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Fitodepurazione: cos’è e come applicarla

Principio di funzionamento della fitodepurazione flottante. By Maurizioborin

Già da molti anni è noto il problema dei cambiamenti climatici cui l’uomo rappresenta la principale causa. Per rimediare ci si rivolge alle energie rinnovabili e pulite, ovvero fonti energetiche non esauribili che non influenzano, nel loro utilizzo, l’ecosistema di provenienza. Però anche tali fonti necessitano di spazio per essere utilizzate, per esempio grandi aree per i pannelli solari ed importanti volumi aerei per le pale eoliche; dunque ad oggi uno dei campi di ricerca più importanti è la necessità di utilizzare risorse non inquinanti in modo da rendere tale utilizzo perfettamente conforme all’ambiente scelto, da cui si è sviluppata la fitodepurazione.

Cos’è la fitodepurazione

La fitodepurazione è un processo naturale che vede le piante come induttrici del fenomeno di depurazione delle acque in cui sono immerse. È un fenomeno presente in natura che l’uomo può riutilizzare ed applicare per depurare acque reflue di scarico civili e industriali. Viene, seppur in maniera non ancora diffusa, utilizzato in sostituzione di impianti di depurazione evitando così la costruzione di grandi edifici con necessità energetiche relativamente elevate.

Ovviamente tale pratica, essendo diretta al riutilizzo di acque di scarico, è altamente regolata da un decreto di legge che norma le concentrazioni massime di materiale organico presente dopo il processo e le risorse da utilizzare. Tale decreto è il numero 152 del 1999 e successivamente aggiornato il 3 aprile del 2006.

I principali inquinanti che tale processo mira ad eliminare sono le componenti dei detersivi che sia a livello domestico che industriale rappresentano l’ostacolo principale nella depurazione delle acque.

Questi sono:

  • Tensioattivi anionici: Sono la parte lavante del detersivo  in quanto legano le teste polari che compongono le micelle e favoriscono la “rottura” della tensione superficiale dell’acqua.
  • Tensioattivi cationici: Sono la componente “ammorbidente” che favorisce il riutilizzo del detersivo.
  • Sbiancanti: servono ad eliminare macchie, ma sono altamente tossici per la fauna acquatica.
  • Coloranti: profumi sintetici che servono a coprire cattivi odori.

Funzionamento

Come già detto, meccanismi di fitodepurazione sono presenti in natura e in particolare in zone lacustri, paludose e con acque basse, calde e ovviamente ricche di vegetazione. Le piante, tramite i loro sistemi di trasporto, conducono l’ossigeno atmosferico in prossimità delle loro radici creando ambienti aerobici; grazie a ciò si formano dei biofilm batterici e rapporti simbiotici tra piante e batteri. Quest’ultimi assorbono e processano materiale organico, le piante fissano l’azoto presente nell’acqua e i metalli pesanti e il fosforo sedimentano del medium, materiale come ghiaia che costituisce il fondo del sistema.

È un meccanismo fondamentale che tampona eventuali cambiamenti nella chimica dell’acqua in cui tali organismi vivono. Oltretutto la formazione di molti intervalli tra ambienti anossici e aerobici sfavorisce la proliferazione di agenti patogeni.

L’uomo è riuscito ad ottimizzare tale processo ingegnerizzandolo e costruendo delle vasche artificiali. Esistono varie tipologie di applicazione:

Sistemi a flusso sommerso orizzontale

La vasca è riempita di materiale inerte, ghiaia e terreni vari, ed il flusso d’acqua è costantemente rilasciato al di sotto della superficie del medium. È il più adatto negli ambienti freddi con probabili coperture nevose.

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Sistemi a flusso sommerso verticale

La differenza con il precedente è dovuta alla modalità di immissione del flusso: questo è superficiale e caratterizzato da intervalli, non è costante. Ciò garantisce un grande svantaggio per organismi patogeni e una maggiore capacità filtrante; l’unico problema è il dispendio energetico per azionare i cicli di immissione.

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Sistemi a flusso libero 

Sono quelli che più ricordano il meccanismo presente in natura. Sono caratterizzati da un flusso non regolare, ma non necessariamente programmato, vi sono piante sia superficiali che sommerse che favoriscono l’assorbimento e la formazione di più microambienti. L’unico svantaggio è la necessità di una depurazione precedente, con ad esempio pozzetti imhoff, per evitare che corpi solidi sospesi stagnino.

Applicazioni

Tali strutture hanno diverse capacità applicative. Ad oggi non sono utilizzate per acque reflue da più di 50.000 persone e sono consigliate specialmente se il numero è inferiore alle 2.000.

La problematica principale è infatti costituita dalle tempistiche che ovviamente seguono i ritmi metabolici degli organismi in gioco e ovviamente, come tutte le rinnovabili, le condizioni atmosferiche del territorio. Dunque sono necessari controlli continui, sia chimici che biologici, per assicurarsi che l’ecosistema artificiale funzioni e non venga alterato.

Tornando alle tempistiche, affinché i biofilm batterici si stabiliscano sono necessari mesi, cui vanno aggiunte le produttività specifiche di questi. Il vantaggio più importante è il non danneggiamento dell’ambiente e il recupero di spazi verdi: queste vasche o piscine infatti permetto una perfetta integrazione sia in ambiente rurale che urbano senza sostanziali alterazioni ecologiche, ma che addirittura potrebbero arricchire se non “abbellire” la zona.

Comunque ad oggi sono abbastanza utilizzate in nord Europa dove coniugano le imponenti produzioni agricole con la depurazione di acque reflue soprattutto di origine industriale, spesso della stessa industria agricola. In Italia le si stanno sperimentando soprattutto in Liguria. Addirittura a Berlino la stanno sperimentando per il riutilizzo delle acque piovane.

Piante utilizzate

Le piante principalmente usate si dividono in sommerse, per i sistemi a flusso libero, e galleggianti, per i restanti. Le pleustofite sono le più utilizzate: con il loro lungo apparato radicale hanno capacità elevate di assorbimento, apporto di ossigeno e sostegno per i biofilm batterici. Un esempio è Lemna spp.

La problematica è nel suo mantenimento, infatti avendo un tasso di accrescimento molto elevato è necessario rimuovere costantemente gli individui in eccesso.

Le elofite, tipiche delle zone marginali di paludi e lagni, sono utili dei sistemi a flusso libero nelle zone marginali della vasca stessa. Un esempio è la classica “cannuccia di palude” o tecnicamente Phragmites australis.

Altro problema tempistico è l’attesa della crescita delle specie vegetali, il loro mantenimento è un calcolo, in base alla profondità della vasca, delle più idonee.

Conclusioni

Dunque la fitodepurazione è un innovativo meccanismo per riutilizzare le acque di scarico che l’uomo consuma invece che usare. Le applicazioni sono moltissime, ma ancora limitate da problemi tempistici che sono comuni nell’uso delle rinnovabili: adattarsi alle velocità della natura. Nonostante ciò presenta innumerevoli vantaggi come una depurazione meno costosa, la non necessità di costruire impianti che distruggano aree geografiche e quindi un minor impatto ambientale.

Fonti

  • Coldiretti di Milano e Lodi
  • Guida tecnica per la progettazione e gestione dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento delle acque urbane – Silvana Salvati
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