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Carcharodon carcharias ed inquinamento in Sudafrica

La popolazione di squalo bianco (Carcharodon carcharias) in Sudafrica non raggiunge i 1000 individui, e questo è un dato poco incoraggiante già ad una scala di osservazione grossolana. Anche tenendo conto che si tratta di animali appartenenti alla categoria dei “grandi pelagici” e cioè di predatori che tipicamente vivono in mare aperto, ad elevata mobilità, non si tratta di un numero elevato nemmeno relativamente all’ampiezza dell’area di osservazione, in questo caso le acque sudafricane. La vulnerabilità di questi animali, tra vari fattori è anche da mettere in relazione con la loro posizione al termine della catena alimentare per via di un processo chiamato bioaccumulo, cioè la concentrazione progressivamente maggiore di sostanze tossiche assunte dall’ambiente con l’alimentazione.

Più si sale nella piramide ecologica, maggiore sarà il numero di prede che fanno da “intermediari” nel trasporto di sostanze tossiche  e quindi i predatori in cima sono i più adatti per gli studi ecotossicologici.

Ricerca

Un gruppo di ricercatori italiani, provenienti da diversi enti di ricerca (Università della Calabria , Università di Siena, Università di Stellenbosch e Aquarium Mondo Marino – Centro Studi Squali) ha elaborato un metodo non letale ed indolore per prelevare campioni di tessuto epidermico , intradermico e muscolare di squalo bianco in natura ed effettuare in laboratorio esami di biopsia finalizzati ad individuare e quantificare le concentrazioni dei più diffusi  contaminanti: gli idrocarburi policiclici aromatici, cioè il benzene ed affini, nonchè alcuni composti organici del cloro.

Questi inquinanti sono spia di intense attività industriali e agricole e questo è coerente con il fatto che il Sudafrica è un paese in via di sviluppo, oltre ad essere crocevia per il trasporto di petrolio dal Medioriente, lungo il Capo di Buona Speranza.

Analizzando campioni tessuto prelevati da 15 esemplari di Carcharodon carcharias, di entrambi i sessi, i risultati sono stati alquanto allarmati.

Le concentrazioni di contaminanti, infatti, sono molto più alte rispetto a quanto riscontrato finora in letteratura per la stessa specie, seppur in linea con i livelli riscontrati in altri grandi pelagici come il tonno, il pesce spada ed altre specie di squali. In particolare, per quanto attiene ai composti organici del cloro, il “top scorer ” è il DDT.

Questo dato è stato messo in relazione, data la persistenza nell’ambiente, con una precedente campagna intensiva di disinfestazione contro la zanzara Anopheles responsabile della trasmissione della malaria.

Andando un pò più a fondo rispetto alle ovvie deduzioni che si possono fare leggendo queste righe, lo studio evidenzia e dimostra scientificamente che il danno derivato è molto più grave e impattante sul lungo termine, di quanto si possa pensare in merito alla risaputa nocività della presenza di inquinanti industriali nei mari.

Le sostanze prese in esame sono caratteristicamente noti in chimica e in biologia come degli interferenti endocrini. Agiscono cioè come estrogenici e anti-androgenici, influenzando negativamente le capacità riproduttive soprattutto dei maschi (le femmine “scaricano” parte del contenuto tossico attraverso la deposizione).

L’alterazione del bilancio ormonale ricade sia sul comportamento che sul successo riproduttivo e quindi la specie oltre alle insidie quotidiane deve anche fronteggiare una nuova invisibile, inarrestabile minaccia alla sopravvivenza della specie.

Non si tratta più di sopravvivenza del più adatto, la lotta si fa impari e non c’è partita, a meno di un decisivo cambio di rotta nella scelta dei modelli di sviluppo.

Se finora abbiamo solo pensato distrattamente e un po’ passivamente al fatto che i mari sono inquinati, adesso siamo di fronte ad un dato puntuale: non è solo una generica questione ambientalista ma una realtà precisa e definita che avrà effetti devastanti sulla realtà che ci attende. La ricerca citata in questo articolo è stata condotta sullo squalo bianco, ma come accennato, i risultati sono comparabili con quelli effettuati su altri grandi pelagici, come il tonno e il pesce spada, che superfluo dire, sono sulle nostre tavole. Questa inquietante consapevolezza dovrebbe costituire un invito all’azione per modificare il futuro verso un mondo più auspicabile.

fonte: Marsili et al., Expert Opin Environ Biol 2016, 4:1

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