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Carnitina: cos’è e a cosa serve?

Tutto quello che c'è da sapere sulla carnitina

Cos’è la carnitina?

Facente parte della famiglia delle metilammine, la carnitina è un acido carbossilico, in parte di produzione endogena e in parte assumibile dalla dieta. Fu individuata per la prima volta nel 1905 da un estratto di carne bovina e oggi riscuote grande successo per via delle sue innumerevoli applicazioni.

Struttura 3D carnitinaLa carnitina risulta indispensabile per la degradazione metabolica degli acidi grassi a lunga catena. Ecco perché viene spesso sfruttata come “bruciagrassi” nelle diete dimagranti o come risorsa vantaggiosa per la generazione di energia durante la pratica sportiva[1].

Non solo, la carnitina mostra effetti positivi in moltissime circostanze[2]:

  • contribuisce alla regolazione della composizione lipidica, limitando l’accumulo di grasso corporeo;
  • incrementa la funzionalità dei mitocondri;
  • svolge azione di antiossidante;
  • migliora il quadro clinico degli individui affetti da diabete;
  • mostra un’azione preventiva nei confronti dei disturbi dell’apparato cardiovascolare;
  • induce effetti positivi sul sistema nervoso in termini di neuroprotezione, conduzione nervosa, inibizione della morte cellulare e svolge un’azione benefica in alcune neuropatologie (es. Alzheimer, encefalopatia, demenza);
  • contrasta la perdita ossea;
  • esercita un effetto regolatorio sulla tiroide;
  • induce miglioramenti in vari aspetti del processo di invecchiamento;
  • migliora il profilo muscolare;
  • incrementa le prestazioni sessuali e la fertilità;
  • espleta un’azione positiva sull’omeostasi oculare.
Traffico carnitina nella cellula
Fonte immagine: Frontiers

La molecola della carnitina

La carnitina (nome IUPAC (3R)-3-idrossi-4-trimetilamminobutanoato) è una molecola biologica caratterizzata da una struttura simile a quella degli amminoacidi. Si tratta, però, di un acido carbossilico, appartenente alla famiglia delle metilammine e la sua formula chimica è C7H15NO3[1]. Salvo in caso di particolari patologie o di alterazioni genetiche, l’organismo produce regolarmente carnitina endogena, prevalentemente a livello epatico e renale.

I diversi tipi di carnitina

La forma più comune di carnitina endogena è la L-carnitina (LC). Questa può anche trovarsi esterificata con un gruppo acetile e costituire, così, l’Acetil-L-Carnitina (ALC), oppure con un gruppo propionile, generando la Propionil-L-Carnitina (PLC). Tuttavia, il più delle volte, sia l’ALC sia la PLC vengono poi tramutate dall’organismo in LC.

La differenza più sostanziale tra le due molecole esterificate è che queste mostrano diversa affinità a seconda della tipologia di tessuto. Inoltre, le varie forme di carnitina possiedono proprietà farmacologiche distinte[4]. A prescindere dal modo in cui la carnitina si configura, è comunque un nutriente indispensabile all’organismo per consentire sia il corretto metabolismo cellulare e la sintesi di ATP[4].

Funzione

Il suo principale ruolo biochimico è correlato alle funzioni metaboliche. Più precisamente essa è coinvolta nel catabolismo: le molecole di carnitina hanno il compito di fare da carrier per il trasporto degli acidi grassi a lunga catena verso la matrice dei mitocondri, sede del metabolismo energetico, al fine della loro degradazione per sintetizzare ATP, la cosiddetta “moneta” energetica della cellula. Ciò significa che la presenza della carnitina consente di convertire in energia le riserve di grassi accumulate dalla dieta, tramite un processo, definito Beta-ossidazione[1].

Shuttle della carnitina
Fonte: Lumen Learning

Leggi anche: Beta ossidazione degli acidi grassi

La Beta-ossidazione

Il nome dipende dall’atomo carbonio coinvolto nell’ossidazione, cioè il C-beta. La Beta-ossidazione consiste nella formazione di un legame tra il gruppo carbossilico (C=O OH) della carnitina e quello acilico (RCO) dei tioesteri dell’acil-coenzima A (acil-coA).

Quest’ultimo si forma grazie a un processo di trans-esterificazione, catalizzata dall’enzima carnitina aciltransferasi I, collocato sul lato esterno della membrana mitocondriale; tale reazione permette il legame tra un acido grasso e il coenzima A, con l’aiuto di una molecola di ATP; si viene a formare così un estere, il quale potrà attraversare la membrana mitocondriale, grazie all’ausilio del trasportatore acil-carnitina/carnitina-libera.

Infine, una volta raggiunta la matrice, il gruppo acilico verrà trasferito dalla carnitina al CoA, per merito della carnitina acil transferasi II[1].

Storia

La scoperta della carnitina ha avuto luogo nel 1905, in seguito al suo isolamento da un estratto di carne bovina. Intorno agli anni ‘30 fu descritta la sua struttura chimica. Ma il ruolo fisiologico fu riconosciuto soltanto nel 1955. Infatti, inizialmente fu identificata come fattore di crescita per la tarma della farina, mentre la sua importanza per l’organismo umano fu indagata solo a posteriori, in seguito alla diagnosi del primo paziente con deficit di carnitina. A quel punto gli scienziati intuirono il suo fondamentale ruolo nell’ossidazione lipidica[5].

Sintesi endogena

L’essere umano, in condizioni omeostatiche, produce 1,2 μmol di carnitina al giorno per kg di peso corporeo (20 mg/gg/kg), che nel totale corrisponde a circa il 25% del fabbisogno giornaliero (80 mg). I siti di sintesi endogena sono per lo più il fegato e i reni, e il suo assorbimento avviene quasi unicamente a livello dell’intestino tenue[3].

Trattandosi di un derivato aminoacidico, la carnitina viene sintetizzata a partire da due aminoacidi: la lisina e la metionina. La reazione tra i due viene catalizzata da alcuni cofattori: la Vitamina B3 (Niacina), la Vitamina B6 (Piridossina), la Vitamina C (Acido Ascorbico) e il Ferro[3].

Dove si trova

Il fabbisogno giornaliero di carnitina si aggira intorno agli 80 mg/gg per kg di peso corporeo, ma come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il nostro organismo è in grado di sintetizzarne in autonomia fino a 20 mg/gg[1].

La carnitina è presente in una vasta gamma di alimenti, tra cui, in special modo, le carni rosse, i latticini e alcuni frutti.

In una dieta onnivora, varia e bilanciata se ne assumono ben 100-300 mg giornalieri[1].

Seppur globalmente in minor quantità, anche la dieta vegetariana con i dovuti accorgimenti è in grado di fornire la dose di carnitina necessaria al proprio fabbisogno. Infatti, molti alimenti di origine vegetale sono fonti importanti di carnitina, come ad esempio: i legumi, i carciofi, i cavolini di Bruxelles, la farina d’avena, il grano saraceno, la crusca, i semi, le noci, le banane, le albicocche, la carruba, l’aglio, le barbabietole, gli asparagi e i broccoli[1].

100g di alimentomg di carnitina contenuta
Carne di manzo60
Carne di pecora210
Carne di cammello130
Carne di coniglio20
Petto di pollo cotto2,66 – 4,42
Carne di maiale32,5
Carne di agnello80
Merluzzo cotto3,54 – 6,19
Uova0,8
Latte di pecora10
Latte di vacca3
Latte di capra3,1
Formaggio3,51
Riso1,8
Farina1
Pane0,35
Mela3,1
Uva1,1
Pera2,7
Pesca1,6
Pomodoro2,9
Avocado1,2
Asparagi cotti0,08

[3]

Meccanismo d’azione

Gli acidi grassi immagazzinati nel tessuto adiposo vengono rilasciati in circolo, dove si legano all’albumina del siero, che li trasporta fino alle cellule bersaglio. Una volta che gli acidi grassi sono penetrati all’interno delle cellule, si accumulano nel citosol. In caso di necessità energetica (richiesta di ATP) da parte del metabolismo cellulare, tali riserve di grassi vengono mobilitate[3].

Questi, se possiedono una catena uguale o superiore a 14 atomi di carbonio, al fine della loro degradazione tramite la Beta-ossidazione, necessitano dell’azione dello shuttle della carnitina per riuscire ad attraversare la membrana mitocondriale.

Lo shuttle (trasportatore) della carnitina

L’intero processo può essere riassunto in 3 fasi.

1) Affinché possa avvenire la reazione con il trasportatore, quando si trovano ancora nel citoplasma, gli acidi grassi devono essere attivati. L’attivazione è resa possibile dal legame con il coenzima A (CoA). L’unione della porzione tiazolica di quest’ultimo con quella carbossilica dell’acido grasso forma un legame tioesterico che genera l’acil-CoA, la cui porzione acilica è di impedimento per il passaggio attraverso la membrana mitocondriale[3].

2) Qui entra in gioco la carnitina: essa si lega al gruppo ossidrile della regione acilica, formando così, l’acil-carnitina. La reazione necessita della presenza di un enzima: la carnitina-palmitoil-transferasi I, localizzata sul lato esterno della membrana mitocondriale. Tale meccanismo di trans-esterificazione genera un legame ad alta energia. A questo punto, il trasporto è permesso dall’azione di un co-trasportatore situato sul lato interno della doppia membrana, la Translocasi, che fa entrare nella matrice una molecola di acil-carnitina in modo passivo, mentre contemporaneamente ne fa uscire una di carnitina libera[3].

3) Infine, l’acil-CoA viene rilasciato dalla carnitina, mediante la carnitina-palmitoil-transferasi II, collocata sul lato della membrana mitocondriale interna. La carnitina libera viene, perciò, ritrasportata nello spazio di intermembrana mediante la stessa Translocasi, mentre l’acido grasso potrà, a questo punto, essere degradato per la sintesi di ATP[3].

Palmitoiltransferasi
Palmitoiltransferasi (fonte immagine: Wikipedia)

È facile intuire che nella Beta-ossidazione, lo shuttle della carnitina è il fattore limitante per la velocità del processo. Proprio per questa ragione, esso è un importante sito di regolazione per il meccanismo di sintesi energetica a partire dagli acidi grassi[3].

Quali condizioni stimolano l’ossidazione degli acidi grassi?

Durante uno sforzo motorio o in seguito a digiuno, le concentrazioni di ATP diminuiscono, mentre, al contrario, aumentano le concentrazioni di ADP e AMP. Questi ultimi sono i responsabili dell’attivazione di una cascata di reazioni che portano alla riduzione della concentrazione di malonil-CoA (intermedio della sintesi degli acidi grassi), il che sopprimerà i meccanismi di inibizione dello shuttle della carnitina. Tutto ciò farà aumentare i livelli della Beta-ossidazione, volta alla produzione di energia metabolica, per supplire alla precedente mancanza di ATP[3].

Inibizione della Beta-ossidazione

Quando le scorte di glicogeno sono sature (in seguito, ad esempio, all’iperglicemia), nel fegato si verifica la lipogenesi, cioè la sintesi di acidi grassi e trigliceridi a partire dalle molecole di glucosio in eccesso. Tale processo fa aumentare la concentrazione di malonil-CoA, il quale inibisce l’azione della carnitina aciltransferasi 1. In questo modo, i grassi sono ostacolati a entrare nei mitocondri e viene così impedita la loro degradazione[3].

Anche l’etanolo agisce da inibitore nei confronti dell’ossidazione lipidica. Infatti, in generale è risaputo che l’alcol riduce l’assorbimento degli aminoacidi assunti con la dieta e di conseguenza, anche di quelli necessari alla sintesi di carnitina (lisina e metionina). Ma nei casi in cui il fegato è già leso dall’eccessiva introduzione di etanolo, la biosintesi di carnitina risulta ulteriormente inibita[2].

Carenze

In seguito a carenze nutrizionali o a particolari patologie, può verificarsi una carenza di carnitina, soprattutto a livello del tessuto muscolare o del sangue. Quando il rapporto carnitina: carnitina-libera è >0.4, la quantità di questa risulta insufficiente[7]. Una scarsa dose di carnitina può sovente essere causata da una carenza di vitamina C, dal momento che questa è uno dei cofattori necessari per la sua sintesi.

Tuttavia, in altri casi, l’inadeguatezza della quantità di carnitina dipende da alcuni particolari disturbi, quali la distrofia muscolare o quella amniotica, che causano l’espulsione di carnitina attraverso le urine.

Oppure, più raramente, può essere presente una sindrome genetica, come nel caso del deficit sistemico di carnitina.

Quest’ultimo è caratterizzato da gravi sintomi:

  • miopatia scheletrica e cardiaca (dovute all’accumulo di lipidi intracellulari);
  • ipoglicemia e iperammonemia, con i conseguenti effetti collaterali quali astenia, stanchezza muscolare, accumulo di grasso corporeo e riduzione della chetogenesi[1].

In situazioni come queste, spesso viene prescritto un dosaggio di L-carnitina per evitare il peggioramento dei sintomi[3].

Talvolta, può anche sussistere un difetto ereditario nel trasporto di carnitina, una condizione nota come “Carnitine Transporter Deficiency”: normalmente la carnitina viene veicolata all’interno della cellula da un trasportatore ad alta affinità, OCTN2, situato nella membrana plasmatica delle cellule muscolari scheletriche, cardiache e in quelle renali. Ciò che avviene, però, nel caso di una carenza di carnitina ereditaria come la CTD è che questa viene espulsa con le urine, anziché essere impiegata dai muscoli, e impedendo così, l’ossidazione degli acidi grassi a carico di questi[8].

Infine, come precedentemente accennato, un’importante carenza di carnitina si verifica nei pazienti affetti da cirrosi. Ciò è dovuto in parte alla scarsa assunzione di questa e alla ridotta capacità di assorbimento di lisina e metionina dalla dieta, ma soprattutto dall’incapacità di tali individui di convertire il γ-butirrobetaina in carnitina[2].

Cosa succede se la Beta-ossidazione risulta difettosa?

Quando si verifica un difetto nel meccanismo di ossidazione mitocondriale degli acidi grassi, subentra la ω-ossidazione. Si tratta di una via metabolica secondaria, solitamente di scarsa importanza, presente in alcuni vertebrati, che porta anch’essa alla degradazione degli acidi grassi, ma che avviene all’interno del reticolo endoplasmatico.

Il prefisso “omega” dipende dall’atomo di carbonio sul quale avviene l’ossidazione, cioè il più distante dal gruppo carbossilico[3]. Tale via metabolica assume rilevanza quasi unicamente nei casi in cui la Beta-ossidazione risulta inibita.

Risvolti clinici

È ormai noto che la carnitina mostra innumerevoli benefici per l’organismo. I principali tra questi riguardano il consumo delle riserve lipidiche, con la conseguente riduzione della probabilità di sviluppare obesità e diabete, nonché l’aumento dell’efficienza della circolazione sanguigna e dell’apparato circolatorio in generale, ma anche il mantenimento della salute del sistema nervoso, la regolazione della tiroide, il miglioramento della funzionalità del fegato e dei muscoli, la riduzione della perdita ossea e molti altri ancora.

Effetto dimagrante

Dal momento che il suo ruolo è quello di trasportare gli acidi grassi a lunga catena all’interno del mitocondrio, per la loro degradazione, alla carnitina viene attribuito il merito di influire sui depositi delle riserve adipose, in modo lipolitico, favorendo così, la loro eliminazione. Ecco perché, spesso, chi vuole perdere peso assume degli integratori di questa molecola, con la finalità di accelerare il metabolismo dei grassi[1].

Contributo nei casi di obesità

Sono molte le evidenze che dimostrano l’effetto benefico dell’integrazione supplementare di carnitina negli individui che soffrono di obesità. Infatti, in alcuni studi condotti su animali-modello, il trattamento con la carnitina ha permesso un miglioramento della tolleranza insulinica, oltre a un generale incremento del consumo energetico[2].

In effetti, la Carnitina-palmitoiltrasferasi 1 (CPT-1) è il fattore limitante nel processo della Beta-ossidazione. Tuttavia, grazie alla stimolazione farmacologica della CPT-1 presente a livello cerebrale, è possibile ridurre l’apporto di cibo e così, anche il peso corporeo totale[2].

Contributo negli individui affetti da diabete

Il diabete di tipo 2 è spesso accompagnato da una riduzione nell’efficienza del sistema immunitario. Il meccanismo esatto per cui ciò avviene è ancora poco chiaro, ma si pensa che possa dipendere dagli effetti dovuti ai danni ossidativi e alle disfunzioni mitocondriali.

Tuttavia, alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che la carnitina svolge un effetto positivo nei confronti della risposta immunitaria negli individui affetti da diabete. Questo perché essa è in grado di non solo ripristinare, almeno in parte, la funzionalità mitocondriale, ma anche di ridurre i danni ossidativi e ritardare la morte cellulare nei tessuti coinvolti nella risposta immunitaria[2, 9].

Benefici sull’apparato cardiovascolare

Recenti studi hanno dimostrato che la carnitina esercita un importante effetto benefico nei confronti delle malattie cardiache. Di fatto, essa mostra proprietà vasoprotettive[3], migliora il grado di ossigenazione delle cellule del cuore, abbassa il colesterolo e i trigliceridi circolanti e innalza i valori delle HDL, riducendo così, la possibilità di accumulare depositi lipidici all’interno della parete dei vasi[1].

Infatti, un suo supplemento assume un ruolo positivo, non solo per la prevenzione dei disturbi cardiovascolari, quali le aritmie, le dislipidemie e l’aterosclerosi, bensì, anche per il recupero in seguito a problematiche cliniche quali Angina pectoris, insufficienza cardiaca e infarto[1, 3].

Si ritiene che tali contributi nei confronti delle malattie cardiovascolari siano dovuti soprattutto al ripristino del metabolismo ossidativo fisiologico e al ristabilimento delle riserve energetiche dell’apparato da parte della carnitina[2].

Contributo nei casi di aritmia, insufficienza cardiaca e ischemia

Il muscolo scheletrico e cardiaco dipendono dalla carnitina presente nel plasma, essendo incapaci di sintetizzarla nelle proprie sedi. In particolar modo il cuore dipende strettamente dalla Beta-ossidazione, dalla quale trae il proprio sostentamento energetico. Lo scambio da carnitina ad acilcarnitina è il passaggio critico per tale processo e dipende dall’enzima CAC (carrier carnitina-acilcarnitina). Di fatto, molti casi di cardiomiopatia, aritmia e insufficienza cardiaca sono causati proprio dal deficit di attività del CAC e dal conseguente accumulo di acidi grassi a lunga catena nel citoplasma cellulare[2].

L’esatto meccanismo tramite cui tali disfunzioni si verificano non è ancora stato chiarificato nel dettaglio. Tuttavia, la somministrazione di L-carnitina sembra esercitare un effetto positivo sulla riduzione della probabilità di incidenza di insufficienza cardiaca e sull’abbassamento dei valori della pressione sanguigna, nonché sull’attenuazione della risposta infiammatoria attivata dall’ipertensione arteriosa[2].

Persino nei casi di ischemia la L-carnitina è in grado di ridurre la probabilità di sviluppare lesioni, grazie alla diminuzione dei livelli degli acidi grassi liberi e al miglioramento del metabolismo dei carboidrati[2].

Recupero in seguito a infarto

Per quanto riguarda i casi di infarto del miocardio, se viene somministrata una consistente dose di L-carnitina, prontamente dopo l’attacco cardiaco, e se tale integrazione viene poi mantenuta nel tempo, si può progressivamente attenuare la dilatazione ventricolare e prevenire le ricadute.

Esiste però anche un rovescio della medaglia: laddove la carnitina non incrementa l’ossidazione del glucosio, un suo supplemento può risultare peggiorativo per la contrattilità del cuore e favorire l’insorgenza di lesioni, in seguito a ischemia[2].

Benefici sul sistema nervoso

A livello cerebrale, la carnitina gioca un ruolo fondamentale per il mantenimento dell’isotonicità delle cellule. Essa influisce in modo preponderante sulle fluttuazioni ioniche e dunque, sull’eccitabilità nervosa.

La carnitina sembra anche svolgere effetti neuroprotettivi, se fornita a una soglia sovrafisiologica, nonostante non sia ancora possibile spiegare l’esatto meccanismo tramite cui ciò avviene. È però noto che l’acetilcarnitina esercita una funzione antiossidante. Di conseguenza, tale attività risulta in grado di inibire la morte neuronale che si verifica in numerose malattie neurologiche e che il più delle volte, avviene a causa dei danni dovuti proprio allo stress ossidativo[2].

Inoltre, l’azione della carnitina è correlata a quella del neurotrasmettitore acetilcolina (ACh), il quale, se carente, è spesso sinonimo di disordini neurologici, quale il morbo di Alzheimer. Infatti, nei pazienti affetti dalla suddetta patologia, la carnitina può sostituire parzialmente il ruolo dell’ACh e ristabilizzare così, l’attività delle cellule del Sistema Nervoso Centrale[1]. Infine, i trattamenti con la carnitina sembrano avere successo anche negli individui che soffrono di depressione.

Contro l’encefalopatia

La carnitina ha fornito riscontri positivi anche per quanto riguarda il trattamento di alcune neuropatie, tra cui l’Alzheimer e l’encefalopatia epatica. Quest’ultima costituisce un serio disturbo che si verifica spesso nei pazienti affetti da cirrosi, in cui fegato risulta incapace di svolgere efficacemente la sua funzione detossificante. Ciò comporta l’accumulo di sostanze di rifiuto nel sangue, con conseguente danno alle cellule nervose che risentono di tale tossicità. Tuttavia, in questi casi la somministrazione di L-carnitina si rivela capace di ridurre i livelli di ammoniaca presenti nel siero, migliorando parzialmente i sintomi della malattia[2].

Contro la demenza

Nei pazienti più anziani e affetti da demenza, i parametri neuropsicologici e le funzioni cognitive risultano positivamente influenzate dalla somministrazione dell’acetil-L-carnitina[2].

Benefici per l’invecchiamento

Con l’avanzare dell’età, i livelli di L-carnitina si riducono progressivamente. Ecco perché molti degli effetti collaterali relazionati al processo di invecchiamento sono attribuibili alla graduale perdita della funzionalità dei mitocondri e all’aumento della produzione di ossidanti da parte di questi, che spesso accompagna la perdita di memoria tipica della vecchiaia[2].

Alcuni effetti negativi che caratterizzano l’avanzare dell’età, come la riduzione dell’attività mitocondriale epatica e il calo dei livelli di L-carnitina nei tessuti, possono essere in parte migliorati dall’integrazione supplementare di acetil-L-carnitina. Non solo, tale trattamento si rivela efficace anche nell’implemento delle capacità di memoria, negli individui più anziani. Infatti, la perdita di quest’ultima è sovente causata proprio dal decadimento dell’attività mitocondriale e dallo stress ossidativo che ne deriva, il quale ha ripercosse anche sul DNA e sugli RNA[2].

Inoltre, soprattutto nei soggetti caratterizzati da età avanzata, la carnitina esercita effetti benefici anche sulla composizione lipidica, sul contenuto di colesterolo e trigliceridi, sulla massa muscolare, e sull’affaticamento fisico e mentale.

Infine, la somministrazione di L-carnitina, assieme all’acido alfa lipoico, in pazienti anziani, è in grado di limitare la produzione delle specie tossiche dell’ossigeno (ROS), la perossidazione lipidica, la carbonilazione delle proteine e la rottura dei filamenti di DNA nei tessuti che ne risentono di più (cuore, muscolo scheletrico, encefalo). Inoltre, il trattamento risulta efficace persino nell’incremento dell’attività enzimatica mitocondriale e in quella della catena respiratoria[2].

Contro la perdita ossea

Siccome la carnitina è responsabile della disponibilità energetica nelle cellule, a un suo deficit è attribuibile la riduzione dell’attività degli osteoblasti in età avanzata. Questa è una delle ragioni per cui, invecchiando, le ossa si indeboliscono. Infatti, l’energia necessaria per la sintesi proteica delle cellule deputate all’accrescimento e al rimodellamento osseo dipende in buona percentuale (40-80%) dall’ossidazione degli acidi grassi[2]. Tuttavia, regolando l’attività metabolica mitocondriale grazie a un supplemento di L-carnitina, è possibile influenzare positivamente la densità ossea e rallentarne la perdita.

Effetto positivo sul fegato di pazienti affetti da cirrosi

Un primo studio eseguito su ratti affetti da cirrosi (disturbo associato in più casi a un deficit di carnitina) ha riscontrato che è possibile migliorare la funzionalità delle cellule epatiche, in seguito alla somministrazione di L-carnitina e BCAA (aminoacidi ramificati essenziali: isoleucina, leucina e valina). In effetti, queste due componenti sono in grado di modificare la composizione lipidica del fegato e di incrementare la quantità di siero e ATP a livello del fegato. Inoltre, LC e BCAA si sono dimostrati efficaci nella riduzione della morte degli epatociti, il che li rende un’economica risorsa terapeutica per i pazienti affetti da cirrosi epatica o altre patologie croniche del fegato[6].

In aggiunta, come già accennato, il trattamento a base di acetil-L-carnitina può migliorare gli effetti dell’encefalopatia epatica, una conseguenza comune negli individui che soffrono di cirrosi. Ciò si spiega tramite la correlazione esistente tra l’encefalopatia e l’elevata presenza di ammoniaca nel circolo sanguigno e a livello cerebrale. Infatti, la somministrazione di acetil-L-carnitina, induce la sintesi di urea a partire dalla stessa ammoniaca, riducendo pertanto, i livelli circolanti di quest’ultima.

Infine, un elevato dosaggio di carnitina può svolgere un effetto ipolipemizzante, cioè di prevenzione dell’accumulo di lipidi nel fegato in fase di deterioramento a causa dell’eccessiva ingestione di etanolo dalla dieta, aumentando così, la funzionalità della carnitina a livello epatico[2].

Regolazione della tiroide

La carnitina è persino in grado di ridurre il trasporto degli ormoni tiroidei, inibendo così la loro efficacia all’interno delle cellule-bersaglio ed esercitando, di conseguenza, un’azione positiva sui malati di tireotossicosi iatrogena, cioè quel disturbo causato dalla sovraproduzione di ormoni tiroidei[1].

Contro la sepsi

La sepsi, condizione che si verifica in seguito alla diffusione di un’infezione a livello sistemico, induce un’accelerazione del processo di proteolisi, causando una diminuzione del volume dei muscoli scheletrici. Tale perdita proteica può essere ritardata grazie all’integrazione con carnitina. Inoltre, questa può ridurre la portata del danno endoteliale che si verifica in seguito alla risposta immunitaria attivata dall’ingresso di patogeni[2].

Azione sui muscoli e contro le malattie neuromuscolari

Durante l’esercizio motorio, in seguito all’incremento del consumo energetico, all’interno dei muscoli scheletrici aumenta la produzione di acido lattico, uno scarto del metabolismo anaerobico che induce l’affaticamento muscolare. Tale effetto può essere ridotto dall’azione della carnitina, la quale, si occupa, tra le altre cose, di mantenere il glicogeno nei muscoli[2].

Inoltre, dal momento che essa mobilita le riserve di grasso al fine della loro degradazione per l’ottenimento di energia metabolica, sono in molti a sostenere che possa contribuire all’aumento della massa muscolare a discapito di quella adiposa[1].

Un deficit di carnitina (CPT), al contrario, è spesso associato a varie forme di miopatia, una patologia a carico dei muscoli, caratterizzata da difetti nel trasporto e nell’utilizzo delle riserve energetiche all’interno del mitocondrio. Tale disturbo può manifestarsi in seguito all’eccessivo sforzo fisico, ma anche in caso di esposizione al freddo o a infezioni, oppure dopo essersi sottoposti a digiuno prolungato o a periodi stress.

Contro la secchezza oculare

Spesso la L-carnitina viene inserita nei fluidi che compongono le lacrime artificiali con la finalità di migliorare l’omeostasi oculare e ridurne la secchezza. Questo perché essa agisce da osmoregolatore, apportando benefici alla superficie della cornea. Inoltre, la somministrazione di L-carnitina si è rivelata efficace in molteplici disturbi della retina, tra cui la retinopatia[2].

Integrazione

Oggigiorno, sono molto diffuse polveri, capsule, pastiglie e soluzioni con lo scopo dell’integrazione alimentare. Tra di essi, quelli a base di carnitina sono tra i più diffusi. Alcuni di questi, però, richiedono la ricetta medica, essendo farmaci veri e propri, la cui prescrizione deve tenere conto della patologia, dell’età, del peso e delle condizioni individuali del soggetto che ne usufruisce; al contrario, altre tipologie di integratori sono di libera vendita[1].

Per via del suo effetto contro la fatica fisica, l’integrazione di carnitina viene consigliata in caso di ridotto apporto calorico o se soggetti a condizioni particolari, quali l’adolescenza, la vecchiaia o in generale in quelle situazioni caratterizzate da stanchezza o debolezza, fisica o mentale[1]. Vediamo nel dettaglio i diversi impieghi.

Nello sport

Nonostante restino ancora aperte molte questioni relative all’uso della L-Carnitina nell’ambito sportivo, in molti ne proclamano invece i benefici, soprattutto per quanto riguarda la performance atletica, la competizione e il recupero fisiologico, ragion per cui, sono molti gli integratori diffusi in commercio[3].

Gli integratori sportivi più comuni sono quelli a base di L-carnitina o acetil-carnitina e non rientrano tra le sostanze dopanti. La dose consigliata per gli atleti è di 2 g/giorno.

Vengono comunemente venduti nelle farmacie o nei negozi/siti Internet specializzati nella pratica sportiva e nell’integrazione alimentare.

Vanno assunti circa mezz’ora prima del momento in cui è richiesta la loro azione, mentre alcune evidenze scientifiche sosterrebbero che questi non possano svolgere alcun effetto se presi successivamente alla performance atletica, siccome il loro scopo è proprio quello di ottenere energia più facilmente, durante l’esecuzione di uno sforzo fisico. Tuttavia, secondo studi più recenti, l’integrazione di carnitina post-allenamento favorirebbe il recupero, esercitando un’azione anti-catabolica[1].

Ciò che è certo è che durante lo svolgimento di attività fisica prolungata, la fonte di energia predominante nei muscoli in esecuzione è quella derivante dall’ossidazione degli acidi grassi. Ecco perché in caso di malfunzionamento della carnitina-palmitoiltransferasi, si può incorre a infortuni muscolari causati proprio dall’insufficiente rifornimento energetico[2].

Inoltre, un’abbondante disponibilità di carnitina aiuta a limitare la formazione dell’acido lattico durante gli allenamenti intensi, che richiedono un’elevata resistenza muscolare (es. ciclismo, bodybuilding, fitness), e consente  così di risparmiare oltre al 50% delle scorte di glicogeno.

Nell’estetica

La carnitina viene oggigiorno impiegata anche in alcuni trattamenti estetici. Alcuni esempi sono le creme anticellulite e la mesoterapia lipolitica. Quest’ultima consiste nella somministrazione di una miscela, che tra le altre sostanze contiene anche la carnitina, con la finalità di lisare (sciogliere) l’adipe nella zona in trattamento[1].

All’interno delle creme anticellulite invece, viene sfruttato il principio bruciagrassi della carnitina, accompagnato a quello di altre molecole, quali la caffeina, con lo scopo di ridonare tonicità alle cellule, riducendone il contenuto lipidico[1].

Miglioramenti nelle prestazioni sessuali

Ebbene sì, alla carnitina vengono anche attribuite proprietà “afrodisiache”.
Questo perché essa stimola la sintesi di testosterone, aumentando la presenza di recettori per gli androgeni.

La carnitina agisce inoltre in modo positivo sulla maturazione delle cellule sessuali a livello dell’epididimo, proteggendo al contempo gli spermatozoi dai radicali liberi e dall’apoptosi. Infatti, se ne trova in abbondanza nel liquido spermatico, dove assume funzione energetica e sembra che possa anche migliorare la resistenza durante le prestazioni sessuali[1].

Effetti collaterali

Vi sono svariate situazioni in cui non è indicato assumere carnitina, dal momento che la sua somministrazione può essere causa di alcuni effetti indesiderati, tra cui gastrite, crampi intestinali, nausea, vomito e diarrea[3, 7].

L’assunzione di carnitina può anche incrementare il tasso di aggregazione piastrinica del sangue ed è altresì sconsigliata per gli individui che soffrono di epilessia perché potrebbe scatenare episodi convulsivi.[1]

Nel caso di pazienti già affetti da disturbi psichiatrici, invece, alcune evidenze hanno riscontrato che l’eccessivo dosaggio di carnitina, può aumentare la frequenza degli episodi turbolenti a cui sono normalmente soggetti[3].

Ecco perché è sempre importante chiedere il parere del proprio medico, prima dell’assunzione di qualsivoglia integratore e in particolar modo, nel caso di coloro che soffrono di particolari disturbi o che sono già in cura con altri farmaci[4].

Possibili interazioni con altri farmaci

La somministrazione di carnitina in contemporanea all’assunzione di medicinali quali la didanosina, la zalcitabina, la stavudina, l’acido valproico e loro analoghi o antibiotici, potrebbe rendere meno efficace l’effetto della stessa[3]. Tuttavia, per il momento, non esistono evidenze che suggeriscano possibili interazioni violente con alcun tipo di farmaco.

Referenze

  1. Carnitina: benefici, effetti collaterali, dosi e controindicazioni – Benessere 360.
  2. Flanagan JL et Al. – Role of carnitine in disease – Nutrition & Metabolism. 2010.
  3. Borgacci R – Carnitina: Cos’è e a Cosa Serve  – my Personal Trainer. 2020.
  4. Randi I – Carnitina: quando e come assumerla? – my Personal Trainer. 2021.
  5. Sadlon A, Murray MT- Carnitine – Science Direct. 2020.
  6. Tamai Y. et Al. – Branched-chain amino acids and l-carnitine attenuate lipotoxic hepatocellular damage in rat cirrhotic liver  – Elsevier. 2021.
  7. Coulter DL – Carnitine Deficiency – Science Direct. 2014.
  8. Jones P, Patel K, Rakheja D – Disorder: Carnitine transporter deficiency – Science Direct. 2020.
  9. Bene J, Hadzsiev K, Melegh B – Role of carnitine and its derivatives in the development and management of type 2 diabetes – Nutrition & Diabetes. 2018.
  10. Odle J, Adams SH, Vockley J – Carnitine | Advances in Nutrition – Oxford Academic. 2014.
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