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Esobiologia: vita extraterrestre

I termini “alieno” ed “extraterrestre” sono spesso associati a personaggi presenti in opere di fantascienza. Tuttavia, seppur speculativa, esiste una branca della biologia che ricerca e considera l’esistenza di vita extraterrestre: l’esobiologia. Ma com’è possibile studiare organismi di cui non è provata l’esistenza? Cosa e dove devono cercare gli esobiologi per capire se c’è vita nell’universo?

Equazione di Drake

Nel 1960 Frank Drake, astronomo statunitense, condusse la prima ricerca presso il National Radio Astronomy Observatory, per tentare di rilevare segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri. Un anno dopo, Drake formulò un’equazione ancora oggi applicata nell’ambito dell’esobiologia, ideata per stimare la numerosità delle civiltà extraterrestri nella nostra galassia, indicata con la lettera N.

L’equazione di Drake prende in considerazione diversi parametri ed è così formulata:

N = R* · fp · ne · fl · fi · fc · L

I valori dell’Equazione

Il primo valore è R*, ovvero il tasso di formazione delle stelle nella Via Lattea. Dopodiché vanno prese in considerazione solo le stelle legate a sistemi planetari; questi devono avere le condizioni necessarie per ospitare la vita, requisiti non facili da soddisfare e rispettivamente rappresentati da fp ed ne. Fl corrisponde alla frazione di pianeti in cui si ipotizza che si sviluppi la vita, mentre fi è la frazione di questi in cui la vita che si sviluppa è intelligente. Non solo deve essere intelligente, ma la variabile fc dice che queste forme di vita devono essere in grado di sviluppare una tecnologia che emetta un segnale radio nello spazio. L’ultima variabile è L, periodo di tempo nel quale si presuppone che i segnali vengano inviati. Come si può notare le variabili sono molte ed è difficile stabilire con esattezza ogni singolo valore [1], per questo si parla di probabilità. Tuttavia, esistono delle stime e dei risultati che possono, almeno teoricamente, dare un valore alla variabile N, e rispondere alla domanda.

Ci sono civiltà sviluppate a tal punto da inviare segnali radio nella Via Lattea?

Interpretazioni e soluzioni

Molti scienziati sin dalla prima formulazione dell’Equazione hanno cercato di elaborarne il risultato. Dal ’60 a oggi gli strumenti scientifici a disposizione per elaborare i valori si sono evoluti, ma l’equazione. di fatto, resta un modo per discutere in termini scientifici dell’argomento, piuttosto che per fornire risposte definitive.

Le stime più recenti ipotizzano fino a 23 civiltà extraterrestri.

Ma allora perché non abbiamo mai avuto prova della loro esistenza? Questo è proprio il dilemma conosciuto come paradosso di Fermi che prese il nome dal fisico italiano che per primo lo propose, Enrico Fermi. Dal momento che non si hanno certezze a riguardo, gli scienziati che oggi si occupano di esobiologia hanno cercato di concentrare la propria attenzione sui requisiti che deve avere un organismo per svilupparsi, senza escludere gli ambienti più ostili.

Esobiologia: le condizioni per la vita

Quando si cercano forme di vita nello spazio, si presuppone che esse si trovino nei pianeti con le caratteristiche più simili a quelle della Terra: abbondanza di acqua, fonti energetiche e altre molecole fondamentali.

Secondo gli esobiologi i requisiti minimi sono proprio questi, ricordiamo però che non possiamo stabilire con certezza che la vita si basi sempre sulle stesse, identiche, molecole.

Più in generale, non siamo nemmeno certi che la presenza di vita si possa ipotizzare se sono presenti tutti gli ingredienti che tendiamo a ritenere indispensabili: un solvente liquido, una fonte di energia e i cosiddetti building blocks, cioè molecole base, organiche e inorganiche, che combinate tra loro danno origine a strutture più complesse. Altri parametri variabili sono il pH, la temperatura, la pressione, la salinità e le radiazioni.[2] I pianeti con caratteristiche simili a quelle della Terra sono più comunemente chiamati esopianeti.

Tuttavia, grazie agli organismi conosciuti come estremofili sappiamo che la vita si può sviluppare non solo negli esopianeti, ma dovunque le condizioni minime siano soddisfatte.

Esopianeti e anno luce

Quelli chiamiamo Esopianeti sono corpi celesti che fanno parte di un sistema solare, nella nostra o in altre galassie. Orbitano attorno al proprio sole a una distanza che permette la presenza di acqua o altri solventi allo stato liquido, uno dei requisiti più importanti per lo sviluppo della vita. Questi pianeti, proprio come la Terra, possono avere una moltitudine di ambienti nei quali le condizioni chimiche e fisiche sono potenzialmente valide per ospitare la vita. Sfortunatamente la maggior parte di loro dista svariati anni luce dal nostro sistema solare.

L’anno luce è la distanza percorsa dalla luce in un anno. La luce giunge a noi dal Sole in 8 minuti e mezzo, coprendo la distanza di 150 milioni di Km. La distanza percorsa dalla luce in un anno (anno-luce) equivale a circa 63 mila volte quella percorsa dal Sole alla Terra. Quindi 63 mila volte 150 milioni di Km.

Il più vicino è Proxima b, fa parte del sistema Proxima Centauri nella nostra galassia, la Via Lattea. Proxima b dista 4,2 anni luce[3] ed è l’ottavo pianeta più simile alla Terra secondo l’indice ESI[4], una scala di misurazione fisica utilizzata per comparare gli altri pianeti alla Terra. Il valore di questo indice è compreso tra 0 (nessuno somiglianza) e 1 (pianeta identico alla Terra) e viene calcolato basandosi su raggio, densità, velocità di fuga e temperatura in superficie. Proxima b ha un valore ESI di 0.87 ed indica che il pianeta è molto simile alla Terra. Questo dato, però, non fornisce informazioni sulla sua abitabilità.

Lune

La ricerca di vita nello spazio non si limita agli esopianeti, ma interessa anche i loro satelliti, le lune. Un esempio lo si può trovare proprio all’interno del nostro sistema solare. Una luna di Saturno, Encelado, e una luna di Giove, Europa, sono ritenute potenzialmente in grado di ospitare la vita[5].

La distanza dal sole di Encelado non le permette di ricevere sufficienti radiazioni solari per essere riscaldata, motivo per cui le sue temperature superficiali si aggirano tra i – 128°C e i – 240°C: decisamente non un luogo in cui si cercherebbe normalmente la vita. Tuttavia, grazia alla sonda Cassini è stato possibile stabilire che su questa luna ghiacciata sono presenti acqua e molecole organiche. Le analisi hanno evidenziato che nei getti di vapore acqueo emessi in superficie, sono presenti azoto, anidride carbonica e metano. Si ritiene, quindi, che al di sotto della superficie ghiacciata sia presente uno strato abbondante di acqua, nel quale sono disciolte diverse molecole, responsabili dell’attività idrotermale del substrato e anche dei geyser in superficie. Si potrebbe pensare che questo fenomeno sia influenzato dall’ ipotetica presenza di organismi metanogeni.

Nel 2018 alcuni ricercatori hanno tentato di ricostruire con un esperimento le condizioni di Encelado dimostrando che il microrganismo Methanothermococcus okinawensis avrebbe le caratteristiche adatte a vivere e produrre metano nello strato sottostante [6]. La conclusione di questo studio ci dice che organismi analoghi potrebbero essere in grado di farlo e quindi trovarsi effettivamente su Encelado.

Quali batteri potrebbero vivere su altri pianeti?

I microrganismi con capacità particolari sono identificati come estremofili perché solitamente vivono in condizioni proibitive per organismi più complessi. Bisogna specificare che questi organismi, vivono normalmente a queste condizioni[2], quindi si può pensare che sopravvivano e si trovino anche in scenari più complessi.

Il più famoso nel mondo della biologia è sicuramente il Thermus aquaticus[7], in grado di crescere a temperature di 75°C ; grazie a lui è stato possibile migliorare sensibilmente il metodo di amplificazione del DNA. Esistono moltissimi microrganismi di questo tipo, ognuno dei quali si è adattato a una o più condizioni differenti diventando quindi poliestremofili.
Di seguito alcuni esempi affascinanti:

  • Picrophilus oshimae vive in solfatare a condizioni di pH molto acido con un valore di 0,6 su 14, più forte dell’acido cloridrico.
  • Thermococcus piezophilus vive negli abissi alla pressione di 125 Mpa, che corrispondono a circa 1275 kg applicati su un’area di un centimetro. È stato provato che altri microorganismi riescono a rimanere metabolicamente attivi anche se soggetti a pressioni di 2000 Mpa;
  • Halarsenatibacter silvermanii vive in un lago fortemente alcalino in cui le concentrazioni saline di NaCl sono del 35% mg/L;
  • Deinococcus radiodurans, a oggi considerato il microorganismo modello per lo studio sulla resistenza alle radiazioni e al vuoto, un poliestremofilo in grado si sopravvivere alle condizioni del pianeta Marte.

C’è vita su Marte?

Marte è il quarto pianeta più distante dal nostro sole, prima di lui c’è la Terra. Negli ultimi decenni sono state tantissime le missioni condotte per esplorarlo e per condurvi ricerche. Perseverance della NASA è la più recente, ancora attiva, e il suo rientro è previsto nel 2033.

I dati del suolo e delle condizioni di Marte per il momento non sembrano essere promettenti per l’esobiologia. Nel 2003 un gruppo di ricerca ha individuato una corrispondenza in termini di composizione del terreno, tra il campione di suolo raccolto dalla missione Viking e il suolo di una regione remota del deserto Atacama, in Cile. Dopo diversi tentativi hanno stabilito che il suolo era inadatto a qualsiasi tipo di coltura biologica[8]. Ma allora dov’è ancora possibile sperare di trovare tracce di vita su Marte?

Vita nel sottosuolo

Una scoperta del 2022 ha incoraggiato gli esobiologi nella loro ricerca della vita extraterrestre. Si tratta di piccoli cristalli presenti in inclusioni rocciose dell’Australia centrale, risalenti a 830 milioni di anni fa. All’interno di questi piccoli cristalli sono stati individuati composti organici e la presenza di cellule procariote ed eucariote che hanno vissuto preservati all’interno di questo microambiente[9]. Secondo gli esperti questa tipologia di sedimenti, che siano di origine Terrestre o Extraterrestre, dovrebbero essere considerati come potenziali ospiti di microrganismi antichi e composti organici. Questo suggerisce un potenziale sito di ricerca e ritrovamento su altri pianeti: il sottosuolo.

Nel sottosuolo, inoltre, avverrebbe il fenomeno della serpentinizzazione. Una reazione chimico-fisica che avviene in condizioni di pH alcalino e che, grazie all’interazione tra acqua e rocce, libera idrogeno, composti del carbonio organici e inorganici. La serpentinizzazione, secondo gli esobiologi, è molto diffusa sui corpi celesti del sistema solare, incluse le Lune, e si pensa anche che potrebbe aver svolto un ruolo importante sulla Terra[2], favorendo la vita di microorganismi specifici.

Conclusioni

Le ricerche dell’esobiologia sono ancora in atto, nell’ottobre 2024 l’agenzia aerospaziale NASA darà il via ad una nuova missione: CLIPPER. Lo scopo sarà quello di cercare tracce di vita da getti di vapore emessi da una delle lune ghiacciate di Giove: Europa.

Al momento non sono mai stati individuati organismi extraterrestri, ma non si può escludere la loro possibile esistenza nel cosmo. Bisogna però tenere a mente che la vita potrebbe svilupparsi in condizioni completamente diverse da quelle Tterrestri, e che quindi sia adattata ed evoluta in modi a noi sconosciuti. La scoperta di forme di vita extraterrestre porterebbe alla branca dell’esobiologia una grandissima attenzione da parte della comunità scientifica, aprendo strade finora del tutto inesplorate.

Leggi anche: Se gli alieni esistono, perché non li abbiamo ancora trovati?

Referenze

  1. Giovanni F. Bignami 2004. ” Storia delle scienze sperimentali – La vita e i Pianeti: il mito e la scienza.” Rend. Fis. Acc. Lincei., Conferenza 15, 267-279;
  2. Merino N. et Al. 2019. “Living at the Extremes: Extremophiles and the Limits of Life in a Planetary Context” Frontiers in microbiology 10;
  3. Anglada-Escludé, G., et Al. 2016. “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri.” Nature 536, 437–440;
  4. Earth Similarity Index.
  5. Parkinson CD. et Al. 2008. “Habitability of enceladus: planetary conditions for life.” Orig Life Evol Biosph. 38 (4), 355-369;
  6. Taubner, R. S. et Al. 2018. “Biological methane productione under putative Enceladus-like conditions.”, Nat. Commun. 9, 748;
  7. Brock D. Thomas et Al. 1970. “Fine Structure of Thermus aquaticus, an Extreme Termophile”, Journal of Bacteriology, 509-517;
  8. Navarro-Gonzalez R. et Al. 2003. “Mars-Like Soils in the Atacama Desert, Chile, and the Dry Limit of Microbial Life”, Science 302, 1018-1021;
  9. Schreder-Gomes S.I. et Al. 2022. “830-Million-Year-Old Microorganisms in Primary Fluid Inclusions in Halite”, Geology 50, 918-922.
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