Come avviene la digestione dei carboidrati? Andiamo per ordine. I carboidrati sono molecole la cui funzione principale è quella di fornire all’organismo ingerente l’energia di cui necessita per vivere. Il 16 Febbraio 1993 il D.L n.77 assegna un valore energetico di 4 kcal/g per i carboidrati, FAO/WHO hanno in seguito stabilito che per la fibra è 2 kcal/g mentre per i derivati alcolici il valore oscilla tra 0 – 2,3 kcal/g. Ovviamente i processi che portano a ciò sono molti e complessi, tutti regolati tra loro da una fitta rete di biochimismi. I carboidrati sono quindi sostanze formate da carbonio e acqua in grado di organizzarsi come polimeri di varie dimensioni che, in base alle unità che li compongono, possono assumere diverse funzioni e strutture.
In questo articolo ci occuperemo quindi, dopo aver compreso la loro struttura generale e le fasi della glicolisi, vedremo nel dettaglio la digestione dei carboidrati ma analizzeremo anche la parte relativa all’assorbimento.
La digestione dei carboidrati – Concetti generali
Per digestione si intende la trasformazione degli alimenti in substrati assorbibili ed utilizzabili come nutrienti da parte di tutto l’organismo. Da un punto di vista biochimico si distingue la digestione vera e propria dall’assorbimento. Per digestione intendiamo la demolizione di strutture polimeriche in strutture monomeriche, vedi il glucosio.
L‘assorbimento è il passaggio dal lume intestinale all’enterocita quindi il rilascio nel torrente circolatorio. Il nostro apparato digerente è relativamente complesso in quanto suddiviso in più parti, ognuna delle quali assolve ad una funzione specifica.
Sia per la digestione dei carboidrati sia nel caso generale, il cibo viene dunque ingerito dalla bocca, arriva allo stomaco tramite l’esofago e subisce un’ultima lavorazione nell’intestino per poi essere espulso all’esterno. Tale suddivisione non è casuale: ogni area è caratterizzata da enzimi e ,in generale, condizioni chimiche tali da renderle delle zone specifiche di digestione. Dunque ogni componente è in grado di “lavorare” gli alimenti in maniera specifica. Infatti anche le tempistiche variano: dopo qualche minuto per la masticazione, 1-2 ore nello stomaco, per i carboidrati (le proteine anche fino a 5 ore) e anche tre giorni nell’intestino. Ovviamente il tutto dipende dalle abitudini alimentari e dallo stato di salute del singolo individuo. In particolare ci occuperemo della digestione chimica dei carboidrati.
Da poli- a mono– saccaridi – Lo step base della digestione dei carboidrati
Nel momento in cui introduciamo nella bocca un alimento questo va immediatamente incontro al fenomeno della masticazione. Grazie ai denti esso viene frantumato, rendendo questo più accessibile all’azione degli enzimi salivari. Infatti per le lunghe catene polisaccaridiche la digestione inizia dalla bocca. Il polimero più frequente è sicuramente l’amido.
Esso ha una struttura ramificata molto complessa che quindi necessita sia di enzimi idrolizzanti che deramificanti per essere digerito, è bene tenere a mente che la digestione in questo caso varia a secondo se si tratta di amilosio o amilopectina.
La classe enzimatica di riferimento per la digestione dei carboidrati è quella delle idrolasi e l’enzima si chiama α-amilasi salivare (dette anche ptialina). Essa idrolizza i legami α-glicosidici dell’amido rilasciando molecole di maltosio ed isomaltosio, maltotrioso (tre molecole di glucosio invece che due) e destrine (oligosaccaridi del glucosio).
Sicuramente sarà più semplice lavorare questi piccoli gruppi che lunghe molecole. La sua azione è pH dipendente, ovvero raggiunge la massima attività a pH 5. Ovviamente la cavità orale è molto più alcalina, ciò ne limita l’azione.
Arriverà dunque nello stomaco. Qui, essendo il pH inizialmente vicino a 5, l’amilasi svolgerà la sua massima azione che però andrà via via decrescendo in quanto le cellule parietali dello stomaco secerneranno HCl (acido cloridrico) che denaturerà l’enzima bloccandone l’attività.
Solo quando si arriverà nella prima parte dell’intestino tenue, il duodeno, ricomincerà la digestione. Infatti le cellule α del pancreas secernono l’amilasi pancreatica. Il suo funzionamento è molto simile a quella salivare, infatti è prodotta anche dalla parotide: avrà un miglior funzionamento all’inizio, ma con l’elevata alcalinità dell’intestino smetterà di funzionare.
Qui, al culmine di questi processi, si otterranno monosaccaridi, generalmente questi sono glucosio, galattosio e fruttosio. Questi verranno assorbiti rispettivamente per diffusione passiva e facilitata (per questo è importante il corretto mantenimento delle quantità di zuccheri circolanti nel flusso sanguigno).
In basse alla necessità dell’organismo, i monosaccaridi così ottenuti, possono essere immagazzinati come glicogeno, entrare nella glicolisi per ottenere energia o entrare nella via dei pentoso fosfati per sintetizzare nucleotidi (ribosio 5-fosfato).
Assorbimento dei carboidrati
Dopo l’azione enzimatica i prodotti sono generalmente: glucosio, galattosio e fruttosio. L’assorbimento al livello dell’enterocita per il fruttosio prevede un trasporto facilitato, cioè viene internalizzato secondo gradiente di concentrazione con l’ausilio di un trasportatore specifico: GLUT5. Il glucosio e il galattosio vengono assorbiti con un trasporto attivo mediante il trasportatore SGLT1, in questo caso è un simporto con il sodio.
Per la fuoriuscita nel torrente ematico, questa è in comune a tutti e tre e prevede il passaggio attraverso GLUT2, quindi un trasporto facilitato secondo gradiente. Parlando dei GLUT, questi sono i trasportatori specifici che presentano una notevole varietà, infatti sono state identificati ben 12 isoforme, tra cui:
- GLUT1 negli eritrociti
- GLUT2 nell’intestino, nel fegato e nelle cellule beta del pancreas
- GLUT3 nel cervello e nella placenta
- GLUT4 nel muscolo e nel tessuto adiposo
- GLUT5 specifico per il fruttosio.
Quello da tenere a mente è GLUT4, questo infatti è l’unico regolato dall’insulina. GLUT4 dunque è deputato a rimuovere l’ecceddo di glucosio dopop un pasto abbondante. Nelle cellule muscolari GLUT4 è normalmente sequestrato in vescicole, in seguito ad uno stimolo come la secrezione di insulina o l’attività fisica, GLUT4 va incontro ad una traslocazione sulla superficie cellulare per permettere l’internalizzazione del glucosio e quindi rispondere ad una condizione di iperglicemia.
Lattosio e cellulosa
La digestione dei carboidrati varia a secondo del tipo di carboidrato analizzato. Degna di nota è sicuramente la digestione del lattosio. Esso infatti è il principale disaccaride del latte che, come sappiamo, si trova in forma liquida. Dunque la sua idrolisi sarà sicuramente più rapida. L’enzima, anch’esso nella classe delle idrolasi, è la lattasi.
È secreto dalle cellule della parete intestinale ed idrolizza una molecola di lattosio in una di glucosio ed una di galattosio. La prima potrà avere uno dei destini sopra citati, la seconda può essere trasformata in glucosio con l’utilizzo di ATP.
Lo studio del funzionamento delle lattasi ha anche permesso, in genetica, la comprensione del meccanismo di regolazione del gene lac in E.coli: quando presenti entrambe le molecole, il batterio utilizzerà fino ad esaurimento il glucosio per non “sprecare” energia nella conversione del galattosio. Carenze nella sintesi delle lattasi portano alle intolleranze al lattosio stesso.
Come sopra citato, il lattosio è un disaccaride composto da monomeri di glucosio e galattosio, la sintesi di questo è resa possibile, durante la gravidanza, per azione dell’ormone prolattina che stimola la produzione di alfa-lattalbumina che rende l’UDP galattosil transferasi specifica per il glucosio e non per polimeri in crescita.
Di fatto dunque agisce come lattosio sintetasi. La lattasi, l’enzima deputato alla demolizione, ha un’espressione che dopo i due anni è costantemente in calo. Questo fa si che con il passare degli anni, la digestione del lattosio è sempre più complessa, infatti esiste un’ampia variabilità etnica ed individuale data da polimorfismi genetici.
Essenzialmente ci riconduciamo a due possibili fenotipi:
- Persistente
- Non persistente
Il primo è tipico delle popolazione del Nord Europa, in questo caso l’espressione della lattasi rimane su livelli sufficienti. Questo perchè per queste popolazioni il latte è una fonte di calcio irrinunciabile ma anche per ragioni climatiche, ad esempio il sole.
Il secondo fenotipo, il più comune, prevede che l’espressione della lattasi cali costantemente dopo i due anni e questa è una delle ragioni per cui si sviluppa l’intolleranza al lattosio.
Nell‘intolleranza al lattosio lo schema è molto semplice. Il disaccaride è fermentato dalla flora intestinale che produce, a sua volta, acidi organici e gas. D’altro canto per effetto osmotico si richiamano liquidi è comune la diarrea. Il richiamo di liquidi porta alla distensione della parete intestinale quindi un aumento della peristalsi, ciò porta ad un malassorbimento di altri nutrienti.
La cellulosa è un polimero del glucosio con funzione di resistenza nelle piante. L’enzima che lo idrolizza è la cellulasi. Ora è pur vero che gli esseri umano si nutrono anche di vegetali, ma tale enzima è presente solo negli erbivori. Oltretutto non sono cellule specializzate a produrlo, ma batteri facenti parte del microbioma intestinale dell’organismo. Se l’essere umano ingerisse della cellulosa, cosa che facciamo regolarmente, questa verrebbe semplicemente espulsa, senza subire nessun processo di lavorazione.
Gli erbivori che ricavano il glucosio proprio da quest’ultima posseggono appunto microrganismi che se ne occupino. Ne esistono di diversi tipi e sono soprattutto anaerobi e termofili: l’ossigeno è per loro tossico e necessitano di particolari temperature per sopravvivere. Si trovano nel rumine, uno degli stomaci dei ruminanti, o lungo le pareti intestinali degli organismi erbivori. Un esempio è il batterio Clostridium.
Conclusioni
Dunque i carboidrati sono molecole davvero complesse non solo da un punto di vista strutturale, ma soprattutto biochimico. Infatti la regolazione dei cicli di digestione, assorbimento e lavorazione sono molto lunghi e dipendenti da numerosi fattori quali pH, abitudini dell’organismo e ambiente circostante. È quindi fondamentale conoscere questi meccanismi per evitare di compromettere tali equilibri e favorire il loro corretto mantenimento.