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Dieta sostenibile: cos’è e come seguirla

La salute del pianeta dipende anche da ciò che mangiamo

La dieta sostenibile, detta anche “green” se vogliamo usare un inglesismo, è una chimera tra la dieta Mediterranea e la dieta salutista. Non è nulla di nuovo, a dirla tutta. Viene riproposta con un’altra terminologia perché ora deve essere un’alternativa attraente per il popolo social, che, vagabondo e saturo di diete di ogni genere, deve essere convinto ad adottare la dieta sostenibile per il benessere non tanto suo, ma del pianeta. In questo articolo vedremo insieme che la dieta green non è una dieta da vip, né costosa né complicata da applicare, ma anzi, è una dieta economica e pratica oltre che positiva per la salute.

Cos’è la dieta sostenibile?

Tra le innumerevoli diete proposte negli anni, ecco l’ultima arrivata: la dieta sostenibile. Si basa sul concetto di dieta poco impattante sia sulla salute umana che sull’ambiente.

Più che dieta sostenibile si potrebbe chiamare dieta ideale perché mira a:

  • prevenire le patologie del nostro millennio come obesità e diabete;
  • a ridurre l’inquinamento atmosferico, quello dei mari e del suolo.

Non è una dieta vegetariana ma si basa prevalentemente su:

  • alimenti di origine vegetale;
  • cibi poco raffinati;
  • prodotti locali;
  • alimenti stagionali.

È una dieta flessibile, per tutta la vita e per ogni fase della vita, dal bambino all’anziano. Nei prossimi paragrafi entreremo nel dettaglio della dieta sostenibile e dei problemi ambientali correlati.

Caratteristiche della dieta sostenibile

Salute dell’uomo

La prima cosa su cui dovremmo ragionare è che l’uomo al giorno d’oggi non è sano. Dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il numero di persone obese nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980. Nel 2014 oltre 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso, tra cui oltre 600 milioni obesi. In Italia, nel 2015, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%)[1].

Obesità e sovrappeso, prima considerati problemi dei soli Paesi ricchi, sono in aumento anche nei Paesi a basso e medio reddito: in Africa il numero di bambini in sovrappeso o obesità è quasi raddoppiato dai 5,4 milioni del 1990 ai 10,6 milioni nel 2014.

L’altra faccia della medaglia della cattiva alimentazione, e quindi della precaria salute umana, è la malnutrizione per difetto. Il numero delle persone affamate nel mondo nel 2018 erano 821,6 milioni (pari a 1 su 9) di cui in Asia 513,9 milioni, in Africa 256,1 milioni e in America Latina e nei Caraibi 42,5 milioni[2]. Per la prima volta nella storia del pianeta, il numero delle persone in sovrappeso eguaglia pressapoco quello degli individui sottopeso.

Leggi anche: Obesità in Italia: lo stivale ci va stretto

Salute dell’ambiente

Il rapporto con l’ambiente è una delle determinanti fondamentali dello stato di salute della popolazione umana. Dalla città inquinata alla foresta incontaminata, la relazione tra l’individuo e diversi fattori ambientali può risultare in diversi stati di benessere o di malattia[3].

I due settori che forniscono all’uomo fonti di cibo sono:

  1. gli allevamenti intensivi;
  2. l’agricoltura

Entrambi incidono in maniera significativa sull’inquinamento. Il primo incide di un 15% ed il secondo di un 7% circa, rispettivamente, sull’inquinamento atmosferico totale. Questi contribuiscono all’emissione di CO2 nell’atmosfera, insieme anche ai trasporti, al particolato fine ovvero tutte quelle particelle aventi dimensioni minori o uguali a 2,5 µm (PM 2,5). Qualsiasi cibo ha un impatto ambientale, ma saper valutare l’intero processo produttivo di ciascuno vuol dire essere in grado di stabilire una generica dieta green. Il processo produttivo alimentare è piuttosto complesso poiché è una valutazione sull’intero percorso, dal campo alla tavola.

Impronta ecologica

La pressione che la produzione di cibo genera sull’ambiente può essere valutata sfruttando la famiglia delle impronte ecologiche. L’impronta ecologica è la misura delle aree biologiche produttive del pianeta (mari, foreste, prati ecc.) necessarie a ripristinare le risorse consumate. In parole semplici, l’impronta ecologica capostipite misura la “fame di risorse” dell’uomo sulla Terra.

Da questa ne distinguiamo tre più specifiche che si riferiscono a:

  1. carbonio;
  2. acqua;
  3. azoto.

L’impronta idrica misura la quantità di acqua inquinata o consumata nella fase di allevamento/coltivazione e nei processi industriali. L’indicatore relativo all’azoto misura la quantità di azoto reattivo immesso nell’atmosfera durante il processo produttivo. Questi due indicatori hanno una valenza locale mentre la prima ha un impatto sull’intero globo. Per calcolarla si considerano le emissioni di tutti i gas ad effetto serra convertiti in CO2 equivalente (CO2eq), attraverso alcuni parametri stabiliti a livello mondiale[4].

Il Ministero dell’Ambiente, nel 2015, ha pubblicato un report sull’impatto ambientale, calcolando la quantità di emissione di CO2eq di diversi alimenti in Italia: non sorprende che la carne rossa sia al primo posto della classifica negativa, seguita da:

  • agnello;
  • burro;
  • formaggio;
  • molluschi;
  • pesce.

Hanno decisamente un impatto inferiore:

  • la carne bianca;
  • la frutta;
  • la verdura;
  • le uova;
  • i cereali;
  • i legumi;
  • la frutta secca.

Cosa mangiare con la dieta sostenibile?

Una dieta a base vegetale per la salute

Lo IEO, l’Istituto Oncologico Europeo, ha disegnato per noi il piatto sano e sostenibile a dimostrazione del fatto che mangiare salutare per noi e per l’ambiente si può, e anzi, le due azioni coincidono. Metà del piatto green è costituito da frutta e verdura, con una prevalenza di quest’ultima.

L’altra metà, è composta da:

  • 50% di proteine sane (tra cui si dovrebbero preferire la frutta secca, il pesce, le carni bianche, le uova e ridurre le carni rosse e trasformate ed i formaggi);
  • 50% di cereali integrali.

Sono da limitare infine i grassi saturi, il sale e i dolci.

Carne rossa

Dalle fonti dell’Ansa, in Italia si rileva un consumo di carne di circa 77 kg pro capite all’anno, di cui 19 sono di carne bovina. In America, invece, si arriva a 114 kg a testa di carne di cui 39 kg di carne rossa. Facendo due conti, gli italiani rispettano dunque le quantità massime consigliate dagli esperti di 500 grammi alla settimana. Il consumo medio di carne pro capite in Italia rimane anche tra i più bassi d’Europa, ad esempio il consumo dei danesi è addirittura di 109,8 kg.

Leggi anche: La carne rossa è cancerogena?

Stiamo attenti però, perché nel 2018, la spesa per la carne delle famiglie italiane è aumentata di più del 5%, un rialzo che arriva dopo sei anni di calo. Per riuscire a rispettare la dieta green sarebbe meglio ridurre il consumo di carne rossa fino ad un massimo di una volta alla settimana o addirittura azzerarla o piuttosto ridurla a 1 volta al mese.

Se andassimo a confrontare il consumo di carne rossa tra i paesi industrializzati e quelli del terzo mondo noteremmo un grande squilibrio:

  • Etiopia (consumo pro capite intorno ai 7 kg all’anno);
  • Ruanda (8 kg/anno);
  • Nigeria (9 kg/anno).

In media, è dunque 10 volte più basso rispetto all’Europa.

Cibo locale e di stagione

Per rispettare l’ambiente è preferibile prediligere i prodotti a Km zero o miglio zero, ovvero tutti quei prodotti locali che il nostro territorio può offrire. In questo modo, si ridurrebbero le emissioni di inquinanti a causa del trasferimento delle merci per la vendita e dei sistemi di conservazione messi in atto per il trasporto dei prodotti alimentari.

Anche la stagionalità svolge un ruolo cruciale nell’inquinamento: 1 kg di pomodori coltivati in serra producono una quantità di circa 70 volte di più rispetto all’emissione di CO2eq della stessa quantità di pomodori coltivati in estate.

Mangiare il pesce

Il Mar Mediterraneo è sovra-sfruttato e se in Italia mangiassimo solamente i i prodotti ittici catturati nei nostri mari, il mercato non riuscirebbe a reggere la domanda. Il pesce, e in particolare quello azzurro, ha ottime proprietà nutrizionali ma purtroppo molte specie sono in via di estinzione a causa dell’inquinamento, della pesca eccessiva ed aggressiva.

Pesce allevato

Il 50% del pesce comprato dagli Italiani è allevato, nonostante sia visto come una seconda scelta, sia per motivi economici (costa in media di meno rispetto al pescato) sia per motivi ambientali. Purtroppo questi ultimi non sono giustificati perché anche gli allevamenti ittici possono danneggiare l’ambiente a causa dell’immissione massiccia di sostanza organica (deiezioni), di mangimi e di farmaci nella zona di allevamento. I mangimi, inoltre, sono di solito a base di pesce che viene sottratto all’ecosistema marino.

Soluzioni green

Una soluzione logica è quella di ridurre la quantità di pesce nella dieta, scegliendo possibilmente un prodotto “miglio zero”, stagionale e che rispetti i divieti di pesca in determinati periodi dell’anno. Quando scegliamo prodotti ittici esteri proposti dalla grande distribuzione organizzata, è importante acquistare quelli certificati MSC o ASC, che attestano la sostenibilità della pesca. L’affidabilità dei lotti certificati si attesta a più del 99% mentre nei lotti non MSC sottoposti a controlli si arriva al 70%; lo studio ha usato la tecnica del DNA barcoding[5]. Saper leggere le etichette è di fondamentale importanza per la consapevolezza del consumatore e per indirizzare le scelte di mercato da parte delle aziende.

Acqua in bottiglia

Per quanto riguarda il consumo di acqua in bottiglia, l’Italia è il primo paese in Europa e il secondo al mondo con una media di 221 litri l’anno a persona (dati Istat 2019).

I fattori da analizzare per inquadrare il problema sono principalmente due:

  1. il grande business delle aziende imbottigliatrici (in Italia ci sono oltre 260 marchi distribuiti in circa 140 stabilimenti che imbottigliano oltre 14 miliardi di litri necessari per garantire il consumo italiano);
  2. le criticità nel sistema di approvvigionamento in alcune città, soprattutto al Sud.

Anche se la gestione della distribuzione dell’acqua non è ottimale, l’elevata efficienza del controllo della qualità dell’acqua pubblica dovrebbe tranquillizzare i cittadini. Consumare acqua in bottiglia in Italia è sconsigliato sia per il nostro portafoglio sia per l’ambiente. Nonostante le pubblicità insistenti in televisione, dovremmo capire quali sono i motivi dell’eventuale rifiuto al consumo dell’acqua del rubinetto di casa nostra e trovare una soluzione efficace. Per esempio, in alcuni acquedotti si usa più cloro che in altri e il sapore “di piscina” potrebbe essere fastidioso. In questo caso, basta conservare l’acqua in una brocca o in una bottiglia di vetro in modo da far evaporare il cloro e ripristinare il sapore neutro dell’acqua a cui siamo abituati.

Conclusioni

La dieta green è molto più vicina a noi rispetto a quanto si possa immaginare. Si basa sulla dieta Mediterranea, sulla diversità e sui prodotti locali, già compresi nelle nostre tradizioni secolari. Ci ricorda che dobbiamo limitare, se non eliminare, i prodotti industrializzati, confezionati, fuori stagione e provenienti dall’altra parte del mondo. La dieta sostenibile punta da una parte a ridurre a zero gli eccessi alimentari, vista la problematica dell’obesità, e dall’altra a limitare al massimo gli sprechi, visto la criticità della malnutrizione per difetto mondiale. Per raggiungere quest’ultimo punto, dovremmo tornare a cucinare polpettoni, cime, polpette e tutti quei piatti di recupero tradizionali che i nostri nonni erano abituati a consumare regolarmente e che oltretutto sono sani.

Referenze

  1. Obesità – Epicentro
  2. La fame nel mondo non accenna a calare per il terzo anno consecutivo e l’obesità è ancora in aumento – il rapporto dell’ONU – FAO
  3. Ambiente e salute – Epicentro
  4. L’impronta di carbonio – WWF
  5. DNA barcoding validates species labelling of certified seafood – Current Biology
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