Celiachia: un virus fra le possibili cause
La celiachia, detta anche malattia celiaca o entropatia da glutine, è una grave forma di intolleranza al glutine, un complesso proteico che si origina nei cereali in presenza di acqua. E’ un disturbo di tipo autoimmune e dipende da una risposta alterata dei Linfociti T e questo provoca molti diversi sintomi nei soggetti affetti, come diarrea, perdita di peso dovuta a un malassorbimento generale e spesso si può riscontrare anche un’anemia da mancanza di Ferro (più raramente anche da mancanza di acido folico o vitamina B9 e inoltre può portare a una recidiva formazione di ulcere dolorose nel cavo orale.
Una volta ingerito con la dieta, il glutine dovrebbe essere degradato dagli enzimi presenti nell’apparato digerente e scomposto in amminoacidi, ma nelle persone affette da celiachia questo non avviene correttamente e la proteina non scomposta attiva la risposta immunitaria dei Linfociti nell’intestino provocando una graduale atrofia dei villi. Pare ormai assodato che gli individui affetti da malattia celiaca portino con sé una predisposizione genetica: la presenza di particolari geni non è tuttavia un fattore sufficiente a contrarre la malattia, è dimostrato però che l’assenza di questi preclude l’insorgere della celiachia.
Un reovirus potrebbe essere il colpevole?
I meccanismi di carattere ambientale, in aggiunta alla predisposizione genetica, che si celano dietro all’insorgere della malattia celiaca non sono mai stati chiariti del tutto, ma una ricerca pubblicata su Science propone l’ipotesi che la causa scatenante potrebbe essere un’infezione da reovirus.
I reovirus (come i rotavirus) sono esponenti di una famiglia di virus che provocano infezioni del tratto gastrointestinale e respiratorio e un essere umano può essere infettato da questi virus anche più volte nel corso della vita. Gli scienziati hanno scoperto che pazienti celiaci avevano un livello più alto di anticorpi proprio contro i reovirus. Per questo studio sono stati usati due virus della famiglia: il type 1 lang (T1L) e il type 3 dearing (T3D), quest’ultimo è stato inoltre ingegnerizzato (T3D-RV) in modo che dia una risposta immunitaria minore ma comunque simile a quella che si ha con il virus “normale”.
Alcuni topi che presentano le stesse predisposizioni genetiche presenti negli umani e che portano alla celiachia, sono stati quindi infettati con questi due virus e dopo 48 ore la sorpresa: i topi che avevano contratto il virus T1L avevano visto mutare il profilo trascrizionale di alcune proteine associate alla risposta immunitaria contro gli antigeni presenti nella dieta.
Nonostante entrambi i ceppi virali utilizzati stimolino la stessa risposta da parte dei linfociti T, solo il virus non modificato portava alle mutazioni che portavano poi alla risposta infiammatoria e quindi ai sintomi della celiachia.
Analizzando quindi pazienti umani, non solo sono stati trovati livelli incredibilmente alti di anticorpi contro i reovirus nei pazienti celiaci, ma anche alti livelli della proteina IRF1, associata all’intolleranza al glutine.
Conclusioni
Naturalmente questi studi andranno confermati e approfonditi, ma l’idea che un virus “banale” possa lasciare una cicatrice permanente nel sistema gastrointestinale e immunitario in bambini con una predisposizione genetica alla celiachia, apre interessanti scenari nella ricerca di una cura o di un vaccino per una patologia che, solo in italia, colpisce dalla 400 alle 600 mila persone.
Riferimenti:Â Bouziat et al., Science 356, 44-50 (2017)