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Eutrofizzazione delle acque

L’eutrofizzazione è un fenomeno che riguarda i corpi idrici e che consiste nella presenza sovrabbondante di sostanze nutrienti. Non a caso, il termine eutrofizzazione deriva dal greco eutrophos, che significa proprio ben nutrito. In particolare, l’elevata disponibilità di fosforo e azoto favorisce una crescita abnorme dei produttori primari, cioè di quegli organismi in grado di sintetizzare biomassa a partire da sostanze inorganiche ed energia luminosa tramite il processo della fotosintesi.

Sebbene l’eutrofizzazione sia un fenomeno del tutto naturale, l’immissione antropica di fosforo e azoto va ad accelerare il normale decorso di questo processo: per questa ragione, a volte, si usa parlare anche di eutrofizzazione culturale. L’introduzione di fosforo e azoto in ambiente acquatico può derivare da fonti puntuali (come scarichi di trattamento delle acque reflue, processi industriali e impianti di acquacultura) o da fonti diffuse (come precipitazioni e dilavamento dei terreni agricoli). Da qui, si innescano poi una serie di reazioni a catena che, in ultima istanza, portano ad una drastica diminuzione della qualità delle acque e ad una degradazione dell’ecosistema interessato[1].

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In cosa consiste l’eutrofizzazione?

L’eutrofizzazione interessa prevalentemente gli ecosistemi lacustri e le zone di foce, essendo queste le aree più esposte all’accumulo di nutrienti.

Questo processo inizia con l’immissione in acqua di un sovraccarico di fosforo e azoto, i  quali stimolano una crescita incontrollata di biomassa vegetale. L’eccesso di produzione primaria aumenta a sua volta il riciclo dei nutrienti e dei composti organici, favorendo ulteriormente la crescita dei produttori primari ed innescando una serie di reazioni a catena.

Così, mentre il fitoplancton si concentra nello strato superficiale, dove forma una patina di colore verdastro, l’eccessiva disponibilità di alghe e macrofite (cioè tutte le piante acquatiche emergenti, sommerse, flottanti o radicate nei sedimenti litorali) fa sì che esse vadano ad accumularsi sul fondo in quanto non adeguatamente consumate dagli organismi dei livelli trofici superiori.

Sul fondale, inoltre, i batteri attaccano i resti vegetali decomponendoli e consumando ossigeno, creando di conseguenza condizioni di ipossia (scarsità di ossigeno) o, nei casi più gravi, addirittura di anossia (assenza di ossigeno). Questa carenza di ossigeno può provocare stati di sofferenza alle comunità bentoniche (cioè quelle comunità di organismi che vivono almeno una parte del loro ciclo vitale in stretta relazione con il sedimento) e morie di pesci[2].

Il ruolo di fosforo e azoto

Il fosforo e l’azoto sono due elementi chimici generalmente poco abbondanti negli ecosistemi acquatici naturali e che, per questo motivo, ne limitano la produzione primaria.

La produzione primaria, infatti, dipende dall’attività fotosintetica, che è correlata a sua volta dalla quantità di luce e dalla disponibilità di nutrienti. Gli organismi vegetali acquatici, proprio come quelli terrestri, necessitano di numerosi elementi chimici per svolgere i processi metabolici ed accrescersi sintetizzando nuovi tessuti. Fosforo e azoto, in particolare, sono macronutrienti (necessari in quantitativi maggiori rispetto ai micronutrienti) essenziali per la crescita degli organismi vegetali. Nello specifico, il fosforo è il costituente principale del materiale genetico delle cellule, mentre l’azoto è un componente fondamentale della clorofilla.

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Le principali vie d’ingresso di fosforo e azoto negli ecosistemi acquatici sono rappresentate dal dilavamento dei bacini idrografici, dagli scarichi di origine antropica e dalle precipitazioni[3].

In particolare, la sorgente principale di fosforo (e in minor misura anche di azoto) è data dall’impiego di fertilizzanti a scopo agricolo che, dopo essere stati applicati sul campo, vengono dilavati dalla pioggia e trasportati all’interno dei corpi idrici superficiali. Sia il fosforo che l’azoto sono inoltre prodotti del metabolismo, per cui anche gli scarichi domestici e l’allevamento costituiscono fonti antropiche per queste sostanze.

Il fosforo totale (rappresentato da fosforo solubile reattivo e fosforo in forma particolata), in condizioni normali, è in particolare il macronutriente meno abbondante e quindi quello che limita maggiormente la produttività biologica dell’ecosistema. Proprio per l’importanza che il fosforo (totale) svolge nella promozione dello sviluppo vegetale, la sua concentrazione media annua è indicativa dell’entità della biomassa algale e quindi anche della produzione primaria[4].

eutrofizzazione acque interne
Esempio di fioritura algale causata da eutrofizzazione. (da pxhere.com; CC0)

Eutrofizzazione dei laghi

In base al livello trofico naturale, i laghi possono essere divisi in:

  • laghi oligotrofi, ossia a produttività minima;
  • laghi mesotrofi;
  • laghi eutrofici;
  • laghi ipertrofici, ossia a produttività massima.

Indipendentemente dalla tendenza di ciascun lago, però, l’eutrofizzazione è un processo naturale che coinvolge necessariamente tutti i laghi[5], che nel corso dei secoli ricevono materiale organico e sedimento.

Le attività antropiche hanno però fortemente accelerato il normale decorso di questo processo, incrementando il carico di sedimento organico e di nutrienti che viene immesso negli ecosistemi lacustri (eutrofizzazione culturale).[6]

I bacini che risentono maggiormente del problema dell’eutrofizzazione delle acque sono quelli poco profondi e situati in zone agricole. Anche in questo caso, l’attore principale rimane il fosforo: la sua importanza è tale che esso, insieme alla trasparenza media annua e ai valori di ossigeno disciolto nello strato più profondo, concorre a formare l’indice LTLeco (Livello Trofico dei Laghi per lo stato ecologico), che a sua volta (insieme ad altri indicatori) definisce lo stato ecologico generale dell’ecosistema lacustre. In particolare, l’indice LTLeco può essere elevato, buono oppure sufficiente.

Secondo il Decreto 260/2010, tutti i laghi con superficie maggiore a 0,5 km2 devono essere sottoposti a monitoraggio per definirne sia lo stato ecologico che quello chimico[7].  Facendo un’attenta analisi dei dati più recenti pubblicati dalle principali agenzie regionali per la protezione ambientale in Italia, emerge che la maggior parte degli ecosistemi lacustri italiani sono caratterizzati da un livello trofico definito sufficiente. In particolare, per alcuni laghi il valore di LTLeco è costantemente inferiore a buono, mentre nel caso di bacini profondi la situazione è mutevole in funzione del processo di ricircolo dell’acqua (e quindi della ridistribuzione dell’ossigeno lungo l’intera colonna).

Eutrofizzazione dell’ecosistema marino costiero

Come per gli altri corpi idrici, anche negli ecosistemi marini le fonti principali di fosforo e azoto sono rappresentate dalle attività agro-zootecniche e dagli scarichi domestici e industriali.

Mediante la Direttiva Quadro 2008/56/CE, l’Unione Europea ha attuato un piano di tutela degli ecosistemi marini che ha tra gli obbiettivi quello di ridurre al minimo l’eutrofizzazione di origine antropica. In ottemperanza alla sopracitata direttiva e al fine di raggiungere il Buono Stato Ambientale, l’Italia ha intrapreso un percorso di monitoraggio per valutare la produttività degli ambienti costieri considerando sia le concentrazioni di fosforo e azoto che la quantità di clorofilla[8].

In particolare, dal 2012 al 2018, le portate di fosforo e azoto sono diminuite sia nella zona costiera del Mar Mediterraneo che in quella Adriatica. Le maggiori concentrazioni si sono riscontrate nel Mar Adriatico e comunque, in entrambi i bacini, nei punti di campionamento vicini alla costa e in corrispondenza dei principali centri urbani. Coerentemente a questo, anche la quantità di clorofilla è diminuita nel medesimo arco temporale, facendo pensare che le misure messe in atto per controllare l’input antropico di fosforo e azoto da fonti puntuali abbiano dato i risultati sperati.

Conseguenze dell’eutrofizzazione sugli ecosistemi acquatici

L’aumento della produttività primaria di un ecosistema acquatico innesca una serie di reazioni a catena che hanno come risultato principale il degrado dell’ecosistema stesso che  subirà di conseguenza una perdita di biodiversità[9].

Sebbene la prima fase del processo di eutrofizzazione sia  caratterizzata da una crescita vegetale spropositata, l’accumulo algale superficiale rende poi la parte più profonda dell’ecosistema pressoché improduttiva. Lo sviluppo superficiale abbondante del fitoplancton, infatti, impedisce la penetrazione della luce negli strati di acqua più profondi. Di conseguenza, si ha un declino delle macrofite, le quali non riescono più a svolgere le loro normali attività fotosintetiche. Inoltre, il fatto che la luce non possa propagarsi attraverso gli starti più profondi influisce anche sulle capacità predatorie degli organismi, i quali faranno più fatica ad intercettare e catturare le prede[10].

Anche l’ossigeno, altro parametro fondamentale per consentire le normali funzioni degli ecosistemi acquatici, subisce importanti variazioni in caso di eutrofizzazione delle acque. La degradazione aerobica della materia organica ad opera dei batteri, infatti, fa sì che si verifichino delle pericolose diminuzioni dell’ossigeno disponibile (soprattutto nelle zone di fondo): spesso si arriva addirittura ad una condizione di anossia, cioè di totale mancanza di ossigeno, che impedisce la sopravvivenza della gran parte degli organismi. Per questo motivo, è molto comune che a volte si parli di zone morte all’interno dei corpi idrici eutrofici.

Dalla degradazione della biomassa vegetale deriva una grande quantità di anidride carbonica che provoca un abbassamento del pH che, in alcuni casi, può portare all’acidificazione delle acque, contribuendo alla diminuzione della vitalità dell’ecosistema[11].

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Inoltre, un contesto eutrofico caratterizzato da un aumento delle immissioni di fosforo che alterano il rapporto azoto/fosforo, favorisce l’ascesa di organismi azotofissatori. L’azoto, infatti, può essere utilizzato dagli organismi unicamente nella sua forma fissata, ossia in forma di nitrati, nitriti e ioni ammonio. Dunque, in presenza di ridotte quantità di azoto, vengono favoriti gli organismi azotofissatori per ottimizzarne la disponibilità, già scarsa rispetto al fosforo. In laghi eutrofici, dunque, dominano i cianobatteri che crescono e si concentrano nello strato più superficiale delle acque. Alcuni di questi (come i generi Anabaena, Clyindrospermopsis, Microcystis e Oscillatoria) possono produrre delle tossine che danno origine a delle fioriture algali pericolose (HABs: harmful algal blooms), le quali influenzano negativamente tutte le attività strettamente legate all’ecosistema lacustre e generano anche un rischio per la salute degli organismi[6].

Interventi correttivi

Controllo dell’immissione di nutrienti

Gli interventi principali per prevenire le situazioni di eutrofizzazione hanno riguardato la limitazione dell’uso di fertilizzanti.

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Importanti passi avanti sono stati fatti anche per diminuire il carico di nutrienti provenienti dagli impianti di depurazione delle acque, tramite l’utilizzo di tecnologie di trattamento più avanzate e di microorganismi deputati al sequestro di fosforo e azoto[9].

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Nonostante queste accortezze, controllare l’input di nutrienti immessi verso i corpi idrici non è semplice, soprattutto nelle aree in cui la sorgente è di tipo diffuso.

Azioni di contenimento dall’interno

Laddove non sia sufficiente controllare il quantitativo di nutrienti immessi in ambiente, è possibile controllare la produttività dell’ecosistema attraverso l’uso di alghicidi (come per esempio il solfato di rame), così da mantenere sotto controllo la crescita delle fioriture algali. Tuttavia, a dispetto dei costi molto elevati, questa tecnica non risulta comunque una soluzione in grado di risolvere il problema in maniera permanente.

Per mirare ad un miglioramento permanente della qualità delle acque, invece, è possibile ricorrere ad interventi di biomanipolazione. Con questo termine si intendono delle azioni che vanno ad alterare la struttura biologica dell’ecosistema al fine di raggiungere un determinato scopo. Nel caso di corpi idrici soggetti ad eutrofizzazione, è possibile modificare la naturale rete trofica lacustre, andando ad aumentare il numero di pesci predatori. Mantenendo sotto controllo il numero dei consumatori secondari diminuisce la pressione predatoria su quelli che vengono chiamati grazers, cioè quegli organismi pascolatori che si nutrono esclusivamente di sostanza vegetale. In questo modo, lo zooplancton, meno predato e quindi più abbondante, potrebbe consumare più biomassa vegetale, contenendo per quanto possibile il problema della sovrapproduzione primaria [6].

Oltre ad intervenire sulla struttura trofica, alcuni studi hanno messo in evidenza come anche l’utilizzo di alcune piante acquatiche promuova la diminuzione di fosforo e azoto attraverso un’azione che può essere definita di fitodepurazione. Ad esempio, l’alga Hydrodictyon reticulatum sembra essere in grado di rimuovere fino al 67,3% di azoto e fosforo in tempi piuttosto brevi[12].

Altri interventi mirati all’abbassamento del carico interno dei nutrienti prevedono invece il prelievo dell’acqua ipolimnica, cioè dell’acqua dallo strato più profondo del corpo idrico[13]. Questa, infatti, risulta essere la zona maggiormente colpita in situazioni eutrofiche in quanto va incontro ad anossia e alla possibilità di rilascio di nutrienti e sostanze tossiche. Al medesimo scopo possono essere impiegati dei sistemi, come per esempio l’argilla bentonitica, che promuovano la complessazione e la successiva sedimentazione dei nutrienti, rendendoli non più biodisponibili per la produzione primaria.

Il caso del Lago di Varese

Il Lago di Varese, situato nell’omonima provincia italiana, rappresenta uno dei primi casi europei di eutrofizzazione culturale. Il Lago in questione, infatti, si trova in una delle zone più densamente popolate d’Italia, con valori che si aggirano attorno agli 800 abitanti per km2 e, per via dell’immissione diretta nel lago degli scarichi non trattati, all’inizio degli anni Sessanta ne è stata constatata l’ipertrofia[14].

L’eccessiva concentrazione di fosforo e azoto ha portato ad una condizione di eutrofia che determina un degrado generale dell’ecosistema lacustre. Le alte concentrazioni di fosforo e azoto e il basso contenuto di ossigeno disciolto promuovono lo sviluppo di sostanze tossiche (come ammoniaca e solfuro, principalmente) che derivano proprio dalla degradazione della materia organica in ambiente anossico. Queste condizioni hanno portato nel Lago di Varese ad una banalizzazione dell’ecosistema, ossia ad un suo impoverimento legato alla perdita di biodiversità.

La condizione eutrofica del bacino in questione è inoltre acuita dalla massiccia presenza di macrofite acquatiche, le quali però costituiscono un habitat ideale per molte specie ornitiche a tutela delle quali, per altro, il Lago di Varese è stato inserito come Zone di Protezione Speciale all’interno di Rete Natura 2000[15].

Interventi di risanamento

Per ridurre il carico di nutrienti immessi nel corpo idrico, attorno al 1980 è stato realizzato un impianto di depurazione delle acque. Oltre a questo, a partire dal 2000, sono state avviate delle azioni di manipolazione dell’ecosistema lacustre con lo scopo di ripristinare uno stato di salute soddisfacente. In particolare, nel corso dei tre anni successivi, sono state intraprese due diverse azioni di risanamento[16].

Innanzitutto, per promuovere la diminuzione del carico interno di fosforo, sono state prelevate le acque ipolimniche (cioè quelle appartenenti allo strato più profondo). In secondo luogo, per incrementare i livelli di ossigeno disciolto in tutti gli strati della colonna d’acqua, sono state svolte delle insufflazioni di ossigeno; quest’ultimo intervento si è però rivelato inefficiente per riossigenare le acque profonde e comunque complessivamente poco efficace in termini di rapporto costi/benefici. Analogamente, nonostante il prelievo di acqua ipolimnica abbia effettivamente ridotto di 3-5 tonnellate all’anno il carico interno di fosforo, nel corso dei monitoraggi successivi anche questa non si è rilevata una soluzione efficace nel tempo.

Nonostante la messa in opera del sistema di depurazione delle acque abbia contributo alla diminuzione di fosforo e azoto rispettivamente del 40% e 27%, continuano comunque ad esistere delle sorgenti antropogeniche per questi nutrienti. Nel 2014 gli input netti di fosforo e azoto antropogenici si aggiravano rispettivamente attorno a 118 e 661 tonnellate all’anno. Malgrado i carichi esterni, comunque,  il Programma di Tutela e Uso delle Acque (PTUA) della Regione Lombardia del 2017 ha confermato che il lago in questione ha dei carichi interni importanti: ciò significa che i nutrienti rilasciati dai sedimenti giocano un ruolo significativo per il mantenimento della condizione di eutrofia nel tempo e riducono allo stesso tempo i benefici dei vari interventi di mitigazione[17].

Conclusioni

L’eutrofizzazione è un processo che riguarda principalmente gli ecosistemi lacustri e costieri e consiste in una sovrapproduzione di organismi vegetali causata dall’eccessiva disponibilità di nutrienti, in particolare di fosforo e azoto. L’effetto principale di questo fenomeno è dato da una crescita eccessiva di produttori primari, soprattutto di organismi fitoplanctonici, che creano una patina superficiale che impedisce le normali funzioni vitali nelle parti più profonde dell’ecosistema. Pertanto, gli ecosistemi acquatici eutrofici sono caratterizzati da una perdita di biodiversità, acuita spesso dalla scarsità di ossigeno nelle zone più profonde. Sebbene il processo di eutrofizzazione sia del tutto naturale, l’immissione di fosforo e azoto antropogenici all’interno di ecosistemi acquatici non fa altro che accelerare questa degradazione e, a tal proposito, si parla di eutrofizzazione culturale.

Uno dei primi esempi di eutrofizzazione culturale in Europa è dato dal Lago di Varese. Si tratta infatti di un lago poco profondo e situato in una zona fortemente antropizzata, che già negli anni Sessanta fu definito ipertrofico a causa dello scarico diretto di acque reflue non trattate. Nonostante diversi tentativi di risanamento siano stati intrapresi per migliorare la qualità delle acque del lago in questione, questo costituisce l’esempio lampante di come l’eutrofizzazione sia una tendenza naturale di tutti gli ecosistemi lacustri e talvolta più accentuata in funzione delle caratteristiche specifiche.

Referenze

  1. ISPRA Ambiente (2004). Qualità dei laghi;
  2. Thomas, M. S., Robert, L. S. (2013) Elementi di Ecologia. Pearson;
  3. Conley, D. J., et al. (2009). Controlling eutrophication: nitrogen and phosphorus. Science323(5917), 1014-1015;
  4. Bettinetti, R., Crosa, G., Galassi, S. (2007). Ecologia delle acque interne. CittàStudi Edizioni;
  5. Carpenter, S. R. (1981). Submersed vegetation: an internal factor in lake ecosystem successionThe American Naturalist118(3), 372-383;
  6. Chislock, M. F., et al. (2013). Eutrophication: causes, consequences, and controls in aquatic ecosystems. Nature Education Knowledge4(4), 10;
  7. ISPRA Ambiente (2014). Progettazioni di reti e programmi di monitoraggio delle acque ai sensi del D.Lgs. 152/2006 e relativi decreti attuativi.
  8. Giorgi, G., Penna, M. (2017). Eutrofizzazione. Annuario dei Dati Ambientali. ISPRA;
  9. Khan, F. A., & Ansari, A. A. (2005). Eutrophication: an ecological visionThe botanical review71(4), 449-482;
  10. Lehtiniemi, M., Engström-Öst, J., & Viitasalo, M. (2005). Turbidity decreases anti-predator behaviour in pike larvae, Esox luciusEnvironmental Biology of Fishes73(1), 1-8;
  11. National Ocean Service, NOAA (2021). What is eutrophication?;
  12. Liu, C., et al. (2004). Seasonal changes in height, biomass and biomass allocation of two exotic aquatic plants in a shallow eutrophic lakeJournal of Freshwater Ecology19(1), 41-45;
  13. Casamitjana, X., et al. (2003). Effects of the water withdrawal in the stratification patterns of a reservoirHydrobiologia504(1), 21-28;
  14. Canziani, A., & Crosa, G. (2005). Collection and evaluation of existing data on Lake Varese: recovery actions and evolution of trophic status. Internal report. Provincia di Varese, Varese;
  15. Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQTS), Salvaguardia e risanamento del lago di Varese – Allegato 1: Contesto e scenario di riferimento;
  16. Zaccara, S., et al. (2007). A northern Italian shallow lake as a case study for eutrophication control. Limnology, 8(2), 155-160.

Immagine di copertina da pixy.org (CC0).

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