La Community italiana per le Scienze della Vita

Disturbo Ossessivo-Compulsivo: cos’è, sintomi e trattamento

Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni, dove con «ossessioni» si indicano idee, pensieri, immagini o impulsi che il paziente esperisce in modo persistente, mentre «compulsioni» sono pensieri o azioni volte a neutralizzare le ossessioni andando a ridurre la quota di ansia che queste generano.

Cos’è il Disturbo Ossessivo-Compulsivo?

Dal momento che l’ansia è una caratteristica centrale del disturbo, fino al DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IV edizione), il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) era incluso nella sezione relativa ai disturbi d’ansia. Tuttavia, tante altre caratteristiche lo contraddistinguono rispetto ai disturbi d’ansia in generale.

L’ansia non è patognomonica (non definisce il DOC in modo univoco e assoluto). Avere alcuni sintomi ossessivi non implica il DOC[1]; in tanti hanno molti sintomi, ma in condizioni normali questi non recano disagio. Maschi e femmine sono colpite in egual misura con una lieve predominanza dei maschi in infanzia. Difatti è una patologia psichiatrica che il più delle volte esordisce precocemente.

Generalmente, i primi sintomi si presentano fin dall’età scolare e tendono ad aggravarsi nel corso della vita. A partire dalla prima età adulta diventano frequentemente invalidanti. Tuttavia, non tutti i bambini che presentano i sintomi (generalmente di carattere mistico o scaramantico) sviluppano il disturbo ossessivo-compulsivo in età adulta; è stato visto che solo il 3% circa della popolazione presenta il disturbo.

Gli aculei del paziente ansioso

Generalmente l’andamento del disturbo ossessivo compulsivo è «waxing and waning», ovvero ingravescente per certi periodi, latente per altri. Tutto ciò che comporta stress e ansia, di solito porta con sé un aggravamento della sintomatologia. Più il paziente si sente sotto pressione più è facile che manifesti la sua tensione con comportamenti aggressivi.
Segue un esempio: nei rituali compulsivi sono spesso coinvolti amici e familiari. Il paziente nell’immediato pare stia meglio, ma sul lungo termine non sembra trarre beneficio dal conforto esterno.

Difatti le rassicurazioni creano tranquillità nel breve termine, ma non hanno effetti terapeutici nel lungo periodo. Al contrario, il paziente rischia di diventarne dipendente perdendo la propria autonomia. D’altra parte non è facile opporsi alle sue richieste di aiuto. Se non riceve la rassicurazione che cerca, il più delle volte diventa aggressivo nel tentativo di proteggersi… da cosa?

Ricordiamo che l’ansia è una caratteristica centrale del disturbo ossessivo-compulsivo che mantiene il paziente in un costante stato di allerta. Dal punto di vista fisiologico, tale allerta si traduce con un’attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS), a cui segue l’innesco della tipica risposta «protettiva» fight-or-flight (lotta o fuga). Non è necessario che vi sia un pericolo ambientale palese affinché il nostro corpo risponda con l’attivazione del SNS, è sufficiente che il paziente si senta in qualche modo minacciato. In questo caso, la preoccupazione del paziente spiegata dal DOC è la prima minaccia, il fatto che nessuno sia disposto ad aiutarlo è la seconda. Ne consegue che il paziente si chiude a riccio e mostra gli aculei appuntiti (oppure gli viene un attacco di panico).

Qualche esempio…

Vi sono pazienti che non riescono a vestirsi da soli per paura di sporcare i vestiti, perciò chiedono di essere vestiti da un’altra persona che è obbligata a farlo onde evitare che le vengano riversate ingiustamente contro aggressività, rabbia e ostilità. Un altro esempio è quello delle persone ossessionate dal pulito: hanno bisogno di mantenere l’ordine e spesso coinvolgono nel lavaggio i parenti. Questi, a lungo andare, si rifiutano di sottostare alle esigenze dettate dal DOC, a quel punto i pazienti li attaccano guidati dalla frustrazione come se fossero loro la causa del malessere.

Ossessioni e compulsioni

Il disturbo è ovviamente caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni senza le quali non è possibile diagnosticarlo.

  • Ossessioni: sono idee, pensieri, immagini o impulsi che il paziente esperisce in modo persistente, ripetitivo, intrusivo e che riconosce come egodistoniche (fastidiose);
  • Compulsioni: sono pensieri o azioni volte a neutralizzare le ossessioni andando a ridurre la quota di ansia che queste generano. Fungono da auto-conforto, potenzialmente hanno uno scopo terapeutico, ma rischiano di deviare verso la patologia quando il paziente ne diventa dipendente. C’è chi è sommerso dai pensieri ossessivi, se per ognuno è necessario mettere in atto un comportamento, allora il paziente rischia di dedicare quotidianamente ore e ore alla compulsione.

Affinché si possa parlare di disturbo è necessario che la presenza di ossessioni e compulsioni:

  • causi disagio;
  • occupi almeno 1 ora al giorno;
  • interferisca con il funzionamento individuale;
  • non sia causata dall’uso di sostanze o farmaci;
  • non sia causata dalla presenza di altre patologie psichiatriche.

Nei bambini è più facile vedere le compulsioni senza ossessioni, ma solo perché per i bimbi è più difficile descrivere ciò che pensano (ovvero ciò che sta alla base delle compulsioni). Allo stesso modo negli anziani è facile osservare compulsioni apparentemente isolate. Il più delle volte sono state apprese per condizionamento: l’anziano mette in atto un comportamento che lo fa stare meglio, ma lo fa solo per abitudine, spesso neanche ricorda l’ossessione che inizialmente l’aveva innescato.

Gli agiti non per forza sono di tipo fisico come toccare, contare, mettere in ordine, le compulsioni possono essere semplicemente anche una serie di pensieri, controlli mentali di ciò che è stato fatto (ricordarsi di aver chiuso la porta), oppure esorcismi. Ad esempio, se si pensa una cosa negativa, è necessario pensarne un’altra che la contrasti, altrimenti quella negativa potrebbe avere delle conseguenze: la preghiera dopo la bestemmia.

Il problema del circolo vizioso

Le compulsioni appaiono come comportamenti obbligati dal momento che il paziente non può fare a meno di metterle in atto. In verità i comportamenti compulsivi sono volontari. È vero che l’ansia è così forte da obbligare il paziente alla compulsione per tenerla a bada, ma è lui stesso che decide di fare l’azione. Al contrario, le ossessioni sono incontrollate, il paziente non può fare nulla per non subirle. Sono egodistoniche, ciò significa che spesso il paziente sa che non hanno senso, eppure non riesce a smettere di pensarci.

L’ossessione quindi ha sempre una discreta percentuale di dubbio ed è questa caratteristica che la distingue dal pensiero delirante tipico delle psicosi[1].

Doc: Obsessive compulsive disorder
Il paziente con DOC sente un peso sul petto fino a quando non mette in atto la compulsione. L’ansia lo schiaccia (Credit foto: Pixabay – sweetlouise).

Più vengono messe in atto compulsioni più l’ansia decresce. Tuttavia questa cosa innesca un circolo vizioso: più le compulsioni fanno stare bene, più le si mette in atto, diventano come una droga. Non di rado il paziente passa da poche compulsioni a compulsioni molto lunghe e reiterate che occupano l’intero arco della giornata. Ad un certo punto i livelli di ansia generati dall’ossessione sono così elevati che il soggetto inizia a evitare tutto ciò che gli genera le ossessioni[1].

Il paziente DOC che ha il timore della contaminazione inizierà a gestire le situazioni pericolose con tovagliolini e guanti, arriverà a non uscire più di casa o addirittura a non alzarsi più dal letto onde evitare di entrare in contatto con agenti patogeni. In alcuni casi l’evitamento diventa estremo, di conseguenza le preoccupazioni ossessive e le compulsioni diminuiscono. Questo non rende i pazienti meno gravi, al contrario, l’evitamento è indice di una situazione ben più seria.

Un paziente molto compulsivo è un paziente non ancora evitante che riesce ancora a vivere la sua vita seppur con difficoltà. Un paziente molto evitante è un paziente poco compulsivo che non riesce più a muoversi per paura di schiacciare una mina. Meglio trattare il disturbo ossessivo-compulsivo prima che diventi così complicato.

Le compulsioni sono altrettanto gravi. Vi sono pazienti che pur di metterle in atto (ad esempio lavarsi i capelli per ore e ore), si svegliano alle 2 di notte o addirittura non dormono. Per giunta, talvolta, il contenuto delle idee ossessive diverge così tanto dal vissuto generale della persona o dalla norma sociale da impedire al paziente di parlarne con il clinico. Caso esemplare è quello delle idee aggressive o morali (paura di fare del male, paura di essere omosessuale) che permangono per anni e anni fino a diventare davvero problematiche.

Il contenuto mentale: ossessioni e distorsioni cognitive

Le ossessioni sono categorizzate in cinque grandi dimensioni secondo Katerberg[2]:

  • pensieri taboo;
  • contaminazione/pulizia;
  • dubbio/checking;
  • rituali/superstizione;
  • simmetria/perfezionismo;

Spesso vi sono soggetti che mostrano sintomi misti. Non è detto che le ossessioni di uno stesso soggetto siano circoscritte a un’unica area. Inoltre, i contenuti possono variare nel corso della vita, non sono per forza stabili.

Per quanto riguarda le distorsioni cognitive, trattasi di pensieri inconsapevoli alla base della compulsione, ovvero ciò su cui solitamente si lavora durante la terapia cognitiva:

  • senso patologico di responsabilità. Il paziente sente di poter di causare danni, non solo compiendo determinate azioni (responsabilità nell’outcome) ma anche non compiendole (responsabilità nell’omissione). Quando osserva la responsabilità degli altri è assolutamente imparziale e realistico; quando osserva sé stesso, si valuta responsabile. Se gli viene chiesto di immaginare qualcun altro nella sua stessa situazione, riconosce che «qualcun altro non ha colpe», ma non è altrettanto indulgente nei propri confronti;
  • sovrastima del pericolo. Stima esagerata della probabilità o della severità del danno condivisa con tutti i disturbi d’ansia;
  • importanza dei pensieri. Converge nella fusione pensiero-azione. Se il paziente ha un pensiero violento, allora si ritiene automaticamente una persona violenta. Se visualizza l’immagine intrusiva del figliolo ucciso, desidera che venga ucciso? Infine, se ha paura di essere pedofilo, si sente giudicato come se davvero lo fosse.
  • intolleranza all’incertezza. Malessere in situazioni ambigue. Pensiero assolutamente dicotomico. O bianco o nero. O giusto o sbagliato. «O i pastelli sono in preciso ordine cromatico, oppure sono in completo disordine e il disordine è sbagliato, quindi io sono sbagliato». Da qui deriva l’ipercontrollo tipico del DOC: controllo = situazione certa perché il paziente se la crea da solo;
  • perfezionismo. Una cosa è perfetta (secondo ciò che il paziente ritiene soggettivamente perfetto), se non lo è allora è fatta male senza mezzi termini. Da qui deriva l’indecisione patologica tipica del DOC: il paziente sente il bisogno di soppesare accuratamente ogni variabile prima di effettuare la scelta perfetta. Ne deriva l’altrettanto tipica lentezza pervasiva nello svolgere i compiti.

Trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo

È lungo, complesso e combinato (farmaci + terapia cognitivo-comportamentale). Inizialmente prevede, soprattutto nella prima fase, l’inserimento del farmaco con lo scopo di abbassare i livelli di ansia e diminuire le compulsioni.

  • SSRI;
  • SNRI;
  • Triciclici;
  • Antipsicotici atipici.

Si lavora principalmente sulla serotonina. Gli antidepressivi vengono utilizzati a dosaggi superiori rispetto ai dosaggi del disturbo depressivo, quindi comportano più effetti collaterali. I cambiamenti arrivano dopo circa 3 mesi, durante i quali prevalgono i soli effetti collaterali. Dopo 2 anni le dosi possono finalmente essere ridotte. In seguito alla somministrazione del farmaco, quando l’ansia è contenuta, si può procedere con la terapia cognitivo-comportamentale di tipo espositivo e di prevenzione della risposta (ERP).

La terapia fa stare male, agli inizi il paziente è troppo ansioso per poterla reggere. Si procede per piccoli passi, smontando il rituale compulsivo seduta dopo seduta. Si può anche chiedere al paziente di giocare sull’attesa. Se prima è costretto a mettere in atto la compulsione immediatamente dopo l’ossessione, gli si chiede di metterla in atto dopo 5 minuti, poi 10, poi mezz’ora, poi un’ora. In questo modo si arriva a distanziare di molto la compulsione e l’ossessione, in questo modo l’idea ossessiva finisce per perdere la sua carica ansiosa prima ancora che venga messa in atto la compulsione.

Altre terapie sono quelle somatiche

  • TMS (Transcranial Magnetic Stimulation) o tDCS (Transcranial Direct-Current Stimulation, come fosse un mini-elettroshock), non invasive;
  • Deep Brain Stimulation, richiede un reparto di neurochirurgia. Come la successiva ed è molto invasiva. Nell’immediato elimina completamente la sintomatologia, ma sul lungo termine sembra inefficace. I sintomi tendono a ricomparire;
  • Psicochirurgia (cingolotomia, capsulotomia anteriore, o leucotomia limbica), ormai non più adoperata.

Diagnosi differenziale e comorbidità

La diagnosi non sempre è così semplice. Se sento il bisogno di sistemare le matite in ordine di altezza ho il DOC? Non per forza. Vi sono altre patologie che per segni e sintomi ricordano il disturbo ossessivo compulsivo, senza contare alcuni tratti personologici come il perfezionismo che sono presenti più o meno intensamente in tutti noi. Questo non ci rende tutti DOC.

Doc, farmaci e terapia
Il paziente con DOC difficilmente può prescindere dall’assunzione di farmaci dal momento che senza di essi la sintomatologia è così intensa da impedirgli di seguire efficacemente il programma psicoterapeutico (Credit foto: Pixabay – StockSnap).

La diagnosi differenziale può essere fatta con:

  • disordini dei gangli alla base, ad esempio la Corea di Sydenham o di Huntington. Presenta segni neurologici e un onset tardivo rispetto a quello del DOC;
  • PANDAS (Pediatric Autoimmune Neuropsychiatric Disorder Associated with Streptococcus). Onset acuto con segni neurologici;
  • personalità ossessivo-compulsiva e disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Caratterizzati da perfezionismo e attenzione per i dettagli. Sono entrambi spiegati dal temperamento e dalla dimensionalità dei tratti personologici alla base. Più questi sono rigidi e inflessibili, più la personalità tende verso il disturbo. Se presenti nella giusta formula possono anche plasmare una personalità di grande successo, non per forza disturbata;
  • ossessioni e compulsioni come sintomi psicotici. Sono associate a un’altra patologia e non sono spiegate dal DOC;
  • sindrome di Tourette. Associata a tic motori e vocali che possono ricordare le compulsioni ma in questo caso manca la componente ideativa.

Per quanto concerne le comorbidità, è stato visto che nel 76% dei casi il disturbo ossessivo-compulsivo compare in co-diagnosi con i disturbi d’ansia (disturbo da attacchi di panico, ansia generalizzata, fobia sociale, fobia specifica). Non ci suona strano dal momento che il nucleo sintomatologico è condiviso dall’ansia e dal DOC. Altre comorbidità sono con i disturbi dell’umore quali depressione e disturbo bipolare, con gli OCD (Obsessive-Compulsive Disorder) related disorders e con i tic (più frequente nei maschi). La co-diagnosi con il disturbo bipolare è particolarmente complicata.

Le terapie utilizzate per il disturbo ossessivo-compulsivo sono antidepressive, perciò si crea un conflitto con la potenziale euforia del paziente che verrebbe innescata dal farmaco. La comorbidità con il disturbo depressivo invece è spesso causata dal DOC stesso: il paziente finisce col non vivere più a causa dell’evitamento, questo non può non avere un impatto sul suo umore.

Leggi anche: Disturbi della personalità

DOC related disorders

Tra i disturbi correlati al disturbo ossessivo-compulsivo abbiamo:

  • Tricotillomania;
  • Skin-picking o disturbo da escoriazione;
  • Dismorfofobia;
  • Disturbo di accumulo;

Tricotillomania e skin-picking sono disturbi legati perlopiù all’impulso, non tanto all’idea ossessiva. Nella tricotillomania il paziente non può fare a meno di strapparsi i peli da qualunque parte del corpo (soprattutto testa, gambe e pube). Ha onset in adolescenza ed è notevolmente superiore nelle femmine (10:1) dove segue molto l’andamento dei cicli mestruali. Spesso è collegata allo skin-picking, dove il paziente cerca di resistere all’impulso di pizzicarsi, ma non riesce. Diverse ore della giornata vengono dedicate all’escoriazione. Può ricordare gli agiti autolesivi del BPD (Borderline Personality Disorder) che portano a un momentaneo benessere, ma il fulcro patologico dei due disturbi è differente[1].

Dismorfofobia

Per citare Pirandello, un giorno Vitangelo Moscarda si guardò allo specchio e si rese conto di avere il naso pendente dal lato destro. La tal cosa gli creò non pochi problemi, nonostante fosse assolutamente normale che il suo volto fosse imperfetto, come quello di tutti. La dismorfofobia prima rientrava tra i disturbi somatoformi, ora ha guadagnato autonomia.
Riguarda la preoccupazione esagerata per uno o più difetti fisici percepiti soggettivamente.

I pazienti vedono un problema che di fatto non c’è, per questo sono spesso portati a sottoporsi alla chirurgia estetica. È poco più frequente nelle donne e varia di cultura in cultura, in Giappone ad esempio riguarda perlopiù le sopracciglia, in occidente altri distretti corporei.
Come nel DOC, anche in questo caso i pazienti non riescono a smettere di pensare al difetto. Il paziente può passare più di otto ore a pensare al problema. Ne derivano condotte di controllo e di evitamento come coprirsi, non uscire di casa, non scoprirsi, non cambiarsi in pubblico, chiedere rassicurazioni, guardarsi allo specchio…

Si arriva al completo evitamento dei contatti sociali per paura del confronto. Attenzione, se la preoccupazione è rivolta solo al peso e al grasso corporeo, allora abbiamo un disturbo del comportamento alimentare, non una dismorfofobia[1].

Disturbo da accumulo

Anche il disturbo da accumulo, come gli altri, nasce con il DSM-5, prima era considerato parte del disturbo ossessivo-compulsivo. È diverso dal semplice collezionismo! Il collezionista può raggiungere anche lo stesso numero di oggetti dell’accumulatore seriale, ma si distingue da esso perché non ammassa gli oggetti in clutter ma li ordina. Il paziente accumula perché ha difficoltà a separarsi dagli oggetti, a prescindere dal loro valore economico.

Da un lato c’è la necessità di salvare gli oggetti, dall’altro c’è la possibilità che un domani quegli oggetti potranno tornare utili. Ci sono pazienti che finiscono per accumulare spazzatura, o carta dei salumi usata. Gli spazi abitativi si riempiono in modo anormale di oggetti, anche sporchi (viene a mancare lo spazio e/o si crea un problema di igiene). Attenzione, a volte il paziente depresso può arrivare ad accumulare oggetti per mancanza di spinta vitale, rallentamento o fatica, ma non sente ansia da separazione dall’oggetto.

Il malessere nella separazione è patognomonico del disturbo da accumulo. 1/3 dei pazienti, più le donne rispetto agli uomini, presenta il disturbo anche con gli animali. Il paziente desidera salvare gli animali, ma spesso non riesce a prendersene cura, così infine si ripresenta il problema di igiene[1].

Buona parte di questi pazienti presente in co-diagnosi lo shopping compulsivo. Il malessere si estende anche al non poter fare a meno di comprare oltre che non poter fare a meno di buttare. Queste persone arrivano ad accumulare enormi quantità di nuovi oggetti oltre che vecchi; acquistano altre case, garage, magazzini pur di trovare spazio per la raccolta di oggetti acquistati ed accumulati. Sarebbe tutto nella norma se solo non fosse che pazienti e rispettivi famigliari a lungo andare finiscono per non avere più spazio fisico per vivere e convivere, il disordine regna sovrano nelle case degli accumulatori seriali, sempre meglio trattare la patologia prima che esploda.

Referenze

  1. American Psychiatric Association. (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Milano, Raffaello Cortina Editore.
  2. Katerberg, H. et al., (2010). Symptom dimensions in OCD: item-level factor analysis and heritability estimates. Behavior genetics40(4), 505-517.
Articoli correlati
Commenta