Se vi dicono “laboratorio biologico” quali sono le prime immagini che vi vengono in mente? Molto spesso quando pensiamo a una professione sanitaria o di ricerca, che sia un medico, un biologo o un biotecnologo, oltre che agli immancabili camice bianco e guanti di lattice la associamo alle immagini “classiche” degli strumenti di laboratorio più diffusi: il microscopio ottico, la pipetta aspiraliquidi (quando si parla di scoperte biomediche al telegiornale è immancabile l’immagine del ricercatore che la usa lavorando in un’altra attrezzatura iconica, la cappa biologica che gli assicura un ambiente di lavoro sterile), le provette di vetro pirex e non da ultimi, dei piattini trasparenti come quelli della figura seguente, le piastre di Petri.
A cosa servono le Piastre di Petri?
I batteri sono degli organismi unicellulari dalla struttura e dallo stile di vita abbastanza semplice che sono la causa di molte malattie che affliggono gli altri esseri viventi, tra cui noi esseri umani.
Sono anche responsabili di gestire i passaggi più importanti dei cicli bio-geo-chimici, i percorsi ciclici compiuti dagli elementi indispensabili per la vita, soprattutto carbonio e azoto, nei vari compartimenti dell’ambiente (suolo, atmosfera, acque, esseri viventi).
A loro va il merito, per esempio, di estrarre l’azoto dall’atmosfera e trasformarlo in forme utilizzabili dalle piante per alimentarsene.
Poi gli erbivori mangiano le piante, i carnivori mangiano gli erbivori e così via, una giostra che senza i batteri non potrebbe girare a lungo.
I batteri sono responsabili di molti altri processi chimici utili all’uomo come le fermentazioni, che ci permettono di produrre tanto lo yogurt quanto i biogas.
Insomma studiare i batteri riveste un’enorme importanza sia per sfruttare le caratteristiche positive di alcune specie che per difendersi dagli effetti negativi di altre. Il primo passo per studiare dei batteri è… avere dei batteri!
Le piastre di Petri, “allevamenti di batteri” su piccola scala
Come per ogni altro essere vivente, per allevare i batteri occorre dare loro cibo, acqua, riparo e una temperatura adeguata.
All’interno delle piastre di Petri c’è appunto questo, una gelatina fatta di Agar-Agar, uno zucchero complesso estratto da un’alga. Questa gelatina contiene sostanze alimentari diverse a seconda del tipo di batteri che si intendeono coltivare. In generale, devono contenere delle sorgenti di carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno, zolfo e fosforo, più alcuni ioni metallici presenti in tracce.
Lavorando in ambiente sterile per evitare contaminazioni, sulla superficie di questa gelatina si pone una goccia del campione che contiene i batteri che vogliamo studiare, opportunamente diluito per diminuire il numero dei batteri campionati. Poi la si spande il più possibile a coprire l’intera piastra.
Poi si chiude la piastra e la si mette in un incubatore che provvede a fornire la temperatura ottimale per la crescita batterica, di solito intorno ai 37 gradi (non per caso la temperatura interna del nostro corpo).
I batteri singoli andranno ad aderire alla gelatina di Agar-Agar e cominceranno ad alimentarsene, a crescere e a moltiplicarsi.
Ogni batterio va incontro ad una divisione cellulare che fa sì che da una cellula “madre” si originino due cellule “figlie” perfettamente uguali alla madre, cioè dei cloni.
Dopo che sarà trascorso un intervallo di tempo opportuno dal primo batterio che si è insediato in un certo punto della superficie della piastra di Petri si origineranno dunque moltissimi discendenti, che si organizzeranno a formare una struttura visibile a occhio nudo chiamata colonia.
Alcuni esempi di colonie batteriche
Le colonie possono avere forme, colori, bordi e aspetto della superficie molto differenti tra di loro. Queste caratteristiche permettono ai ricercatori o ai tecnici di identificare i batteri che le hanno originate. In questo modo una colonia, formata esclusivamente da batteri di una data specie o di un dato ceppo, può essere interamente campionata per farla crescere in un altro terreno di coltura (ne esistono anche di liquidi) ed avere quantità di batteri sufficienti per lo studio o l’utilizzo che se ne intende fare.
Nelle piastre di Petri, diversi tipi di terreni di coltura
A seconda di come vengono preparati innanzitutto vengono divisi in sintetici e complessi.
Un terreno di coltura complesso contiene come fonte di nutrimento un estratto di una pianta (solitamente la soia) o di un animale (ad esempio i bovini) con tutte le sostanze nutritizie che contiene, in quantità e in numero imprecisati. Esso permette la crescita di un gran numero di specie diverse che andranno identificate ed isolate successivamente.
Invece in un terreno sintetico la composizione in nutrienti viene pianificata a tavolino. Questo permette di escludere delle specie con bisogni nutritivi particolari, effettuando una prima selezione.
In base all’utilizzo che ne viene fatto i terreni vengono divisi in:
- Elettivi – particolarmente ricchi di nutrienti, permettono la crescita di ceppi con bisogni nutritivi esigenti
- Selettivi – contengono delle sostanze inibenti (per esempio antibiotici) che bloccano la crescita di determinate specie e non di altre
- Differenziali – permettono la crescita di diverse specie ma contengono sostanze che aiutano a identificare visivamente alcune di queste grazie a colorazioni che le distinguono dalle altre
- Di arricchimento – in base al loro contenuto in nutrienti permettono una crescita maggiore di alcune specie piuttosto che altre
Oltre agli utilizzi tecnici e di ricerca, ultimamente le piastre di Petri sono diventate anche delle tele su cui dipingere opere tanto effimere quanto affascinanti.
L’artista spagnola Maria Peñil Cobo utilizza sapientemente diversi ceppi batterici su terreni differenziali per realizzare disegni a sfondo biologico come questo albero con libellula.