Quando parliamo di CITES ci riferiamo alla Convenzione di Washington sul commercio internazionale di fauna e flora selvatiche minacciate d’estinzione; o, per la precisione, alla Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora. La CITES è in sintesi un accordo stipulato tra diversi Paesi per assicurare che il commercio di specie selvatiche, o di parti di esse, non minacci la loro sopravvivenza in natura[1, 2].
Obiettivi e formulazione della CITES
Una prima bozza della Convenzione fu stilata nel 1963 in Kenya, in occasione dell’ottavo meeting dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Il testo vero e proprio fu tuttavia approvato solo il 3 marzo del 1973, nel corso della Plenipotentiary Conference to Conclude an International Convention on Trade in Certain Species of Wildlife; l’evento si svolse a Washington D.C.[3].
Il documento fu firmato inizialmente da ben 80 Stati e la Convenzione entrò in vigore già dal 1 luglio 1975. Le Parti (ossia i Paesi firmatari) che aderiscono alla CITES nel frattempo sono diventate 183[1].
La necessità di regolamentare il commercio internazionale di piante ed animali selvatici deriva dall’enorme business costituito da questo settore. Ogni anno si stimano spese di milioni di dollari, per transazioni che coinvolgono migliaia d’esemplari. E non solo! La CITES si occupa di regolamentare anche il commercio di manufatti o di singole parti di animali e piante, nonché di prodotti derivati. Per fare un esempio: la vendita di cinture e borse di pelle di coccodrillo è soggetta a regolamento CITES, così come il caviale[1]!
Ma perché stilare una convenzione internazionale per questo tipo di business? Insieme a perdita di habitat ed inquinamento, che già minacciano la biodiversità globale, la compravendita di individui e di loro derivati può aggravare le condizioni di sopravvivenza delle specie in natura. Molti degli organismi monitorati dalla CITES, per fortuna, non sono ancora in via d’estinzione: regolamentarne il commercio tra Stati serve proprio a tutelare la loro esistenza nell’ecosistema.
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Tutti gli esseri viventi e i prodotti controllati dalla CITES sono sottoposti a verifica in caso di importazione, esportazione, re-importazione e introduzione via mare. Per autorizzare queste operazioni, la Convenzione si avvale di un sistema di licenze, rilasciate dalle autorità competenti, a loro volta designate da ciascuno Stato membro. Tali figure professionali sono affiancate da personale di formazione scientifica che garantiscono il corretto monitoraggio delle popolazioni naturali e del loro stato di conservazione.
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Le disposizioni previste dalla CITES sono legalmente vincolanti per i Paesi aderenti ma non sostituiscono le leggi nazionali; esse fanno piuttosto da supporto e complemento agli apparati legislativi già in vigore[1].
Appendici della CITES
Ad oggi sono quasi 40 000 le specie a cui la Convenzione accorda protezione, con vari gradi di controllo: circa 6 000 animali e 33 000 vegetali. Le specie, però, non godono tutte dello stesso livello di protezione e vengono a tal proposito divise in tre appendici, ognuna corrispondente ad un grado di sicurezza differente[1].
Appendici I e II
L’appendice I protegge quei gruppi di organismi attualmente minacciati d’estinzione. La CITES consente dunque il loro commercio solo in casi eccezionali.
In questo elenco sono attualmente inserite più di 1 000 specie, tra cui il tenero panda rosso (Ailurus fulgens). Sempre più raro in natura e ispiratore del logo del noto browser Mozilla Firefox, il panda rosso è sottoposto a rigorosi controlli commerciali per scongiurarne l’estinzione; solo alcune strutture di conservazione ex situ, in Italia, ne detengono uno o più esemplari. Questo proprio perché non è consentito lo scambio di specie inserite nell’Appendice I della CITES per scopi puramente commerciali; in altri termini, l’importazione e l’esportazione di tali specie (e quindi anche del panda rosso) deve avere come obiettivo primario la loro conservazione[1, 4].
Nell’appendice II rientrano invece quegli organismi con popolazioni numericamente esigue o sottoposte a forti pressioni ambientali. Lo scambio di piante e animali inclusi in questo elenco prevede particolari attenzioni, per evitare di peggiorarne lo stato di conservazione.
Questa sezione è deputata a proteggere gran parte dei gruppi animali e vegetali della Convenzione, comprendendo oltre 37 400 specie. Ne fanno parte, ad esempio, le giraffe che siamo soliti osservare allo zoo (Giraffa camelopardalis), le quali sono sottoposte a forti pressioni in ambiente naturale. Come mai? Perché le giraffe vengono cacciate per la loro carne, molto richiesta. Inoltre il loro habitat è in costante diminuzione e rende difficile la loro sopravvivenza in natura. Il permesso d’importazione è richiesto solo in caso di specifica legge nazionale; se invece l’esemplare è introdotto via mare, l’autorità competente dello dtato d’importazione deve produrre una certificazione di conferma (sia per i taxa dell’appendice I, sia per quelli dell’appendice II)[1, 4].
È la Conferenza delle Parti (Conference of Parties, CoP) della CITES a stabilire quali criteri biologici e commerciali applicare per ripartire flora e fauna in una di queste due sezioni. Tali procedure sono dichiarate nella Risoluzione Conf. 9.24 della CITES (RevCoP17). Eventuali cambi o inserimenti in appendice I e II vengono discussi, secondo i criteri stabiliti, alla Conferenza delle Parti. Una votazione finale da parte degli Stati membri conclude il processo di smistamento[1].
Appendice III
Questa sezione include le specie soggette a verifiche di scambio in almeno uno degli Stati membri della CITES. Sono sottoposte a controllo le operazioni d’importazione, di esportazione e di re-importazione: ciascuna richiede la presentazione di appropriate licenze per ciascun esemplare, prodotto derivato o manufatto. Da una nazione all’altra possono esserci regole più restrittive di quanto indicato dalla Convenzione, le quali devono quindi essere seguite con attenzione. I gruppi tassonomici elencati in appendice III sono insomma sottoposti a procedure di controllo differenti da quanto richiesto nelle prime due; ciascuno Stato può scegliere infatti di avviare accordi unilaterali con gli altri Paesi.
In quest’elenco sono inserite meno di 300 specie, per ora[1]. Un esempio? La cosiddetta tartaruga azzannatrice (Chelydra serpentina), una specie americana di considerevole pericolosità , è inserita proprio in quest’appendice. Ciò significa che il governo americano è preoccupato del suo stato di conservazione in ambiente naturale e ha dunque stretto accordi unilaterali con le altre parti della Convenzione, per limitare il commercio di questa specie[1, 4].
Struttura della CITES
Il Segretariato è l’organo amministrativo che coordina e mette in comunicazione le tre commissioni della Convenzione: Animals, Plants e Standing Committee.
I membri della Standing Committee rappresentano, con un numero di persone proporzionato agli Stati dei loro territori, le sei regioni geografiche più grandi aderenti alla CITES: Asia, Europa, Africa, America, Caraibi ed Oceania. Questa commissione si occupa di guidare ed affiancare il Segretariato nella gestione ed implementazione delle disposizioni della Convenzione; ne controlla inoltre il budget.
Al Segretariato si associa poi l’organo UN Environment, che fornisce servizi amministrativi accessori a quelli erogati dal Segretariato; esso è gestito dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e si tratta dunque di un corpo esterno alla CITES
Le Nazioni firmatarie della Convenzione si incontrano ogni due o tre anni circa alla Conferenza delle Parti. Si tratta di un evento della durata di due settimane, che normalmente si svolge presso uno degli Stati membri. È proprio durante questi meeting che si prendono le decisioni attuative importanti per il monitoraggio del commercio di fauna e flora selvatiche[1, 5].
Finanziamenti
La CITES è finanziata dal CITES Trust Fund (CTL), una sorta di ente interno che copre i principali costi amministrativi, le spese della Conferenza delle Parti e di altri organi e commissioni sussidiari.
Il CTL ottiene fondi anche da enti esterni, in particolare dal CITES External Trust Fund (QTL). Esso normalmente finanzia altre attività e progetti perseguiti dalla Convenzione. Per esempio, sostiene i programmi di volontariato volti alla conservazione delle specie: si tratta d’iniziative che vengono portate avanti da associazioni in concerto con la Convenzione. Le liquidità del QTL derivano in parte dagli Stati membri, in parte da donazioni. Il segretariato CITES si occupa di gestire e controllare le proposte di finanziamento[1].
CITES in Europa
In Europa, la CITES è stata accolta sin dal 1984 con una serie di regolamenti, applicati in ciascuno Stato membro. Il quadro normativo a cui fare riferimento è il seguente:
- il Regolamento (CE) 338/97 del Consiglio riguarda la protezione di specie selvatiche di flora e fauna tramite il controllo del loro commercio e negli allegati sono elencate le specie interessate;
- Regolamento attuativo (CE) 286/2006 della Commissione comprende le modalità applicative del Regolamento 338/97;
- con il Regolamento esecutivo (UE) 792/2012 della Commissione s’individuano le norme per strutturare licenze, certificati ed altri documenti previsti dal regolamento 338/97;
- infine il Regolamento esecutivo (UE) 1587/2019 della Commissione prevede il divieto d’introdurre in Unione Europea determinate specie di flora e fauna selvatiche.
Quattro allegati completano il quadro europeo: tre di questi si sovrappongono alle Appendici I, II e III della CITES, con l’aggiunta di alcune specie vietate dall’UE. Il quarto allegato prevede invece una vigilanza speciale per il commercio di alcuni organismi non protetti dalla CITES, il cui volume di scambio annuale richiede particolare attenzione.
Alcune specie delle Appendici II e III sono trattate, in Europa, come se appartenessero alla I: questo in conformità alla Direttiva Habitat (92/43/CEE) e alla Direttiva Uccelli (79/409/CEE), già in vigore. Ciascuno Stato può eventualmente applicare misure ancor più stringenti, se lo ritiene necessario[2].
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CITES in Italia
L’Italia ha ratificato la CITES con la Legge 874 del 19 dicembre 1975. L’autorità gestionale scelta, ai sensi del D.Lgs. 300 del 30 luglio 1999, è il Ministero della Transizione Ecologica. L’emissione di certificati per gli scambi commerciali delle specie protette è affidata al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con l’ausilio dell’Arma dei Carabinieri: Comando Unità Forestali, Ambientali ed Agroalimentari. Le licenze d’importazione ed esportazione sono invece rilasciate dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Il controllo delle normative della Convenzione e di ulteriori misure comunitarie o nazionali è affidato infine al Raggruppamento CITES Carabinieri sul territorio italiano, alla Guardia di Finanza in spazi doganali[2].
Conclusioni
Come si può dedurre dalle numerose norme che interessano il commercio di flora e fauna selvatiche, la comunità internazionale cerca di limitare i danni che l’uomo infligge continuamente agli ecosistemi. Il controllo di questi scambi, tanto remunerativi quanto numerosi, richiede la collaborazione di enti ed istituzioni sia nazionali che esteri. È bene dunque informarsi prima di comprare animali o piante esotici, verificando che possiedano adeguata certificazione. Alimentare il mercato nero significa infatti incorrere nel rischio di sanzioni non indifferenti: soprattutto in caso di specie appartenenti alla I Appendice CITES. Senza contare che alcuni organismi, o parti di essi, entrano in commercio grazie a pratiche non etiche. Basta infatti pensare ai manufatti d’avorio, che comportano lo sterminio di intere famiglie d’elefanti: animali purtroppo già sull’orlo dell’estinzione.
Referenze
- CITES – What is CITES?;
- Ministero della Trasizione Ecologica – CITES, Convenzione di Washington sul Commercio Internazionale delle Specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione;
- IUCN Congress Milestone: Establishing CITES;
- CITES – How CITES works;
- UNEP – Environment Assembly.