Qual è, secondo voi, il luogo più inospitale per la vita sulla superficie terrestre? Un deserto? Effettivamente i deserti sono poveri di vita, ma ci vivono comunque piante e animali adattati alle loro condizioni estreme, come le succulente o i topi del deserto. I fondali oceanici? Nemmeno, esistono pesci abissali e gasteropodi che vivono accanto alle bocche idrotermali e creano il loro guscio usando, letteralmente, il ferro. Molti altri ambienti estremi, come i laghi molto salati, sono tutt’altro che sterili.
Che ne dite, allora, di una centrale nucleare? Sicuramente dove ci sono alti livelli di radiazioni nucleari nulla può vivere. E invece no, dicono i funghi radiotrofici.
Funghi che “mangiano” le radiazioni?
Ebbene sì. Il mondo microbico continua a sorprenderci e ad ampliare il limite di ciò che una forma di vita biologica è in grado di usare come nutrimento. Quelli che chiamiamo “microbi”, in generale, sono tutti gli organismi tanto piccoli da essere osservabili solo al microscopio. È il caso, ad esempio, di batteri, amebe, funghi e tardigradi: tutti organismi estremamente diversi tra loro, ma accomunati dal bisogno di nutrirsi. Se spesso il loro cibo è abbastanza “convenzionale” – sostanze organiche come gli zuccheri, più o meno come noi umani – alcuni batteri possono nutrirsi di cibi più “estremi”: plastiche, nylon, petrolio, sali inorganici e acidi. Amorphotheca resinae (Parbery, 1969) è un fungo in grado di metabolizzare il cherosene, prodotti petroliferi e alcuni inquinanti organici persistenti come il DDT (para-diclorodifeniltricloroetano), un insetticida.
Nel menù, ormai, mancavano solo le radiazioni. Al momento sono state scoperte più di un centinaio di specie in grado di sopravvivere in ambienti estremi come, per l’appunto, i reattori nucleari, le vasche di acqua utilizzate per il loro raffreddamento e la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Le più studiate sono Cladosporium sphaerospermum, Wangiella dermatitidis e Cryptococcus neoformans, scoperte dal 1991 in poi[1].
Funghi radiotrofici
Come riescono i funghi a sopravvivere in questi ambienti? Essi crescono letteralmente in direzione dei residui del reattore più caldi e radioattivi. Il processo funziona in modo simile al fototropismo delle piante, il processo che permette agli organismi vegetali di crescere in direzione dei raggi solari dei quali hanno bisogno. In questo caso, invece, al posto della luce solare ci sono i pezzi delle barre di grafite usate come sistema di controllo all’interno del core del reattore.
Una volta raggiunto un punto ottimale, il fungo assorbe le radiazioni grazie a una ricca quantità di pigmenti melanici. Essi sono simili alla melanina, la proteina (presente anche nel nostro corpo) che dà colore alla pelle e aumenta in caso di prolungata esposizione al Sole, perché il suo compito è quello di proteggerci dai danni causati dai raggi ultravioletti, assorbendoli. Come la melanina assorbe gli UV, questi pigmenti melanici sono in grado di processare l’energia assorbita dalle radiazioni nucleari senza danni per l’organismo e di convertirla in energia chimica in forma utilizzabile.
Evoluzione dei funghi radiotrofici
Ma da dove può essere spuntato un organismo del genere, verrebbe da chiedersi? Dalla selezione naturale, il processo su piccola scala che, nel tempo, porta all’evoluzione delle specie. Nel momento in cui vari funghi vengono esposti alle radiazioni, se uno tra essi ha le caratteristiche che gli permettono di sopravvivere all’esposizione, a differenza degli altri, riuscirà a sopravvivere meglio e a trasmettere queste caratteristiche alla generazione successiva.
I funghi ricchi di melanine, però, non crescono solo all’interno del reattore distrutto di Černobyl’. Alcune specie sono state trovate in luoghi incontaminati che condividono alcune caratteristiche: scarsità di nutrienti, elevata altitudine e grande esposizione ai raggi ultravioletti, per via del minor spessore dell’atmosfera d’alta quota. Questo tipo di ambiente è sicuramente meno estremo rispetto a un sito contaminato da radiazioni nucleari, ma le specie che ci vivono non hanno a disposizione altro cibo che le alte dosi di energia ultravioletta cui sono esposte.
Radiosintesi
La radiosintesi, in chimica, è una reazione che si produce per assorbimento di particelle nucleari[2]. L’idea che potesse esistere una controparte biologica era già stata proposta nel 1956 dal microbiologo russo S. I. Kuznetsov[3].
I meccanismi specifici di questa reazione sono ancora per la maggior parte sconosciuti. Quello che è stato osservato, però, è come le specie di funghi radiotrofici crescano più velocemente se esposte alle radiazioni[1]. Tra le specie fatte crescere a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, Cladosporium sphaerospermum ha dimostrato di crescere meglio nello spazio che sulla Terra e di essere in grado di assorbire buona parte della radiazione ionizzante a cui è stato esposto.
In questi organismi le melanine sembrano coinvolte in un qualche tipo di trasporto di elettroni, il che significa un guadagno netto di energia come accade nelle piante con la luce solare. Questo fenomeno, tuttavia, non è ancora stato studiato a fondo e rimane, quindi, da comprendere[4].
Future applicazioni
Dagli esperimenti svolti a bordo della ISS si traggono varie e interessanti idee. La prima riguarda i viaggi spaziali: la radiazione cosmica è uno dei problemi più importanti da affrontare, se si vogliono programmare lunghi periodi di permanenza nello spazio. Se fossimo in grado di schermarla, diminuendo la pericolosità di esposizione di questo ambiente, i viaggi nello spazio potrebbero diventare decisamente più sicuri per gli astronauti.
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Nell’ottica di una futura colonizzazione lunare e marziana, degli schermi formati da strati di questi funghi potrebbero diventare la risorsa migliore di cui disporre. C. sphaerospermum potrebbe essere utilizzato come modello per la produzione di schermi autoreplicanti e autoriparanti, grazie alla tecnica del 3D bioprinting[4].
Sulla Terra, invece, le biotecnologie possono prendere spunto dalla scoperta di queste melanine per il problema del trattamento dei rifiuti nucleari. Processarli grazie ai funghi radiotrofici potrebbe risolvere, o almeno ridurre, i costi e le difficoltà di smaltimento di questi scarti, diminuendo il loro impatto ambientale ed economico.
La capacità di assorbire le radiazioni non risulta essere utile solo nello spazio. Coloro che operano con materiali radioattivi, fonti di radiazioni o che subiscono più irradiazione del lavoratore medio beneficerebbero dell’applicazione di queste tecnologie per la protezione della loro salute, come ad esempio i lavoratori delle centrali nucleari, ricercatori, medici e pazienti coinvolti nella radioterapia e piloti di aerei. Ciò che è affascinante, comunque, è come guardando nel mondo naturale si trovino ancora soluzioni per le sfide che la nostra specie sta affrontando oggi, e che affronterà in futuro.
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Referenze
- Dadachova, E. . . . and A. Casadevall (2007). Ionizing radiation changes the electronic properties of melanin and enhances the growth of melanized fungi. PLoS ONE 2(May):e457
- Radiosìnteṡi – Treccani
- Kuznetsov, S. I. (March 1, 1956). On the Question of Possibility of “Radiosynthesis. Mikrobiologiya (articolo in russo).
- Graham K.Shunk, Xavier R.Gomez, Nils J. H.Averesch (2020). A Self-Replicating Radiation-Shield for Human Deep-Space Exploration: Radiotrophic Fungi can Attenuate Ionizing Radiation aboard the International Space Station. bioRxiv.