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Che cosa sono le foreste di kelp?

Le foreste di kelp rappresentano tra i più produttivi e diversificati habitat della Terra[1]. Quando parliamo di “kelp” ci riferiamo generalmente alle alghe marine dell’ordine Laminariales, abitanti delle barriere rocciose nei mari freddi e temperati: dense aggregazioni di questi vegetali, estese anche per decine di metri sott’acqua, formano le cosiddette foreste. La loro somiglianza con i boschi terrestri sottintende anche la complessità di questi ambienti marini, che ospitano molteplici specie ittiche[1, 2]. Ma vediamo di scoprire qualcosa di più.

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Caratteristiche generali delle alghe kelp

Quali alghe rispondono al nome di “kelp”? Bisogna considerare che con questo nome ci si riferisce alle alghe brune di ben 27 generi diversi. Le alghe kelp popolano le acque fredde delle aree subtidali (ovvero quelle zone a profondità maggiori del livello di bassa marea): possono differire molto tra loro in termini di età media e morfologia. Le foreste di kelp sono inoltre formate da specie diverse nei vari oceani del Pianeta[1, 2, 3].

Alcune di queste alghe non superano il metro o due di lunghezza e le loro aggregazioni vengono definite beds (letti). Altre specie sono invece molto più grandi, raggiungendo anche i 45 metri d’estensione! Gli ampi gruppi formati da queste alghe prendono allora il nome di forests (foreste).

Come nel caso delle barriere coralline, le foreste di kelp costituiscono veri e propri ecosistemi ed ospitano una moltitudine di organismi. Al loro interno, ad altezze crescenti come negli alberi di un bosco, vivono tante specie diverse: adattate a livelli di luce, nutrienti e profondità precise[2, 3].

Come sono fatte le alghe kelp?

Luminosità, latitudine, frequenza ed intensità delle tempeste, disponibilità di cibo e limpidezza dell’acqua sono solo alcuni dei fattori che influenzano la crescita delle kelp, che di solito raggiungono la maturità sessuale entro 6 anni d’età. Le aggregazioni di queste alghe sono inoltre caratterizzate da grande plasticità, dato che possono scomparire o prosperare nel giro di pochi anni[1, 2, 3].

Si distinguono tre grandi gruppi di alghe kelp, in base all’altezza che raggiungono le loro estremità:

  • le canopy kelp;
  • le stipitate kelp;
  • le prostrate kelp.

Le canopy kelp comprendono alghe che producono veri e propri tetti di fronde marine. Possono essere costituite da kelp giganti, come quelle che appartengono al genere Macrocystis e raggiungono i 45 m d’altezza, oppure di medie dimensioni (circa 10 m): come Nereocystis lutkeana, che vive nelle acque occidentali del Nord America. Una particolarità delle canopy kelp risiede nella loro capacità di galleggiamento; le loro lamine infatti contengono speciali strutture piene di gas che ne consentono la distensione in verticale[2].

Le stipitate kelp sono alghe dotate di steli rigidi, che le aiutano a mantenersi erette in acqua. La loro altezza è tendenzialmente minore di quella dei canopy kelp (parliamo di 5-10 m). A questo gruppo appartengono alcune specie dei generi Ecklonia, Laminaria e Lessonia.

Le prostrate kelp, infine, coprono il fondale marino con le loro “foglie”, formando dei letti di alghe, i beds. Queste sono le specie che non galleggiano, e che non sono dotate di strutture rigide per mantenersi erette. Molte fanno parte del genere Laminaria, particolarmente presenti nell’emisfero boreale[3].

Morfologia e struttura delle diverse specie di kelp sono soggette a grande variabilità[3].

Ciclo vitale delle alghe kelp

Altro punto comune a tutte le alghe kelp è l’alternarsi tra generazioni di due diversi stadi vitali: uno stadio diploide di grandi dimensioni (lo sporofito), ed uno stadio aploide microscopico (il gametofito)[2, 3]. Ma che cosa vuol dire?

Significa che, a generazioni alterne, queste alghe si presentano in due morfologie completamente diverse. Lo stadio macroscopico produce spore (da cui il nome di sporofito) e possiede un corredo genetico diploide (come il nostro, con una copia di ogni cromosoma da ciascun genitore). Si tratta dell’organismo che forma le aggregazioni di kelp vere e proprie, con lunghe lamine dove gli animali trovano riparo.

Dalle spore che lo sporofito rilascerà in acqua nasceranno, invece, delle kelp in forma di minuscoli filamenti ancorati al fondale (sessili)[2], con corredo genetico in singola copia. Questi filamenti producono gameti a maturità sessuale, ovvero cellule che, unendosi ai gameti dell’altro sesso, formano individui macroscopici. È l’inizio di un nuovo ciclo[3].

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foreste di kelp ciclo
Ciclo vitale delle alghe kelp. (immagine di Luigi Suglia)

Distribuzione ed ampiezza delle foreste di kelp

Le foreste di kelp sono fortemente influenzate da diversi parametri ambientali. La variabilità di questi habitat è tale da essere suscettibili di grandi cambiamenti in breve tempo: possono infatti crescere o restringersi di decine, centinaia di km in un solo anno. Per questo è difficile stabilirne l’esatta distribuzione, che cambia annualmente[1, 2].

In generale, queste laminarie possono popolare tutte le acque fredde e temperate degli oceani, lungo coste rocciose e a profondità medio-basse. In particolare, le alghe kelp si concentrano nelle fasce latitudinali tra 40° e 60° nei due emisferi[3]. Nell’Atlantico settentrionale prevalgono specie del genere Laminaria, mentre le Macrocystis sono più diffuse nell’Atlantico meridionale e nel Pacifico; l’Oceano Indiano, infine, è colonizzato perlopiù dal genere Ecklonia.

distribuzione foreste kelp
La distribuzione approssimativa delle foreste di kelp e delle principali specie. (di Maximilian Dörrbecker (Chumwa), Wikimedia Commons, CC BY-SA 2.0)

Ruolo ecologico delle foreste di kelp

I tratti ecologici comuni che legano tra loro le foreste di kelp sono diversi.

Iniziamo dal primo: il ruolo di veri e propri ingegneri che assumono le kelp nell’ecosistema. Ma in che senso? Queste lussureggianti alghe vanno ad influenzare i moti ondosi e le correnti dell’acqua, la luminosità dell’area, il tasso di sedimentazione dei nutrienti ed altri parametri ecologici fondamentali per gli organismi marini. Le specie ospitate vivono dunque in un ambiente relativamente protetto dai disturbi esterni, con buona disponibilità di cibo e rifugio rispetto al mare aperto.

Secondo aspetto in comune: le foreste di kelp sono ecosistemi ad alta produttività primaria e secondaria, comparabili a quella delle foreste pluviali[1]. Sono infatti caratterizzati da quantità di biomassa e livelli di biodiversità maggiori di quanto rilevato in molti altri ambienti marini[1].

Terzo: queste foreste ospitano molte specie ittiche di valore commerciale, utili per l’uomo. Un esempio? Nelle foreste di kelp inglesi, lungo gran parte delle coste (eccezion fatta per quelle orientali, al di sotto della Scozia) ritroviamo l’aragosta europea (Homarus gammarus). Si tratta di un cibo prelibato e costoso dei nostri ristoranti. Inoltre, questi habitat fungono da nursery per gli stadi giovanili di molti pesci commerciabili, cui forniscono protezione durante la crescita. È questo il caso dei merluzzi dell’Atlantico e dei pesci pollack (Gadus morhua, Pollachius pollachius)[1].

La struttura delle foreste di kelp, infine, è di fondamentale importanza per la difesa degli ambienti costieri dai moti ondosi più intensi. Queste formazioni vegetali funzionano infatti come delle barriere naturali: proteggono sia gli organismi che vivono sulle spiagge, sia paesi e città disseminati lungo le coste[1].

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Produttività primaria e secondaria

Quando parliamo di produttività primaria intendiamo la capacità di un ecosistema di produrre carbonio organico (sotto forma di glucosio) a partire dal carbonio inorganico che si trova in atmosfera (per esempio CO2, anidride carbonica). Questa proprietà è fondamentale per mantenere bassi i livelli di carbonio inorganico nell’aria che respiriamo e permettere ai vegetali di crescere[1].

Ecco perché gli ecosistemi ad alta produttività primaria, come le foreste di kelp e pluviali, vanno protetti: la loro capacità di fissare il carbonio è molto alta e sono alleati preziosi per contrastare i livelli di gas serra presenti in atmosfera.

Si può stimare infatti che quasi la metà della produttività delle acque inglesi è garantita proprio dalle foreste di kelp: si tratta di un dato indicativo, che dovrebbe farci riflettere su quanto siano preziose queste alghe[1].

Se la produttività primaria è alta, significa che l’ecosistema cresce in biomassa: ovvero in materia organica, ricca di carbonio. Nel caso delle kelp, la biomassa prodotta è rappresentata dalle alghe stesse, che aumentano in numero e in dimensioni. Tutto questo materiale vegetale viene consumato da pesci erbivori ed invertebrati, come per esempio Patella pellucida, un bel mollusco gasteropode di pochi centimetri.

L’80% della biomassa prodotta viene infine consumata sotto forma di detrito, o materia organica disciolta, da organismi specializzati: come i filtratori o i detritivori. Si parla in questo caso di produttività secondaria, importante per le comunità dei fondali marini e per tutti quegli organismi che si nutrono di detriti o particolato organico sospeso. La parte distale delle lamine di kelp, infatti, tende a frammentarsi nel corso del tempo, generando particelle di materia organica ancor più piccole[1].

Biodiversità delle foreste di kelp

Un singolo individuo di alga kelp fornisce ben tre diversi habitat primari: la lamina (che noi chiamiamo impropriamente “foglia”), il gambo e la radice. Inoltre, organismi epifiti come macroinvertebrati ed alghe (che vivono sulla superficie dei vegetali) si legano principalmente al gambo delle kelp, creando un habitat secondario per specie ancor più piccole: una sorta di matrioska di habitat, con organismi differenti che vivono in ciascun livello, a dimensioni sempre più ridotte[1].

Per capire meglio: basti pensare che un singolo esemplare di Laminaria hyperborea può ospitare circa 40 specie diverse di macroinvertebrati! Si tratta di migliaia di individui, che trovano cibo e riparo in un’unica alga. Figuriamoci quanti altri animali possono abitare un’intera foresta[1]!

La biodiversità ospitata in queste formazioni di alghe è maggiore, in proporzione, di quanto avvenga per le foreste terrestri[3]. Se infatti un gruppo di alberi raggiunge buona altezza e maturità in 20-30 anni, i principali gruppi animali presenti saranno artropodi, anellidi e cordati. Una foresta di kelp, invece può raggiungere i 15 metri d’altezza in soli 3 anni, con animali appartenenti a molti più gruppi: parliamo ancora di anellidi, cordati e artropodi, ma anche di echinodermi, briozoi, cnidari, molluschi, platelminti, brachiopodi e poriferi[3].

Coltivazione delle alghe kelp

L’uomo, si sa, trova spesso il modo di volgere il mondo naturale a proprio vantaggio. Ed è così che anche le alghe kelp hanno trovato impiego: alcune specie vengono infatti coltivate[4, 5]!

Nel 2018, le kelp coltivate erano rappresentate da una massa di circa 14,66 milioni di tonnellate (peso umido), che rappresentava quasi la metà delle alghe coltivate globalmente. In Asia, le specie più diffuse sono: Saccharina japonica, nota come alga kombu tra gli intenditori di cucina, e Undaria pinnatifida, la famosa wakame[5].

Altre specie di kelp vengono invece impiegate come fonte di cibo per alcuni animali importanti dal punto di vista commerciale. È questo il caso di Ecklonia maxima, importante costituente della dieta del pesce abalone (Haliotis midae), allevato e venduto nei nostri mercati. Esistono diverse fattorie di queste alghe disseminate lungo le coste sud-occidentali del Sud Africa[4].

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alga wakame kelp
Undaria pinnatifida, ovvero l’alga wakame. (di CSIRO, Wikimedia Commons, CC BY 3.0)

Principali minacce alle foreste di kelp

Recentemente, l’innalzamento globale delle temperature, l’acidificazione degli oceani e la diminuzione (in alcune aree) dei predatori naturali di specie erbivore stanno drasticamente alterando la capacità di recupero delle foreste di kelp. Ogni ecosistema è infatti strettamente connesso all’ambiente in cui si trova tramite una serie di parametri: tale equilibrio può essere facilmente alterato[1, 2, 3].

Alle medie latitudini, per esempio, il consumo delle alghe kelp da parte dei ricci di mare è una delle minacce più grandi, data la proliferazione di questi erbivori in assenza di predatori naturali (granchi, stelle marine, foche e lontre)[2, 3].

Eventi climatici avversi ed intensi, come per esempio variazioni di salinità o temperatura, sono altrettanto pericolosi per la sopravvivenza delle foreste di alghe. Il loro punto di forza è tuttavia la grande capacità di recupero, che permette una ricrescita anche completa in 1-3 anni. Un esempio di evento climatico di questo genere è sicuramente El Niño: un fenomeno periodico che altera le temperature del Pacifico, modificando risalite di nutrienti ed altri parametri oceanici e costieri[1, 3].

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Conclusioni

Il valore di ecosistemi complessi, come quelli delle foreste di kelp, è incalcolabile, sia dal punto di vista economico umano, sia per la grande biodiversità ospitata da questi vegetali. Si tratta di luoghi in cui molteplici specie vivono e si riproducono, contribuendo al mantenimento degli equilibri naturali marini[1-5].

Le foreste di kelp meritano dunque maggiore attenzione: nonostante i costi rilevanti, necessari a sostenere la ricerca accademica, questi ecosistemi sono utili innanzitutto per l’uomo. Sia per la sopravvivenza di specie commercialmente importanti, sia per la grande produttività primaria e secondaria di questi ecosistemi. La qualità dell’aria che respiriamo e la varietà di specie ittiche che consumiamo sono, in parte, legate proprio alle foreste di kelp[1-5].

Referenze

  1. Smale, D. A., et al. (2013). Threats and knowledge gaps for ecosystem services provided by kelp forests: a northeast Atlantic perspective. Ecology and evolution, 3(11), 4016-4038;
  2. Reed, D. C., et al. (2006). A metapopulation perspective on the patch dynamics of giant kelp in Southern California. In Marine metapopulations (pp. 353-386). Academic Press;
  3. Steneck, R. S., et al. (2002). Kelp forest ecosystems: biodiversity, stability, resilience and future. Environmental conservation, 29(4), 436-459;
  4. Rothman, M. D., Anderson, R. J., & Smit, A. J. (2006). The effects of harvesting of the South African kelp (Ecklonia maxima) on kelp population structure, growth rate and recruitment. In Eighteenth International Seaweed Symposium (pp. 109-115). Springer, Dordrecht;
  5. Bak, U. G., Gregersen, Ó., & Infante, J. (2020). Technical challenges for offshore cultivation of kelp species: lessons learned and future directions. Botanica marina, 63(4), 341-353.

Immagine di copertina di Linking Tourism & Conservation, Flickr (CC BY 2.0).

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