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CBD: la Convenzione sulla Diversità Biologica

La CBD (Convention on Biological Diversity) rappresenta uno dei più importanti sforzi a livello internazionale per la tutela della natura, non solo perché mira a ridurre la perdita di biodiversità, ma anche perché si propone di promuovere lo sviluppo sostenibile delle comunità umane e l’utilizzo equo delle risorse naturali.

A tutt’oggi risulta infatti pressoché innegabile che le attività umane stiano avendo un effetto a dir poco devastante sugli ecosistemi naturali: perdita di habitat, sovrasfruttamento delle risorse, diffusione di specie aliene e cambiamento climatico sono solo alcuni dei fattori che hanno determinato (e continuano a determinare) la crisi della biodiversità. Secondo la IUCN red list (International Union for Conservation of Nature), a partire dal 1600 si sono estinte circa 79 specie di mammiferi e 136 specie di uccelli, ovvero l’1,6% e l’1,3% delle specie rispettivamente conosciute. Se da soli, questi dati, potrebbero sembrare non allarmanti, bisogna però considerare che essi sono in realtà associati ad un aumento netto dei tassi di estinzione: se dal 1600 al 1700 si calcolava infatti l’estinzione di circa una specie al decennio di mammiferi e uccelli, tra il 1850 e il 1950 tale valore balza ad una specie all’anno!

A fronte di questa presa di coscienza, il genere umano si è dunque sentito in dovere di proteggere la natura e di modificare il suo stile di vita per riuscire almeno in parte a diminuire l’impatto negativo che su di essa ha.

Nota dell’autore. Nell’articolo vengono riportati alcuni passi della CBD in lingua originale (inglese), ma la loro lettura non è necessaria alla comprensione globale del testo: essi vengono infatti puntualmente tradotti o, quantomeno, spiegati.

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Storia della CBD

Nel 1988 l’UNEP (United Nations Environment Programme) convocò un gruppo di esperti in biodiversità per indagare la necessità di una Convenzione internazionale per la tutela delle risorse naturali e per il loro utilizzo equo e sostenibile.

Il testo di tale Convenzione venne ben presto stilato e quindi ufficialmente adottato il 22 maggio 1992 in occasione della Conferenza di Nairobi. La CBD venne aperta alla firme nello stesso anno (5 giugno 1992) in occasione dell’Earth summit di Rio de Janeiro, la Conferenza ONU per l’Ambiente e lo Sviluppo; rimase aperta alla firme per un anno esatto e al 4 giugno 1993 vedeva già 168 Parti Contraenti.

La Convenzione entrò in vigore il 29 dicembre 1993 e conta ad oggi 196 Parti (qui la lista completa).

Temi ed obiettivi della CBD

The Earth’s biological resources are vital to humanity’s economic and social development. As a result, there is a growing recognition that biological diversity is a global asset of tremendous value to present and future generations. At the same time, the threat to species and ecosystems has never been so great as it is today. Species extinction caused by human activities continues at an alarming rate. (CBD: History)

“Le risorse biologiche della Terra – recita il sito ufficiale della CBD – sono essenziali per lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni umane. Vi è dunque una sempre più crescente consapevolezza che la diversità biologica sia un bene di inestimabile valore per le generazioni odierne e future. Le specie e gli ecosistemi, d’altro canto, non sono mai stati così profondamente minacciati e il numero di estinzioni dovute alle attività umane cresce ad una velocità allarmante.” È proprio con questa frase che la CBD si presenta al grande pubblico, senza formalità o definizioni artificiose, ma con un semplice dato di fatto: la biodiversità e la natura nel suo insieme sono la più importante risorsa che l’uomo possiede, la fonte prima da cui tutte le attività umane traggono origine; come tale, la biodiversità va dunque protetta e tutelata, per poter garantire tanto alla popolazione odierna, quanto a quella futura, i beni che ne derivano.

Article 1: Objectives. The objectives of this Convention […] are the conservation of biological diversity, the sustainable use of its components and the fair and equitable sharing of the benefits arising out of the utilization of genetic resources. 

Gli obiettivi della Convenzione, così come riportati nel testo ufficiale, sono (1) la conservazione della biodiversità e di tutte le sue componenti, (2) l’uso sostenibile delle risorse e (3) la ripartizione equa dei beni che ne derivano. In altri termini, non è sufficiente tutelare la natura dall’impatto antropico, ma è anche necessario fare in modo che tutta la popolazione umana possa trarre il medesimo vantaggio dall’utilizzo delle risorse, così da promuovere lo sviluppo sostenibile dell’economia e della società. Ad oggi, infatti, i Paesi che indubbiamente traggono il maggior vantaggio dallo sfruttamento delle risorse naturali sono quelli del cosiddetto Nord del Mondo, nonostante tali risorse derivino di fatto per la maggior parte dai Paesi del Sud del Mondo, essendo essi i depositari di una larga porzione della biodiversità terrestre.

La CBD promuove insomma la cooperazione tra Stati e enti internazionali in modo da favorire, per quanto possibile e appropriato, la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità:

Article 5: Cooperation. Each Contracting Party shall, as far as possible and as appropriate, cooperate with other Contracting Parties, directly or, where appropriate, through competent international organizations, in respect of areas beyond national jurisdiction and on other matters of mutual interest, for the conservation and sustainable use of biological diversity.

CBD: il protocollo di Cartagena

The “[Cartagena] Protocol [on Biosafety to the Convention on Biological Diversity]” seeks to protect biological diversity from the potential risks posed by living modified organisms resulting from modern biotechnology. (CBD: The Cartagena Protocol)

Il Protocollo di Cartagena sulla sicurezza biologica è un accordo supplementare della CBD nato dalla Conferenza delle Parti (COP, Conference Of the Parties) del 29 gennaio 2000 ed entrato in vigore l’11 settembre 2003.

Esso mira a proteggere la biodiversità dai potenziali rischi derivanti dalla diffusione di organismi viventi modificati attraverso le moderne biotecnologie. Esso, in particolare, fornisce ai Paesi aderenti una pratica di consenso informato affinché essi siano consapevoli dei rischi legati all’introduzione nel loro territorio, all’utilizzo e alla manipolazione di tali organismi.

Il Protocollo si pone quindi come uno strumento giuridico che mira non tanto ad impedire la sperimentazione e la produzione di organismi viventi modificati quanto a mettere in sicurezza il loro trasporto ed utilizzo nei confronti della biodiversità e della salute umana:

Article 18: Handling, transport, packaging and identification. In order to avoid adverse effects on the conservation and sustainable use of biological diversity, taking also into account risks to human health, each Party shall take necessary measures to require that living modified organisms that are subject to intentional transboundary movement within the scope of this Protocol are handled, packaged and transported under conditions of safety, taking into consideration relevant international rules and standards.

CBD: il protocollo di Nagoya

The “Nagoya Protocol on Access to Genetic Resources and the Fair and Equitable Sharing of Benefits Arising from their Utilization (ABS) to the Convention on Biological Diversity” […] provides a transparent legal framework for the effective implementation of one of the three objectives of the CBD: the fair and equitable sharing of benefits arising out of the utilization of genetic resources. (CBD: The Nagoya Protocol)

Il Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e sull’equa condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo è un accordo supplementare della CBD nato dalla COP tenutasi a Nagoya il 29 ottobre 2010 ed entrato in vigore il 12 ottobre 2014.

Lo scopo del protocollo è quello di regolamentare la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle risorse genetiche per evidenziare il contributo che la biodiversità fornisce allo sviluppo e al benessere umano. Il Protocollo è in altre parole l’applicazione diretta di uno dei principi fondanti della CBD, e viene non a caso applicato alle risorse genetiche previste dalla CBD stessa.

CBD in Italia

L’Italia rappresenta uno dei Paesi sottoscriventi la CBD: alla firma del 05 giugno 1992 è seguita la ratifica il 15 aprile 1994 con la Legge n. 124 del 14 febbraio 1994. L’Itlia è ufficialmente Parte contraente della CBD dal 14 luglio 1994 e del Protocollo di Cartagena dal 22 giugno 2004, ma non ancora del Protocollo di Nagoya.

La storia geologica, biogeografia e culturale dell’Italia, nonché la posizione centrale nel Bacino del Mediterraneo (uno dei 33 hotspot di biodiversità a livello mondiale) hanno determinato le condizioni per lo sviluppo di un patrimonio di specie tra i più significativi a livello europeo sia per il numero totale, sia per l’alto tasso di endemismo. Rispetto al totale di specie presenti in Europa, in Italia si contano oltre il 30% di specie animali e quasi il 50% di quelle vegetali, il tutto su una superficie di circa 1/30 di quella del continente. (MATMM: Biodiversità)

Dal 2010, l’Italia si è dotata di una Strategia Nazionale per la Biodiversità che ruota attorno a tre tematiche principali: (1) biodiversità e servizi ecosistemici, (2) biodiversità e cambiamenti climatici, (3) biodiversità e politiche economiche. Tali tematiche sono alla base di altrettanti obiettivi strategici, “tra loro complementari”, che “mirano [entro il 2020] a garantire la permanenza dei servizi ecosistemici necessari alla vita, ad affrontare i cambiamenti ambientali ed economici in atto, ad ottimizzare i processi di sinergia fra le politiche di settore e la protezione ambientale” (MATMM: Struttura della strategia).

Nel concreto, la Strategia si propone di attuare e monitorare tali obiettivi mediante l’elaborazione di un rapporto biennale in cui sia rappresentata la condizione della biodiversità italiana e lo stato di avanzamento della Strategia stessa mediante una serie di indicatori, come il livello di minaccia delle specie viventi, l’entità degli incendi boschivi e l’urbanizzazione in area costiera.

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Che cos’è la biodiversità?

Il termine biodiversità è stato coniato per la prima volta dall’entomologo americano Edward O. Wilson nel 1989 come abbreviazione di diversità biologica. Nel corso degli anni sono state proposte numerose definizioni del termine ma in tutte emerge come la biodiversità rappresenti sostanzialmente la variabilità della vita sulla Terra, in tutte le sue forme e livelli di interazione, da quello genetico a quello ecosistemico, passando per popolazioni, specie e comunità.

La ricchezza di specie rappresenta probabilmente la misura più diffusa ed utile di biodiversità, in quanto risulta di solito facilmente rilevabile nonché concettualmente piuttosto intuitiva. Ad oggi, circa 1,75 milioni di specie sono state formalmente descritte, e la maggior parte di esse sono insetti; si ritiene tuttavia che il numero di specie effettivamente esistenti sia di gran lunga maggiore, con stime che oscillano tra i 5 e i 10 milioni! Nella “peggiore” delle ipotesi, la biodiversità specifica attualmente nota rappresenterebbe dunque solo poco più del 10% del totale.

Fig. 1 – Abbondanza di specie per i maggiori gruppi di organismi. Dal grafico emerge in modo a dir poco lampante come l’uomo abbia ancora molto da conoscere sulla natura e sulle forme di vita che popolano il nostro pianeta: per i soli batteri e virus, ad esempio, la frazione descritta di specie è così bassa da non essere nemmeno visibile in grafico. (dati da Groombridge e Jenkins, 2002)

 Bibliografia

  • Groombridge, B., & Jenkins, M.D. (2002), World Atlas of Biodiversity: Earth’s living resources in the 21st century, UNEP-WCMC, Cambridge.
  • Primck, R. B., & Boitani, L. (2013), Biologia della conservazione, Zanichelli, Bologna.

Link esterni

  • Convention on Biological Diversity (CBD).
  • International Union for Conservation of Nature (IUCN).
  • Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).

 

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