L’intensificazione delle attività agricole ha portato in primo piano la necessità di sviluppare nuove pratiche che mitighino gli effetti negativi sull’ambiente. Dal secondo dopoguerra, infatti, l’uso dei pesticidi di sintesi rappresenta il sistema fondamentale di controllo di patogeni e parassiti delle piante coltivate. Per ridurre l’impatto di tali prodotti in agricoltura occorre partire da una migliore comprensione delle varie componenti degli ecosistemi, a cominciare dagli organismi utili nella lotta biologica. I funghi entomopatogeni sono microorganismi in grado di infettare in maniera specifica gli insetti e, in tale contesto, sono probabilmente i più noti agenti di biocontrollo.
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Recentemente, non a caso, numerosi studi stanno rivelando le attitudini dei funghi entomopatogeni, svariate e inattese: una maggiore comprensione delle loro interazioni ecologiche potrebbe favorire il loro sfruttamento nella protezione delle piante su scala globale.
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Quali sono i funghi entomopatogeni?
I funghi entomopatogeni vengono in genere identificati in seguito al loro reperimento sui cadaveri di insetti ed altri artropodi. Indagini specifiche o isolamenti occasionali fanno crescere sempre di più il numero di specie. Pertanto, nonostante siano state stimate circa 1000 specie di funghi entomopatogeni[1], non ha molto senso cercare di rappresentare con cifre esatte la dimensione di questa categoria di microrganismi.
L’introduzione delle tecniche biomolecolari, prima fra tutti il sequenziamento del DNA, è stato poi un passo decisivo per l’identificazione tassonomica. Le tecniche molecolari hanno infatti accertato che i funghi entomopatogeni non costituiscono un raggruppamento a sé stante. Piuttosto, la particolare attitudine ad infettare insetti è distribuita tra i vari gruppi di funghi.
La stragrande maggioranza dei funghi entomopatogeni ricade all’interno di due gruppi, quello degli zigomiceti (Zygomycota) e quello degli ascomiceti (Ascomycota). Sono noti, inoltre, anche generi appartenenti agli eumiceti (Eomycota) e ai basidiomiceti (Basidiomycota). La revisione condotta su base molecolare ha infatti permesso di identificare numerose specie che appartengono a gruppi sistematici differenti, in cui l’attitudine entomopatogena non era mai stata fino ad ora accertata. Tra le più note, citiamo le specie appartenenti ai generi Aspergillus e Penicillum, ed ancora Fusarium e Acremonium[2].
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Scoperta dei funghi entomopatogeni e primi studi
I primi studi inerenti i funghi entomopatogeni risalgono all’inizio del XIX secolo. Traendo spunto dalla necessità di controllare un’infezione del baco da seta (il calcino), il naturalista Agostino Bassi (1773-1856) individuò l’agente eziologico di questa malattia proprio in un fungo, poi denominato Beauveria bassiana.
La scoperta che tale fungo fosse capace di infettare anche altri insetti stimolò in altri scienziati (come Pasteur e LeConte) l’idea di utilizzare di proposito i patogeni fungini.
Con l’avvento in agricoltura delle molecole di sintesi, però, l’uso dei funghi entomopatogeni fu progressivamente abbandonato. La loro ecologia d’impiego, infatti, non era ancora stata compresa fino in fondo e creava false aspettative su una loro comparabile efficacia con gli insetticidi di sintesi[3].
Ciclo vitale dei funghi entomopatogeni
Modalità d’infezione
I funghi entomopatogeni infettano i loro ospiti attraverso la dispersione di spore e conidi (le strutture cellulari deputate alla riproduzione rispettivamente sessuale e asessuale del fungo stesso) nell’ambiente circostante. Una volta a contatto con l’ospite, le spore germinano e producono appressori, ossia corti rametti di ife che fanno aderire il fungo al substrato.
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Successivamente, vengono generate delle ife vegetative, le quali penetrano nel corpo dell’insetto attraverso le aperture del suo esoscheletro. La germinazione delle spore è soggetta a reazioni di riconoscimento fungo-insetto ancora da definire, nonché a svariati fattori regolatori di origine ambientale, primo fra tutti l’umidità. Per poter germinare correttamente, infatti, le spore fungine necessitano di elevati valori di questo parametro.
Una volta penetrato nell’apparato circolatorio dell’insetto, il fungo deve debellare le difese immunitarie del suo ospite: è a questo punto che il fungo impiega tutte le sue armi biochimiche, in una complessa serie di eventi che prevede il rilascio di particolari enzimi litici (enzimi in grado di distruggere le componenti cellulari dell’insetto) e di tossine.
Successivamente, il fungo colonizza anche gli altri tessuti dell’insetto attraverso modalità differenti, a seconda del tipo di interazione nutrizionale del fungo[4].
Interazioni nutrizionali fungo-insetto
Possiamo distinguere tre diverse modalità di interazioni nutrizionali tra fungo e insetto:
- la biotrofia;
- la necrotrofia;
- l’emibiotrofia.
Nella biotrofia, il fungo si nutre delle cellule viventi dell’organismo ospite. Nella necrotrofia, invece, il fungo si nutre essenzialmente dei tessuti morti dell’ospite. Infine, nell’emibiotrofia, la più comune, la necrotrofia si verifica dopo una fase iniziale di tipo biotrofa.
Alla morte dell’insetto, il fungo emerge e rilascia le sue spore all’esterno del cadavere, assicurando così la loro persistenza nell’ambiente per periodi più o meno lunghi di tempo. In qualche caso, si è attestata anche la produzione e la dispersione delle spore dal corpo di insetti ancora vivi[4].
Effetti sul comportamento degli insetti
I funghi entomopatogeni mostrano una grande varietà di adattamenti al parassitismo, essendo essi in grado di superare le difese immunitarie dell’ospite, di ottenerne nutrimento e addirittura di modularne alcune risposte comportamentali. Ad esempio, alcuni funghi stimolano l’insetto ad arrampicarsi verso la cima delle piante, con il conseguente vantaggio di aumentare il raggio di dispersione delle spore[4].
Particolarmente noto è ad esempio il caso di Ophiocordyceps unilateralis, un fungo entomopatogeno che induce le formiche infette ad arrampicarsi sulle piante. Morendo, l’insetto serra le mandibole nel punto raggiunto e fissa così il proprio corpo nella posizione favorevole al rilascio delle spore[5].
Interazioni con le piante
Ma non finisce qui. Le interazioni ecologiche dei funghi entomopatogeni coinvolgono anche le piante. Nel terreno, infatti, i funghi sono assai diffusi al livello della rizosfera, la porzione di suolo sotto influenza diretta delle radici. Qui, molti funghi entomopatogeni sono in grado di vivere a stretto contatto con le piante, assicurando loro un vantaggio a fronte dell’eventuale attacco di fitofagi.
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Questo aspetto è di fondamentale importanza in quanto molti funghi entomopatogeni sono anche in grado di colonizzare i tessuti interni della pianta. Vivere come organismo simbionte all’interno dei tessuti di una pianta (organismo endofita), infatti, sembrerebbe far aumentare in maniera sostanziale la capacità di sopravvivenza della pianta stessa, grazie ad una aumentata resistenza ad eventuali attacchi di fitopatogeni.
Nonostante l’attitudine endofitica di alcuni funghi entomopatogeni sia stata osservata in ambienti sia naturali che antropizzati, l’esatto meccanismo con il quale le piante siano riuscite a stimolare l’adattamento endofitico dei funghi non è ancora del tutto chiaro.
Il rapporto endofitico che si viene a instaurare tra funghi e pianta potrebbe essere sfruttato come una e vera e propria arma nelle strategie di controllo integrato[3].
Utilizzo dei funghi entomopatogeni in agricoltura
Affinchè i funghi entomopatogeni possano trovare un effettivo impiego nella produzione di preparati commerciali (chiamati micopesticidi) da impiegare in agricoltura, è indispensabile conoscere quali siano le migliori condizioni d’impiego dei formulati e le modalità di trattamento più opportune.
In particolare, ciò che rende appetibile l’utilizzo dei micopesticidi è la possibilità di utilizzo in una prospettiva di difesa integrata, in cui i funghi entomopatogeni vengono impiegati contemporaneamente ad insetticidi di sintesi. Naturalmente, occorre considerare anche l’effetto delle condizioni ambientali nelle modalità d’impiego; l’inoculo ha infatti una durata di conservazione limitata, e in genere richiede almeno 2-3 settimane per risultare veramente efficace. Inoltre, l’applicazione deve essere effettuata in periodi e/o orari con elevata umidità relativa per non compromettere le spore.
Formulazione dei micopesticidi e modalità di trattamento
La maggior parte dei micopesticidi agisce solo per contatto, a differenza dei pesticidi a base di batteri e virus, che possono agire anche per via sistemica. I micopesticidi riescono infatti a demolire le difese dell’insetto sulla base di tutta una serie di meccanismi biochimici e fisiologici, come la formazione di strutture infettive, il rilascio di tossine e la produzione di enzimi degradativi extracellulari.
La modalità inoculativa rappresenta dunque un’ottima soluzione di applicazione dei micopesticidi ed è di fatto quella ad oggi più utilizzata. Essa si accompagna molto bene ad un approccio multifunzionale: tramite l’inoculazione fungina, si consente infatti l’insediamento nei tessuti e negli organi della pianta di uno o più ceppi. Inoltre, sfruttando il potenziale endofitico dei funghi, è possibile ottenere una protezione delle piante durevole rispettando la salute dell’ambiente[6, 7]. Le applicazioni basate su inoculo sono particolarmente indicate nelle colture protette, dove l’ambiente è circoscritto. L’ecosistema relativamente semplificato, infatti, espone spesso le piante ad un maggior rischio fitosanitario. Risultati positivi sono stati ottenuti in pomodoro e peperoni coltivati in serra con un grado di copertura di oltre il 95% delle colture[8].
Altre modalità di trattamento prevedono l’utilizzo di prodotti a base di propagoli fungini, come spore o sospensioni conidiche: questi possono essere formulati sia come polveri bagnabili che come granuli disperdibili in acqua. Tale prodotti vengono somministrati con applicazioni spray sulle superficie fogliare o sulle altre superfici da trattare in maniera tale da garantire una copertura quanto più completa e duratura[3].
Attualmente, le industrie hanno sviluppato decine di prodotti commerciali il cui principio attivo è dato da almeno una specie fungina. I ceppi prevalentemente utilizzati a questo scopo sono quelli di Beauveria, Isaria e Metarhizium. La ricerca sullo sviluppo e sulla formulazione di questi micopesticidi si sta in particolare concentrando sulla selezione di ceppi più facili da produrre e distribuire su larga scala[9].
Influenza dei fattori ambientali
I micopesticidi sono prodotti a base di funghi entomopatogeni vivi, i quali sono molto suscettibili alle condizioni ambientali. È bene dunque scegliere con cura sia il periodo che le modalità di applicazione di tali preparati.
Agire al momento della semina o al trapianto con ceppi fungini in grado di colonizzare le parti interne della pianta sembrerebbe fornire a quest’ultima una protezione durevole nel tempo. Naturalmente, vi sono numerosi fattori ambientali che influenzano l’entità del fenomeno, come le specie vegetali coinvolte e le condizioni climatiche.
Occorre anche considerare la natura dell’interazione con gli altri nemici naturali degli insetti, come predatori o parassitoidi. In particolare, si è osservata una sorta di azione sinergica sulle piante tra i funghi entomopatogeni e alcune popolazioni di predatori: queste possono infatti giocare un ruolo importante nell’ulteriore diffusione ambientale delle spore fungine. Al contrario, nel caso in cui le popolazioni di predatori siano anch’esse suscettibili di infezione da parte dei funghi entomopatogeni, allora si viene a creare un vero e proprio effetto depressivo ed antagonista[8].
Alcuni esempi di impiego
Per quanto riguarda le applicazioni in campo agrario e forestale, alcune stime indicano che è il Sudamerica il continente leader nell’impiego di micopesticidi, con circa il 43% della produzione globale.
In Colombia, spore di B. bassiana sono state utilizzate per sopprimere la popolazione del punteruolo della bacca di caffé, Hypothenemus hampei[10].
Successi più o meno significativi sono stati ottenuti anche contro altri insetti nocivi, tra cui la piralide asiatica del mais (Ostrinia furnacalis) e il punteruolo della patata dolce (Cylas formicarius)[11].
Su banano, l’inoculazione di B. bassiana è risultata molto efficace contro il punteruolo delle radici, Cosmopolites sordidus[12].
Un altro esempio significativo per la possibilità d’impiego di B. bassiana nella lotta integrata si riferisce alla piralide del mais (Ostrinia nubilalis). Il fungo è infatti capace di insediarsi come endofita all’interno della pianta e di sopravvivere anche a trattamenti con Bacillus thuringensis o carbofurani[13].
Altri impieghi dei funghi entomopatogeni
I funghi entomopatogeni trovano applicazione potenzialmente contro ogni genere di artropodi nocivi, allargando così le potenzialità del loro utilizzo. Un loro possibile uso in ambiente antropizzato è ipotizzabile sulla base dei buoni risultati ottenuti nei confronti della mosca domestica[14] e delle blatte[15].
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Soprattutto, l’uso dei funghi entomopatogeni è particolarmente indicato nella lotta alla malaria. Infatti, si configura la possibilità di non incorrere nella resistenza agli insetticidi di sintesi da parte della zanzara anofele (il vettore della malattia) e di assicurare quindi una protezione durevole[16].
Funghi entomopatogeni e rischio ambientale
Le autorità sanitarie sembrano suggerire che, pur in presenza di possibili effetti minimi, dal punto di vista ambientale, i problemi tossicologici dei funghi entomopatogeni rappresentano un’alternativa comunque migliore agli insetticidi di sintesi.
I rischi connessi all’uso dei micopesticidi sono in particolare legati alla possibile produzione di tossine che, pur non danneggiando in maniera diretta le piante, possono comunque persistere nell’ambiente fino ad arrivare nei prodotti agroalimentari destinati al consumo umano.
Nell’uomo, invece, si potrebbero riscontrare reazioni allergiche a seguito dell’inalazione delle spore fungine. Le autorità sanitarie hanno però ribadito che i rischi maggiori sono connessi al periodo immediatamente successivo al trattamento[17]. In generale, comunque, per quanto riguarda i possibili effetti dannosi per gli esseri umani e gli organismi non bersaglio, i test di sicurezza in laboratorio hanno dimostrato che almeno i ceppi di Beauveria bassiana e Metarhizium anisopliae non sono né tossici né infettivi per i vertebrati. Tuttavia, si raccomanda cautela per evitare l’inalazione dei conidi durante la manipolazione dei prodotti[3].
Prospettive future nella ricerca
Nonostante i numerosi vantaggi rispetto ad altri prodotti chimici, l’impiego dei funghi entomopatogeni si attesta tuttora a livelli molto contenuti, specialmente in Italia e in Europa. Tuttavia, i progressi fatti nella comprensione degli aspetti ecologici di questi funghi potrebbero migliorare le prospettive di un loro impiego a breve/medio termine.
La ricerca spazia su orizzonti molto ampi, dalla stabilizzazione della formulazione a livello industriale, alla selezione di ceppi sempre più specifici verso determinati fitofagi. La possibilità di sfruttare anche la loro azione con quella di altri insetticidi di sintesi appare altresì interessante, come appurato in diverse sperimentazioni[3].
Ingegneria genetica
Dal momento che i funghi entomopatogeni non costituiscono un raggruppamento a sé stante all’interno del regno dei funghi, si fa sempre più concreta la possibilità di poter ricorrere alle moderne tecniche di ingegneria genetica per ricercare nuovi geni che migliorino la virulenza del fungo. L’ingegneria genetica può allora essere sfruttata per aumentare le performance e l’efficacia degli inoculi. Particolare attenzione è poi rivolta ai geni coinvolti nella produzione di tossine e a quelli codificanti enzimi litici.
Combinando infatti le migliori caratteristiche dei diversi ceppi, è possibile modificare e incrementare le prestazioni dei vari inoculi.
Ad esempio, molti funghi entomopatogeni mostrano un’elevata sensibilità alla radiazione ultravioletta (UV), la quale può compromettere la produzione dei conidi. La tolleranza alla radiazione UV può però essere notevolmente migliorata introducendo dei geni propri di specie fungine resistenti ai raggi UV[18].
Tuttavia, è opportuno sottolineare che i ceppi trasformati hanno in genere una adattabilità ed una persistenza nell’ambiente più limitate rispetto ai ceppi selvatici, e pertanto si rendono in tal senso necessari ulteriori sforzi per migliorare l’efficacia degli inoculi[1].
Conclusioni
Pur essendo comuni in natura, solo di recente i funghi entomopatogeni stanno rivelando il loro ruolo potenziale nelle strategie di difesa delle piante. Pertanto, in termini di sviluppi futuri, molto dipenderà dal progresso delle ricerche e delle conoscenze riguardo alle loro attitudini ecologiche e l’obiettivo è quello di migliorare sensibilmente la possibilità di impiegarli con successo.
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Immagine di copertina di Bernard Dupont, Wikimedia Common (CC BY-SA 2.0).