Come ben sappiamo, cibarsi è un’azione fondamentale per la nostra sopravvivenza. Introdurre proteine, acidi grassi, zuccheri e vitamine ci permette di mantenere vitale il nostro corpo e di sopravvivere. Tuttavia, sappiamo anche che l’eccesso di cibo porta a gravi malattie del corpo e della mente, come il diabete, la bulimia e problemi legati alla respirazione e/o alla circolazione sanguigna.
Fin dall’antichità organizzare sfarzosi banchetti, con elevate quantità di cibo e bevante, rappresentava uno status symbol, un indice d’importanza della persona ospitante, che attraverso questa offerta veicolava due messaggi importanti:
- sono ricco e importante, essermi amico può portarti dei vantaggi;
- ti offro parte della mia ricchezza (in cibo, bevande e spettacoli), mi aspetto qualcosa da te.
Il food-sharing, o condivisione del cibo, diventa un mezzo per iniziare importanti alleanze (collaborazioni durature, che possono durare mesi o anni, e manifestarsi in moltissime occasioni) o coalizioni (rapporti di collaborazione temporanei, o limitati a specifici eventi).
In questo articolo parleremo in particolare di come avviene la condivisione del cibo negli animali, con un approfondimento sugli scimpanzé.
Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi.
(Marco Tullio Cicerone)
Food-sharing tra consaguinei
Nei mammiferi, la condivisione del cibo è un’azione primordiale, che inizia nell’utero materno attraverso la placenta. In questo caso la condivisione è un rapporto intimo e profondo. Al di fuori dell’utero il figlio aumenta il legame con la madre attraverso la suzione della mammella materna.
Pensiamo ad una madre che alimenta il proprio figlio, in modo diretto o indiretto (attraverso latte in polvere e/o omogeneizzati). Questa situazione ci sembra biologicamente normale, mentre la situazione contraria, quella di una madre che non vuole cibare il proprio figlio, ci farebbe inorridire! Allo stesso tempo, se un’altra persona alimentasse un bambino non suo penseremmo ad un concetto diverso, cioè lo vedremmo come un atto altruistico. Sebbene la selezione parentale (o kin selection, da Smith) e le azioni altruistiche viaggino su due strade parallele (nel primo caso si può parlare anche di altruismo parentale), gli obiettivi possono essere diversi.
La selezione parentale è un meccanismo evolutivo che seleziona individui strettamente imparentati tra loro, con azioni che privano un animale di parte delle risorse per favorire un altro individuo. Queste strategie altruistiche sono state osservate da Charles Darwin negli insetti sociali in cui viene descritto il processo di selezione di un nucleo familiare ne L’origine della specie. Successivamente, Hamilton (1964) descrive un modello di selezione di parentela che prende in considerazione i costi e i benefici dell’altruismo parentale: rB > C.
In cui r è il grado di parentela, B è il beneficio nell’aiutare un individuo e C è il costo nell’aiutarlo. Il tutto è incorniciato dall’obbiettivo di trasmettere i proprio geni il più possibile. In poche parole, il grado di parentela potenzia il beneficio che un individuo ottiene nel fare un azione altruistica, ma questo beneficio deve essere superiore al costo, che può essere un dispendio di energia o un minor apporto nutrizionale.
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Food-sharing nello scimpanzé: sopravvivenza o merce di scambio?
In un lavoro che studiava l’approccio della richiesta di cibo nei piccoli di scimpanzé, Fröhlich e colleghi (2019) hanno osservato che i cuccioli e i giovani prendevano con maggior frequenza il cibo dalle mani della madre e dai parenti, piuttosto che dai non parenti. Anche la richiesta tattile era più elevata con la madre e i parenti, ma i risultati cambiavano se si prendeva in considerazione la richiesta visiva del cibo. Quest’ultima tattica era usata di più con i non parenti, indice di una certa consapevolezza nel piccolo, il quale sa variare i propri comportamente in base all’individuo che si trova di fronte: “Mmmh… Sicuramente se stuzzico un po’ mio cugino mi cederà un pezzetto di banana!”,”Quell’individuo non lo conosco bene. Fisserò il cibo che ha in mano finché non si stancherà e me ne lascerà un pezzetto!”.
La condivisione del cibo non è solo tra animali strettamente imparentati, ma anche anche tra quelli che ne possono trarre un beneficio. Come abbiamo visto nell’articolo “Quando la ricchezza è amore – Animals Economists“, alcuni animali sono in grado di dare un certo valore ad un oggetto. Questo valore viene opportunamente correlato ad una immaginaria unità di misura, per esempio: “Denaro=Uva; Sesso=Denaro”. Questo esempio, parla di animali addestrati, che fanno dei comportamenti che non fanno parte del loro repertorio comportamentale naturale. Tuttavia, i biologi e gli economisti sanno che il concetto di mercato biologico è ben presente in natura.
Come nei lupi, nella comunità dello scimpanzé gli individui di rango più alto hanno bisogno del sostegno dei subordinati. Questa collaborazione può essere ottenuta attraverso delle concessioni da parte dell’individuo dominante. Il food-sharing sta alla base di questa collaborazione, in cui si osservano dominanti che distribuiscono in modo più o meno equo il cibo, e allo stesso tempo i dominanti mendicano il cibo (e non lo prendono) ai subordinati che lo possiedono. Lo scambio del cibo si verifica maggiormente tra animali che lo fanno spesso, e il grado di dominanza non ha molta rilevanza. Questo potere dei subordinati nei confronti dei dominanti è definito leverage power.
Conclusioni
Il cibo ha un potere molto potente sugli essere viventi, sia sulla loro biologia che sui loro rapporti sociali. Gli alimenti possono essere usati come offerte per stringere alleanze e/o coalizioni, per avvicinare un potenziale partner o per sostenere la propria prole.
Il leverage power crea i presupposti per un mercato biologico, in cui i dominanti si mettono in gioco, offrendo risorse e benefici per creare alleanze o coalizioni con i subordinati. Questi legami saranno sfruttati dal dominante per ottenere risultati migliori nelle attività , quali la caccia, o per spodestare gli individui più dominanti del gruppo.
Il food-sharing si è evoluto probabilmente come un atto che ricorda un intimo rapporto, quello tra una madre e il proprio figlio, e quindi permette di legare due individui in un patto non verbale o scritto, ma basato sull’esperienza delle azioni passate e sulla fiducia di ricevere qualcosa in futuro.
Referenze
- Fröhlich M., Müller G., Zeiträg G., Wittig M. R., Pika S. (2020). “Begging and social tolerance: Food solicitation tactics in young chimpanzees (Pan troglodytes) in the wild“. Evolution and Human Behavior 41: 126–135.
- Hamilton, W. D. (1964). “The genetical evolution of social behaviour“. Journal of Theoretical Biology. 7 (1): 1–16.
- Kaplan H., Gurven M. (2005). “The natural history of human food sharing and cooperation: A review and a new multi-individual approach to the negotiation of norms“. Cambridge, Mass. [u.a.]: The MIT Press; pp. 75-114.
- Silk J. B., Brosnan S. F., Henrich J., Lambeth S. P., Shapiro S. J. (2013). “Chimpanzees share food for many reasons: the role of kinship, reciprocity, social bonds and harassment on food transfers“, Anim Behav. 85 (5): 941–947.