L’infezione batterica nota come colera si sviluppa in seguito all’ingestione del patogeno Vibrio cholerae[1]. Si trova in abbondanza nelle feci degli animali infetti, oppure in acqua e alimenti contaminati da esse. Il colera si trasmette, dunque, per via oro-fecale e rientra tra le tossinfezioni, cioè quelle patologie che si manifestano in seguito all’ingestione di patogeni e delle loro tossine[1].
Si tratta di un’infezione acuta che colpisce l’intestino[2], causando forte dissenteria, con conseguenti perdite massicce di fluidi corporei, che nei casi più gravi e non adeguatamente trattati, può condurre alla morte per disidratazione[1, 3].
Tale manifestazione dipende dall’effetto di una tossina che porta al richiamo di fluidi verso il lume dell’intestino, inducendo sintomi quali diarrea acquosa e vomito, ma anche crampi agli arti inferiori[3]. Fortunatamente, il più delle volte, soprattutto nei paesi occidentali, l’infezione è talmente lieve da non indurre sintomi[3].
Il batterio Vibrio cholerae
Il microrganismo oggi noto come Vibrio cholerae fu isolato per la prima volta nel 1882, da parte del batteriologo Robert Koch. Fu costui il primo a ipotizzare che l’acqua ne costituisse il principale serbatoio di infezione[2].
In particolare, il vibrione abita le acque salmastre e gli ambienti ricchi di alghe e plancton. Più raramente si trova nelle acque dolci[4]. Si tratta di un batterio Gram negativo a morfologia bastoncellare, con un’incurvatura che gli conferisce la caratteristica forma di una virgola e per questo motivo viene definito anche “vibrione”.
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A seconda delle condizioni ambientali, V. cholerae può adottare un metabolismo di tipo aerobico o anaerobico. Ciò significa che può vivere tanto in presenza quanto in assenza di ossigeno. Si definisce, pertanto, un microrganismo aerobio-anaerobio facoltativo[2].
Vibrio cholerae infetta l’ospite per trasmissione oro-fecale:
- diretta (molto rara in condizioni igieniche accettabili);
- indiretta, tramite cioè, le feci dalle quali viene espulso, o tramite acqua/cibi contaminati da esse[3].
Sia nel cibo che nell’acqua, il patogeno si moltiplica rapidamente[2] aumentando le probabilità di diffondere l’infezione. La carica batterica necessaria per scatenare la patologia è superiore al milione, una popolosità raggiungibile in seguito ad un’abbondante proliferazione[1].
Solo alcuni ceppi di V. cholerae sono patogeni. Infatti, esistono vari sierogruppi e quelli prevalenti sono due:
- il Vibrio cholerae O1 che è il responsabile della maggior parte delle epidemie;
- il Vibrio cholerae O139 che è stato individuato in Bangladesh e nel sud-est dell’Asia[1, 4].
Le altre forme del batterio sono circa 200, ma secondo i dati oggi disponibili, non scatenano sintomi rilevanti né causano epidemie[1, 3].
Classificazione
Dominio | Prokaryota |
Regno | Bacteria |
Phylum | Proteobacteria |
Classe | Gammaproteobacteria |
Ordine | Vibrionales |
Famiglia | Vibrionaceae |
Genere | Vibrio |
Specie | V. cholerae |
Forma | Bastoncello |
Dimensioni | ̴ 2 x 0,5 μm |
Membrana | Gram – |
Capsula | No |
Mobilità | Sì, dotato di flagello |
Respirazione | Aerobio – anaerobio facoltativo |
Sporigeno | No |
Tossine | Enterotossina colerica |
Disponibilità di un vaccino | Sì |
Modalità di trasmissione
Come anticipato, il colera si trasmette per via oro-fecale. Ciò significa che l’infezione può scatenarsi solo in seguito all’ingestione di materiale contenente feci infette. Il più delle volte dipende dall’utilizzo di acqua derivante da sorgenti idriche non adeguatamente trattate o contaminate dagli impianti fognari, e ancora, dal consumo di cibi crudi o cotti solo parzialmente.
Una volta che l’individuo infetto manifesta la patologia, un’enorme quantità di batteri viene espulsa attraverso le sue feci, alimentando così il rischio di diffusione della malattia. V. cholerae si moltiplica anche in ambienti naturali, quali le zone costiere e i fiumi salmastri, ragion per cui, i molluschi, se consumati crudi costituiscono un alimento ad alto rischio infettivo[1, 3].
Sintomi e diagnosi
Nella maggior parte dei casi ( ̴ 75%), gli individui affetti non mostrano alcun sintomo e pochissimi manifestano una forma grave[1]. Questi ultimi però, corrono il rischio di una severa disidratazione con conseguente shock che può rivelarsi fatale[1, 3].
La patologia prevede un tempo di incubazione che varia solitamente tra le 24 e le 72 ore, anche se, a seconda della carica batterica, sono stati registrati tempi molto più brevi (un paio di ore) o al contrario, ben più lunghi (di alcuni giorni)[1, 3].
I primi sintomi si espletano con scariche di diarrea acquosa (fino a 100 in un solo giorno!). Le feci, inizialmente scure, con il passare del tempo si fanno sempre più chiare. Successivamente possono manifestarsi vomito, crampi agli arti inferiori e in generale dolori muscolari[1].
A questo punto, l’individuo assume i tratti somatici caratteristici della malattia[2, 3]:
- pelle fredda;
- pallore;
- sudore;
- aumento della frequenza cardiaca;
- diminuzione della pressione sanguigna;
- agitazione;
- occhi infossati e palpebre socchiuse;
- labbra secche e screpolate;
- secchezza delle mucose;
- perdita di elasticità della pelle.
Metodi di identificazione
Per identificare il vibrione del colera è necessario, prima di tutto, isolare l’agente patogeno dalle feci del paziente. È possibile eseguire un tampone rettale e proseguire con la coltivazione su un terreno di coltura che favorisca la crescita del batterio. Oppure, è sufficiente l’osservazione al microscopio di un campione fecale del paziente, al fine di riconoscerne la tipica struttura bastoncellare[2].
Patogenesi
In seguito all’ingresso di V. cholerae attraverso la bocca, una volta superato lo stomaco, questi si fa strada per raggiungere l’intestino. Qui, il microrganismo può proliferare e produrre grandi quantità di tossina colerica, un’enterotossina che induce una grave dissenteria[2].
Infatti, tale tossina è in grado di indurre una continua sintesi di cAMP (AMP ciclico), a partire dall’AMP, ad opera di un enzima noto come adenilato-ciclasi. Tutto ciò influenza i canali ionici, provocandone una deregolazione nel flusso, che porta al richiamo di acqua verso il lume dell’intestino. È così che l’organismo inizia a perdere abbondantemente fluidi (dai 7 ai 15L al giorno) e con essi, molti sali minerali utili, tra cui il sodio e il potassio, due dei principali elettroliti corporei, indispensabili per la contrazione muscolare. Ciò spiega perché gli individui colpiti dall’infezione lamentino dolori muscolari intensi[2].
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Decorso e profilassi
La terapia prevede, innanzitutto, la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi, tramite la somministrazione orale di fluidi, arricchiti in elettroliti e zuccheri. Tale trattamento di reidratazione si rivela efficace nella risoluzione autonoma del 90% dei casi[1, 2, 3]. Tuttavia, nei casi in cui la patologia si manifesta con più vigore, può essere richiesta l’iniezione intravenosa di un grande volume di fluidi (fino a 6-7L al giorno)[1].
Talvolta però, soprattutto per i soggetti più anziani, può essere necessario avviare una cura antibiotica con tetracicline o ciprofloxacina, per limitare la prolificazione batterica e ridurre la portata dell’infezione e abbreviare i tempi di guarigione[1, 2, 3].
Se la terapia viene applicata correttamente, il decorso può avvenire senza complicazioni e il recupero si mostrerà privo di conseguenze a lungo termine[3]. Dopo circa un paio di settimane dalla guarigione l’individuo non è più considerabile infetto.
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Prevenzione
La strategia preventiva primaria riguarda:
- la corretta depurazione delle acque;
- una scrupolosa gestione fognaria;
- una generale attenzione alla sanità pubblica.
Fondamentale è, infatti, garantire l’igiene e la sicurezza alimentare a partire dalle comuni pratiche igieniche, quali il lavaggio dei cibi e la sanificazione delle mani che deve precedere la manipolazione degli alimenti. Infatti, V. cholerae è suscettibile ai comuni detergenti, impiegati per la pulizia personale, e ancor di più a quelli a base di alcool (60%>)[1, 3].
Dal momento che il vibrione del colera si mostra molto vulnerabile alle alte temperature, si consiglia, quando non è possibile prelevare l’acqua da recipienti ben sigillati, di consumare acqua precedentemente portata a ebollizione. E ancora, di consumare cibi confezionati o accuratamente cotti[2, 3].
Vaccinazioni
Oggi, sono disponibili vaccini a somministrazione orale, la cui validità è però ancora da valutare, dal momento che è possibile ottenere un’efficacia massima dell’ 85% per DuKoral[5], e solo tra il 30-40% (in media) per Shanchol[6]. Quest’ultimo però, non garantisce la stessa percentuale di protezione in tutti i paesi in cui viene somministrato, bensì, mostra tassi di efficacia differenziali. (Sono ancora in corso operazioni di valutazione e approfondimenti).
Inoltre, la copertura sembra essere garantita solo per alcuni mesi (4-6), dopodiché viene persa gradualmente[1, 2, 3].
È importante, infine, ricordare che una volta guariti dalla patologia colerica, non si acquisisce alcuna immunità. Ciò significa che se un soggetto precedentemente guarito dall’infezione dovesse entrare nuovamente in contatto con il patogeno, manifesterà nuovamente la malattia[3].
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Complicanze
Come anticipato, la maggior parte dei soggetti infettati da V. cholerae mostra un decorso asintomatico. Tuttavia, gli individui che soffrono di ridotta produzione degli acidi gastrici, a causa di terapia farmacologica o condizioni di salute particolari, sono quelli a maggior rischio.
Nei pazienti in cui il colera si manifesta in maniera aggressiva, esiste la possibilità di andare incontro a un rilevante squilibrio elettrolitico, a insufficienza renale acuta e persino al coma.
Infine, alcuni ceppi generano una forma severa della malattia che, molto rapidamente, può portare a shock e successivamente alla morte, nel giro di qualche ora dall’inizio dell’infezione[3]. Ecco perché, in ogni caso, il colera non va mai sottovalutato e vanno informate immediatamente le autorità sanitarie in caso di infezione.
Breve excursus storico
In passato
Il Vibrio cholerae ha scatenato ben sei pandemie solo nel XIX. Queste scoppiarono nel subcontinente indiano (Bangladesh e Bengala) e durante di esse, in milioni di persone persero la vita[1]. Anche l’Italia fu colpita dal morbo asiatico, nel 1835. Nel giro in pochi mesi, questo causò la morte di 32.000 abitanti[2]. La settima pandemia è tutt’ora in corso: iniziata nel 1961 in Asia meridionale e diffusasi nel continente africano e americano[1].
Si ritiene che i cambiamenti climatici in atto possano fornire le condizioni ambientali favorevoli per la diffusione del patogeno[1]. In effetti, si è visto che sovente le epidemie si manifestano in seguito a disastri naturali[3].
Oggi
Nonostante non sia ancora stato possibile eradicarlo, il colera è diventato ormai una malattia rara nei paesi occidentali, i cui abitanti corrono il rischio di infettarsi per lo più tramite gli spostamenti in località in cui le misure sanitarie sono pesantemente trascurate e il trattamento idrico inadeguato[3].
In numerosi paesi dell’Africa, dell’America centro-meridionale, del Medio Oriente e in buona parte dell’Asia, il colera rappresenta una malattia endemica, che si scatena soprattutto nei mesi più caldi. In aree geografiche come queste, buona parte della popolazione sviluppa col tempo l’immunità naturale nei confronti del patogeno[3]. Eppure, sono ancora molte le vittime di colera nelle regioni meno sviluppate, dove le condizioni igienico-sanitarie si rivelano precarie.
Referenze
- Istituto Superiore di Sanità – Colera – L’epidemiologia per la sanità pubblica.
- D’Ettorre G – colera – Enciclopedia Treccani.
- Gindro R – Colera: sintomi, cause e cura – Farmaco e Cura. 2019.
- Palmerini C – 8 cose da sapere sul colera – Focus salute. 2017.
- Magnanelli S – Dukoral: Scheda Tecnica e Prescrivibilità – Torrimomedica. 2021.
- C’è un vaccino economico e sicuro per il colera – Il Post. 2015.