L’evoluzione porta ciascun organismo vivente a mantenere generalmente i caratteri che risultano più vantaggiosi nell’habitat in cui vive, a seconda delle sue strategie di sopravvivenza. Tra questi, la visione è certamente uno dei tratti su cui opera la selezione naturale.
Questo perché vederci bene – cioè in modo da soddisfare pienamente i propri bisogni – significa sopravvivere di più: scappare meglio ai predatori, trovare meglio il cibo e altre risorse, riconoscere la propria prole e identificare il proprio partner sessuale ideale.
In un modo o in un altro, tutti gli animali hanno la necessità di percepire l’ambiente circostante. Non possono, cioè, far a meno di “vedere”, tramite occhi o strutture analoghe, ciò che sta attorno a loro.
Quali animali vedono meglio?
Non ha senso domandarsi quale animale veda meglio degli altri, perché ciascuna specie è stata selezionata per essere adattata al meglio a vivere nella propria nicchia ecologica.
Naturalmente, le caratteristiche locali dello spettro luminoso variano a seconda dell’ambiente, determinando così la diversa sensibilità degli animali alla luce. Ragion per cui non si possono comparare le capacità visive di specie adattate ad habitat differenti.
Prendiamo ad esempio gli animali acquatici. Nel loro caso va considerato che l’acqua, specialmente quando molto torbida, agisce da filtro nei confronti dei raggi solari e distorce, in parte, le lunghezze d’onda della luce che vi passa attraverso.
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Questo è il motivo per cui lunghezze d’onda maggiori, come quelle del rosso, dell’arancione e del giallo, raggiungono solo i primi metri al di sotto della superficie e non riescono a raggiungere gli animali che vivono più in profondità. Questi animali, quindi, sono solitamente incapaci di percepire i colori più caldi.
Oppure, è facile intuire che gli animali relegati ad ambienti scarsamente luminosi non hanno necessità di vedere i colori o, in generale, di una vista particolarmente complessa. Le talpe, ad esempio, sono in grado di vedere solo oggetti molto vicini e solo se in condizioni di scarsa luminosità[1]. Fortunatamente, possono percepire l’ambiente circostante anche in altro modo.
E ancora, a seconda delle necessità di individuare in modo vigile i predatori o di localizzare abilmente le prede, si possono distinguere due categorie di animali, sulla base della posizione degli occhi sul capo:
- quelli con gli occhi posti lateralmente, che permettono una visione panoramica;
- quelli che possiedono occhi frontali, utili a percepire meglio le distanze (visione stereoscopica).
La prima configurazione è tipica degli erbivori. Le prede, solitamente, come prima opzione cercano di sfuggire ai predatori invece che combatterli. Per loro avere una maggiore visione periferica e, di conseguenza, un ampio campo visivo è vantaggioso poiché permette di individuare rapidamente i pericoli. Avere occhi laterali, però, non permette di percepire efficacemente la profondità e le distanze. Inoltre, questo tipo di visione genera un punto cieco (area di assenza di campo visivo) tra i due occhi.
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Gli occhi frontali, al contrario, permettono una visione binoculare più efficiente, utile in particolar modo ai predatori per mettere a segno attacchi proficui. Questo assetto permette loro di valutare la distanza e il comportamento della preda, gli ostacoli che si frappongono e ogni altro parametro che sia necessario considerare prima di tentare una predazione. La vista frontale, tuttavia, consente una minore visione periferica e un ridotto campo visivo, cosa che richiede di ruotare frequentemente il capo per poter avere la visuale su un’area maggiore.
Come vedono gli animali?
Il regno animale mostra una vastissima varietà di caratteristiche fisiche e comportamentali, tanto da lasciare quasi sconcertati. Nonostante il meccanismo della vista e i geni che la regolano siano in realtà molto simili in tutte le classi, dagli insetti ai mammiferi, le modalità della visione possono essere notevolmente differenti.
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È interessante, perciò, scoprire come le diverse specie di animali vedono il mondo.
Come vedono gli insetti?
Gli occhi degli insetti non sono in grado di percepire chiaramente i colori, o comunque lo fanno in modo molto diverso da noi. Essi distinguono il giallo e il blu, e possono percepire i raggi ultravioletti (UV)[2].
Si pensa, ad esempio, che le api non riconoscano il rosso, che a loro apparirebbe come blu[3]. Questo spiegherebbe perché i fiori rossi vengono impollinati prevalentemente dagli uccelli. Osservati ai raggi ultravioletti, infatti, i fiori hanno un aspetto ben diverso rispetto a quello che hanno ai nostri occhi.
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La vista degli insetti è particolarmente efficace a individuare oggetti in movimento, condizione ideale per il loro stile di vita. Si suol dire che gli insetti vedano in slowmotion, cioè, in un certo senso, al rallentatore[4]. Questi animali sono infatti in grado di inviare ai gangli cerebrali moltissimi input, sotto forma di immagini statiche in rapida successione definibili come flash.
Tutto ciò rende gli insetti dotati di riflessi molto rapidi, come può testimoniare chiunque abbia provato ad acchiappare una mosca.
L’occhio, nella grande maggioranza degli insetti adulti, non è unicamerato (cioè semplice, a lente singola) come il nostro. Essi possiedono, al contrario, un occhio composto, vale a dire costituito da numerose unità ottiche, dette ommatidi. Ognuna di queste cellette restituisce un’immagine generata da un ristretto campo visivo e la proietta ai gangli cerebrali. Sarà qui che verranno poi composte le immagini per ricostruire un quadro complessivo più o meno a mosaico.
Molti insetti (e non solo) possiedono anche degli occhi più piccoli e semplici, detti ocelli. Questi non sono in grado di percepire immagini vere e proprie, ma sono sensibili alla diversa intensità luminosa. Gli ocelli sono utili, ad esempio, per orientarsi, dal momento che sono in grado di rilevare la luce polarizzata.
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Come vedono i pesci?
Gli occhi dei pesci possiedono recettori appositi per percepire i raggi UV e vedono principalmente in sfumature di verde, rosso e blu, anche se alcune specie mostrano degli occhi morfologicamente regrediti[5].
Tuttavia, l’acqua agisce da filtro nei confronti della luce, che viene parzialmente alterata quando si trova a dover attraversare l’interfaccia tra aria e acqua. Tale effetto, ovviamente, aumenta man mano che si scende di profondità[6].
Le capacità visive dei pesci diminuiscono drasticamente con la distanza. Infatti, difficilmente riescono a vedere oltre a poche decine di metri[6].
I pesci delle profondità, invece, sono in grado di vedere al buio. Quelli che vivono entro le prime centinaia di metri di profondità sono adattati a percepire lunghezze d’onda tra 450-550 nm (blu-viola), le uniche che riescono ad attraversare la grande massa d’acqua che li separa dalla superficie. Le specie abissali vivono, invece, a profondità in cui la radiazione luminosa non arriva affatto e l’unica sorgente luminosa disponibile è la bioluminescenza prodotta da alcuni organismi marini, pesci compresi. I loro occhi sono quindi in grado di vedere anche con questa flebile fonte di luce[7].
La maggior parte dei pesci possiede due occhi distanziati sul capo, con solo un piccolo tratto di visione binoculare.
Ciascun occhio è autonomo (vista monoculare), pertanto la visione complessiva di un oggetto è data dall’integrazione delle due immagini ottenute indipendentemente[8].
La loro vista è curvata rispetto alla nostra perché il cristallino non è in grado di contrarsi[9]. Infatti, gli occhi dei pesci sono caratterizzati da lenti sferiche. Inoltre, diversamente da ciò che avviene nell’occhio umano, l’apertura della pupilla non varia a seconda della differenza di intensità luminosa.
Per molto tempo si è creduto che gli squali non fossero in grado in nessun modo di distinguere i colori. In realtà, recenti studi dimostrano che sono dotati di visione dicromatica[10]. In ogni caso, hanno il vantaggio di vedere sott’acqua molto più nitidamente degli esseri umani.
Come vedono gli anfibi?
Le rane sono di solito in grado di vedere in modo nitido soltanto gli oggetti in movimento. Ottimo per la loro modalità predatoria, dato che sono abili nel catturare insetti in volo o in movimento; tuttavia esse vedono molto bene di notte[11]. Inoltre, la posizione degli occhi consente loro di avere una visione a 180°. La loro lente, però, per mettere a fuoco un’immagine, non cambia la propria forma ma viene spostata in avanti o indietro, come l’obiettivo di una macchina fotografica[11].
Gli occhi degli anfibi apodi, invece, sono atrofizzati. Questi anfibi si sono evoluti adattandosi prevalentemente alla vita nelle grotte, dove la luce è scarsa o assente, e semplicemente non è possibile una visione complessa.
Un discorso analogo vale per gli urodeli, come tritoni e salamandre. Anche loro vivono spesso in luoghi bui, o tra le rocce: i loro occhi sono spesso molto ridotti e a volte ricoperti anche da uno strato di pelle.
Come vedono i rettili?
La modalità di visione dei rettili è piuttosto differenziata. Infatti, varia molto a seconda delle specie. I loro occhi possiedono palpebre, in alcuni casi, e/o una membrana nittitante, in altri. Al contrario, nei sauri e nei serpenti le palpebre si sono perse durante il corso dell’evoluzione.
Si ritiene che le tartarughe vedano piuttosto bene[12]. Possono percepire l’ultravioletto, il verde, il giallo e, in particolar modo, il blu.
I coccodrilli, al contrario, non vedono in modo nitido o con una buona risoluzione, bensì percepiscono per lo più il bianco e il nero. Infatti, durante la loro storia evolutiva, hanno perso capacità di discriminare i colori[13]. Tuttavia, la loro retina ha subito una serie di modificazioni per adattarsi alla vita notturna: ecco perché possiede numerosi bastoncelli, e persino alcuni coni evoluitisi per essere il più possibile simili ai bastoncelli[13].
Inoltre, alcuni rettili (e anfibi) possono contare su di un “terzo occhio”, chiamato occhio parietale. Si tratta di una piccola regione cefalica dotata di cellule fotosensibili. Ad ogni modo, l’occhio parietale non riveste alcun tipo di ruolo nella visione, bensì, sembrerebbe correlato alle funzioni della ghiandola pineale[13].
I serpenti, non disponendo di una vista particolarmente acuta, devono contare su altri organi di senso per interpretare l’ambiente. Essi sono infatti in grado di percepire i segnali termici, emessi dagli animali a sangue caldo: questi ultimi irradiano calore nell’ambiente, sotto forma di onde infrarosse, che vengono percepite dal predatore grazie a recettori termici, situati a livello del muso, che rilevano tale radiazione infrarossa[14].
I camaleonti, invece, possiedono una visuale a 360°. Infatti, i loro occhi possono compiere una completa rotazione, in modo indipendente l’uno dall’altro. Questo consente loro di ottenere due immagini allo stesso tempo: solitamente, una di ciò che si trova davanti e l’altra di ciò che si trova alle loro spalle. In questo modo, possono contare sempre su una visuale completa dell’ambiente che li circonda.
Come vedono gli uccelli?
Come fanno gli uccelli a volare tra la rigogliosa vegetazione delle foreste con quell’estrema precisione che gli permette di non sbattere contro alcun ostacolo, se non qualche foglia?
La risposta risiede nella loro peculiare acuità visiva e nella loro eccellente risoluzione spaziale[15]. Infatti, gli uccelli, con le dovute distinzioni tra le specie, vedono il mondo con un contrasto molto maggiore rispetto a noi esseri umani. Per questo motivo riescono a distinguere chiaramente i contorni di ciascuna foglia, ramo o altro, e riconoscono particolari a noi impercettibili[15].
La zona centrale del cristallino degli uccelli rapaci permette loro di mettere a fuoco i particolari con eccezionale risoluzione. Infatti, molti rapaci possiedono un’incredibile acuità visiva. Bisogna però distinguere i rapaci notturni da quelli diurni: i primi possiedono soprattutto un’eccellente sensibilità visiva, mentre i secondi mostrano piuttosto un’acuità visiva davvero notevole[15].
Inoltre, gli uccelli, percepiscono anche la luce ultravioletta[16]. Questo permette ad alcune specie di uccelli di avere un dimorfismo sessuale di tipo cromatico, che noi esseri umani non siamo in grado di riconoscere. Con questo termine si intende una differente colorazione tra la colorazione del piumaggio dei maschi e quella delle femmine, che influisce sulla scelta del partner.
Infatti, si ritiene che, potendo percepire i raggi UV, gli uccelli siano capaci di distinguere a prima vista gli individui maschi dalle femmine, potendone apprezzare la diversità di colorazione. Al contrario, noi esseri umani, che vediamo una porzione più ridotta della radiazione luminosa, non siamo in grado di cogliere tali differenze e non siamo, dunque, capaci di riconoscere il sesso degli individui di specie di uccelli che appaiono dello stesso colore.
Infine, alcune specie possiedono occhi con caratteristiche differenti l’uno dall’altro. Tale peculiarità è definita lateralizzazione dell’encefalo: l’occhio destro, controllato dall’emisfero sinistro, è deputato alla ricezione di stimoli nuovi ed è coinvolto, perciò, nell’attenzione rivolta al rischio predatorio; l’occhio sinistro, invece, il cui controllo dipende dall’emisfero destro, è specializzato per mettere a fuoco un particolare singolo stimolo e, nei casi delle specie migratorie, anche per l’orientamento durante il volo[17].
Come vedono i mammiferi?
Nei mammiferi, così come negli altri gruppi di animali analizzati finora, si ritrovano modalità di visione adattate in modo specifico ai differenti stili di vita delle varie specie.
Le vacche, ad esempio, percepiscono poco le profondità. È per questo motivo che, quando incontrano un ostacolo o un’ombra sul loro cammino, tendono a rallentare la propria andatura fino a fermarsi del tutto, abbassando la testa a scopo preventivo[19]. Tuttavia, possiedono una visione a ben 300° e l’unica zona che non sono in grado di vedere è quella immediatamente dietro di loro. Arrivare alle spalle di un bovino significa, quindi, rischiare di prenderlo di sorpresa. Non è assolutamente una buona idea, perché la sua reazione potrebbe essere quella di scalciare per difendersi[18].
I cavalli possiedono degli occhi molto grandi e sono, perciò, gli animali con la vista laterale per eccellenza. Infatti, hanno una visione quasi a 360°, escludendo solo una piccola zona posteriore di un’ampiezza di circa 5°. Insomma, una vista periferica eccezionale! Tuttavia, hanno una ristretta area di visione binoculare e possiedono un punto cieco situato proprio al centro del muso, che restringe ulteriormente l’area di sovrapposizione dei due campi visivi. Tutto ciò limita la loro capacità di valutare efficacemente le profondità e le distanze. La visione a colori negli equini è fatta prevalentemente di sfumature di bianco, giallo e blu[19]. Tuttavia, i cavalli vedono molto bene di notte: i loro occhi sono in grado di sfruttare anche la più piccola sorgente luminosa, grazie alle caratteristiche peculiari del loro tappeto lucido[20]: si tratta di una struttura che riflette i raggi luminosi, consentendo all’animale di vedere ancora più efficacemente in condizioni di scarsa luminosità.
I gatti vedono meglio di noi al buio e sono capaci di riadattare la vista a ogni tipo di luminosità[25]. Ciò è dovuto, ancora una volta, alla maggior percentuale di bastoncelli rispetto ai coni, 6-8 volte superiori in numero rispetto a quelli umani. Ecco perché riescono a individuare facilmente i contorni di una preda anche al buio. Si ritiene che non possano percepire il rosso, l’arancione e il marrone. Vedrebbero bene, invece, il giallo, il verde, il violetto, il blu e il grigio[25].
Così come per i cani, la loro vista è molto sensibile ai movimenti. I gatti, infatti, possiedono riflessi talmente pronti, da riuscire a catturare una mosca al primo tentativo. Inoltre, la visione periferica dei gatti e il loro campo visivo sono ben maggiori di quelli dell’uomo (circa 200°)[25]. La loro vista si mostra anche molto suscettibile allo sfarfallio delle luci.
I roditori, invece, hanno un’acuità visiva molto bassa. Possono percepire solo le lunghezze d’onda maggiori[21]. Non sono in grado di distinguere il rosso, bensì vedono in un range di blu, verde e ultravioletto[2]. La peculiare visione cromatica dei ratti è dovuta all’elevata percentuale di bastoncelli (99%) rispetto ai coni (1%)[22]: mentre questi ultimi sono i fotorecettori deputati alla visione a colori (e pertanto si attivano in condizioni di alta luminosità), i primi sono quelli che vengono stimolati in condizioni di carenza di luce e restituiscono una visione acromatica. Tale caratteristica li rende, dunque, efficienti nella visione notturna, implementata dalla precisione delle informazioni che ottengono dai baffi di cui sono dotati[23]. Inoltre, anche i roditori, come gli insetti, sembra che vedano in slow-motion[4].
I cani, invece, vedono in modo sfocato, con i contorni, cioè, poco definiti. Non riconoscono il rosso, il verde e l’arancione, ma vedono bene il blu, il giallo e la luce ultravioletta[25]. La loro visione è per lo più costituita da moltissime sfumature di grigio. Inoltre, la loro vista è molto efficiente nelle condizioni di penombra e al crepuscolo. Anche in questo caso, tale fatto è dovuto alla maggiore presenza di bastoncelli (circa 600 milioni) rispetto ai coni (circa 1-2 milioni)[24]. La loro capacità visiva in notturna viene anche resa efficiente dalla presenza del tappeto lucido.
Il tappeto lucido è anche la struttura che fa assumere l’aspetto di specchio agli occhi dei cani durante uno scatto fotografico con il flash[24]. La loro visione percepisce efficientemente gli oggetti in movimento. Al contrario, se ad esempio una preda è situata lontana e in una condizione di staticità, non corre in genere il rischio di essere vista. Questo perché i cani vedono bene solo oggetti relativamente vicini (circa 20 m)[24].
Si ipotizza che i cani da caccia abbiano un campo visivo che raggiunge i 250°[24], mentre i cani con il muso più “schiacciato” raggiungono appena i 180°. Alla luce di ciò, si può affermare che i cani con il muso maggiormente allungato posseggano una visuale più ampia, a discapito della visione binoculare, e che pertanto abbiano una minore percezione delle distanze. Al contrario, quelli col muso più breve disporranno di una minor visione periferica, a favore di quella frontale.
…e l’uomo?
Infine, non si può negare che l’uomo, così come alcune scimmie antropomorfe, possegga una modalità di visione alquanto complessa e articolata.
Per l’essere umano, d’altronde, la vista è probabilmente il più importante dei cinque sensi. Infatti, una grande porzione della neocorteccia è deputata proprio all’elaborazione degli stimoli visivi, a discapito delle aree cerebrali dedicate agli altri sensi. L’essere umano vede tutte le tonalità cromatiche che rientrano in ciò che noi stessi definiamo “spettro della luce visibile“. Tale definizione, naturalmente, è stata data dall’uomo e per l’uomo perché, come abbiamo appena visto, gli animali possono vedere lunghezze d’onda differenti, come i raggi UV e gli infrarossi. Al contrario, l’essere umano non è in grado di percepire a occhio nudo tali lunghezze d’onda.
La nostra visione periferica è limitata dalla posizione frontale degli occhi; al contrario, quella binoculare si rivela alquanto efficace. Inoltre, il maggior numero di coni rispetto ai bastoncelli, a livello della retina, non consente una spiccata visione in condizioni di oscurità, ma ci rende efficienti nel percepire le più svariate sfumature cromatiche.
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Immagine di copertina da pikist.com.