]
– Un Chimico – Fabrizio de Andrè –

Referenze

  • Will-o’-the-wisp – Wikipedia
  • Will-o’-the-Wisp: an ancient mystery with extremophile origins? – The Royal Society
  • Fabrizio de Andrè – “Un Chimico”
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