Dimetrodon, questo grosso sinapside è certamente famoso per quella sua caratteristica struttura a forma di vela che corre lungo tutto il dorso, tuttavia, nonostante esso venga quasi sempre accostato ai dinosauri, in realtà non si tratta affatto di uno di loro. In effetti, quando l’ultimo esemplare di questo genere scomparve dalla faccia della Terra, di dinosauri non se n’era ancora visto nemmeno uno. Ma cerchiamo di analizzare in breve gli aspetti più importanti di questo famoso “non dinosauro”.
Aspetti generali
Il genere Dimetrodon (che significa letteralmente “denti di due misure”) è stato descritto per la prima volta nel 1878 nientemeno che da Edward Drinker Cope, uno dei più celebri paleontologi di tutti i tempi. I suoi resti sono stati ritrovati in Texas, Nuovo Messico e Oklahoma e risalgono al Permiano Inferiore (tra 290.1 e 272.5 milioni di anni fa), anche se Berman et al. nel 2001 hanno riconosciuto e descritto una nuova specie di dimetrodonte europea all’interno del sito di Bromacker Quarry, in Germania. Tale specie, che è stata battezzata Dimetrodon teutonis, con una lunghezza di appena 60 cm, rappresenta la più piccola tra le 12 specie attualmente conosciute del genere Dimetrodon. Viceversa, Dimetrodon angelensis, con i suoi oltre 4 metri e mezzo di lunghezza, rappresenta la specie più grande e, solitamente, quella presa come riferimento nei documentari di divulgazione scientifica e nelle riproduzioni modellistiche.
Il vero colpo di scena è però il fatto che i dimetrodonti, nonostante la loro morfologia e fisiologia, sono maggiormente legati ai mammiferi che ai rettili. Essi infatti appartengono alla classe Synapsida e rappresentano una linea filetica che, a partire da circa 300 milioni di anni fa, durante il Tardo Carbonifero, porteranno attraverso una graduale modificazione di alcune caratteristiche, ai sinapsidi derivati, ovvero i mammiferi. Dimetrodon appartiene ai più antichi rappresentanti dei sinapsidi, i pelicosauri (Pelycosauria), contraddistinti dai denti alloggiati in impianti alveolari ed eterodonti, ossia differenziati in modo da poter svolgere funzioni diverse. Nel Permiano Inferiore, i pelicosauri furono i tetrapodi più differenziati, tanto da comprendere circa il 70% di tutti i generi conosciuti (Romer e Price, 1940; Reisz, 1986). Alcuni di essi si nutrivano di pesci e avevano uno stile di vita acquatico, altri erano erbivori e altri ancora erano predatori attivi di altri animali terrestri. I dimetrodonti appartengono a quest’ultima categoria.
Cenni di morfologia e fisiologia di Dimetrodon
Il cranio di Dimetrodon è di grandi dimensioni, con una piccola orbita e una finestra temporale posizionata in alto. Grazie alle caratteristiche fossette è stato possibile determinare come tale animale, in vita, fosse dotato di mandibole con una possente muscolatura. Gli adduttori erano inseriti all’interno della mandibola e, contraendosi, erano in grado di chiudere le fauci, lo pterigoideo invece si estendeva dal muscolo pterigoide alla superficie esterna dell’angolare, provocando un movimento della mandibola all’indietro.
Ma qual è invece la funzione della grande “vela dorsale” di Dimetrodon? La risposta a questo interrogativo rappresenta uno degli argomenti più affascinanti all’interno delle ricerche effettuate dai paleontologi, infatti essa è comparsa in più momenti e in modo indipendente in specie totalmente differenti, si pensi ad esempio al genere Spinosaurus. In Dimetrodon le spine neurali, processi spinosi presenti in molti vertebrati e che si estendono dorsalmente la vertebra, diventavano relativamente sempre più lunghe, un aumento proporzionale non tanto alla lunghezza del corpo, quanto al peso dell’animale.
Le spine neurali inoltre mostrano solchi che suggeriscono il passaggio di vasi sanguigni, e anche la posizione di ritrovamento nei siti di scavo, che ricordava molto i pali di una staccionata, portano a pensare che in vita fossero tenute insieme da uno spesso rivestimento cutaneo. La “vela” era quindi costituita proprio dal rivestimento di pelle altamente vascolarizzata che inglobava le lunghe spine neurali.
La funzione di questa struttura poteva essere quella di favorire la termoregolazione (Haack, 1986). I dimetrodonti, come gli attuali rettili (termine che qui sarà usato in senso parafiletico classico), erano con ogni probabilità ectotermi, pertanto erano costretti ad affidarsi a fonti esterne per ricavare il calore necessario alle normali attività. Di primo mattino quindi, in attesa del progressivo aumento della radiazione solare, Dimetrodon aveva una temperatura corporea ancora bassa. Secondo i calcoli di Haack (1986), senza vela, ci sarebbero volute fino a 12 ore di esposizione per far aumentare da 25°C a 30°C, la temperatura di un dimetrodonte di 250 kg. La superficie supplementare offerta dalla “vela dorsale” avrebbe ridotto il tempo a sole 3 ore. La sua presenza avrebbe quindi potuto offrire un significativo vantaggio per Dimetrodon rispetto alle sue prede prive di vela: infatti così come l’aumento della temperatura corporea rende gli attuali rettili solitamente più attivi, allo stesso modo un predatore di vertice come il dimetrodonte avrebbe avuto una posizione di grande vantaggio rispetto a prede ancora intorpidite.
Haack tuttavia calcolò che la “vela” non sarebbe stata molto efficiente nel dissipare calore in caso di surriscaldamento. Inoltre, la sua teoria presenta dei punti deboli, ovvero che i processi spinosi di Dimetrodon avevano un ritmo di crescita molto superiore a quello necessario a garantire la termoregolazione, ciò sembra suggerire quindi che sia stata in realtà la selezione sessuale la vera ragione dell’evoluzione di tale struttura.
Altri indizi inoltre, come l’assenza di canali vascolari nell’osso, sembrano suggerire che in realtà non ci sia stata la fitta vascolarizzazione che si credeva, così come le spine neurali, dal profilo irregolare e in alcuni casi, come in D. gigashomogenes, con le parti distali bruscamente piegate, potrebbero non essere state totalmente coperte da tessuto molle. Inoltre la maggior parte dei pelicosauri, nonché altri loro contemporanei, erano privi di “vela” e sembrano non averne risentito affatto. Dunque il “mistero della vela” sembra essere in continua evoluzione, in attesa di nuovi dati che possano fornire sempre migliori e più plausibili spiegazioni.
Bibliografia
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- E. A. Rega, K. Noriega, S. S. Sumida, A. Huttenlocker, A. Lee e B. Kennedy, Healed Fractures in the Neural Spines of an Associated Skeleton of Dimetrodon: Implications for Dorsal Sail Morphology and Function, in Fieldiana Life and Earth Sciences, vol. 5, 2012, pp. 104–111
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