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Biorisanamento

L’aspetto più affascinante della Terra è che, sebbene sia continuamente colpita dall’eccessivo inquinamento antropico, riesce sempre a sorprendere per lo spirito di adattamento di molti organismi viventi, soprattutto microrganismi. I batteri infatti hanno la grande capacità di acclimatarsi ai più disparati ambienti, anche quelli che pullulano di sostanze inquinanti, dannose e tossiche per la maggior parte degli ecosistemi presenti.

Cos’è il biorisanamento?

Il biorisanamento ha come scopo quello di sfruttare e migliorare le capacità di questi microrganismi per degradare contaminanti ambientali, evitando di utilizzare metodologie di risanamento più impattanti e dispendiose, sia dal punto di vista energetico sia economico.

Tecniche di biorisanamento

Le tecniche di biorisanamento vengono innanzitutto classificate in base al luogo in cui può avvenire la depurazione del contaminate. In particolare, le tecniche si distinguono in:

  • in situ, dove il contaminante viene trattato direttamente sul luogo da depurare, utilizzando microrganismi autoctoni o selezionati in laboratorio. Di solito, questa tecnica apporta diversi vantaggi, come evitare il trasporto di contaminanti e avere un impatto ambientale minimo;
  • ex situ, dove la depurazione avviene lontano dal luogo contaminato, attraverso l’utilizzo di sistemi ingegnerizzati, come i bioreattori.

In secondo luogo, le tecniche di biorisanamento vengono scelte in base all’inquinante da trattare e ai relativi metabolismi dei batteri in grado di degradarli. Nonostante siano state proposte diverse modalità di risanamento biologico per la rimozione di svariate sostanze tossiche, in questo articolo andremo ad esaminare in linea generale la degradazione di tre principali inquinanti: metalli pesanti, idrocarburi e composti clorurati.

Biorisanamento dei metalli pesanti

Le modalità biologiche di risanamento di siti contaminati da metalli pesanti sono strettamente legate al tipo di matrice ambientale contaminata, sia essa suolo o acqua.

Per suoli contaminati, è spesso  utilizzata la tecnica del bioleaching (biolisciviazione), in cui si sfrutta la capacità di molti microrganismi di trasformare composti solidi in elementi solubili, che diventano così facilmente estraibili ed eliminabili. In particolare, è stato visto che il batterio Acidithiobacillus ferrooxidans è in grado di lisciviare minerali contenenti solfuri di ferro, rame e arsenico, ossidando i solfuri e liberando così i metalli in essi contenuti.

Acque contaminate da metalli pesanti, invece, possono essere trattate con tecniche di biosorption (bioadsorbimento), che prevede la formazione di composti insolubili sulla superficie della cellula batterica e la loro successiva precipitazione. In questo caso, fra i batteri capaci di adsorbimento si ricordano Gallionella ferruginea Leptothrix ochracea, batteri mangano- e ferro-ossidanti in grado di mediare la co-precipitazione di ferro e manganese insieme ad altri metalli pesanti, come l’arsenico.

Biorisanamento degli idrocarburi

Gli inquinanti organici, in genere, possono essere degradati completamente dai microrganismi e, in condizioni di respirazione aerobica, ridotti ad anidride carbonica. Questo è quello che accade per il petrolio: piccoli sversamenti accidentali di petrolio, a causa della naturale percolazione di esso dal terreno, hanno permesso a molti microrganismi di sviluppare processi catabolici necessari a degradarlo, al fine di ricavarne energia e materia organica.

In condizioni aerobiche, la degradazione di idrocarburi da parte dei batteri avviene in modo più efficace e in tempi relativamente brevi; questo perché la presenza di ossigeno permette alle ossigenasi di svolgere il loro ruolo di introduzione di atomi di ossigeno nelle molecole degli idrocarburi.

L’inquinamento su piccola scala da idrocarburi è piuttosto frequente in ecosistemi acquatici e terrestri: in questi casi i microrganismi idrocarburo-ossidanti si sviluppano rapidamente sulle chiazze di petrolio e la degradazione procede a ritmi elevati se la temperatura è abbastanza alta e la quantità di componenti inorganici è sufficiente. Tali batteri mostrano inoltre metabolismi piuttosto specializzati, come ad esempio Alcanivorax borkumensis, in grado di utilizzare solo idrocarburi, acidi grassi e piruvato.

Nel caso di veri e propri disastri ambientali, con versamenti di grande quantità nell’ambiente, il biorisanamento deve essere stimolato attraverso l’aggiunta di nutrienti inorganici e il raggiungimento di condizioni ideali permette alla comunità microbica di ossidare più dell’80% dei composti idrocarburici non volatili nel giro di un anno. Tuttavia, alcune frazioni del petrolio (idrocarburi a catena ramificata o i policiclici aromatici) sono recalcitranti alla degradazione microbica e possono permanere nell’ambiente anche per tempi più lunghi. Ciò comporta che il petrolio, raggiungendo i sedimenti, venga degradato ancora più a lungo termine, avendo un impatto ambientale notevole.

Biorisanamento di composti clorurati

A differenza degli idrocarburi, molte sostanze chimiche immesse con l’attività antropica non sono mai state presenti nel passato. Diverse sono le sostanze xenobiotiche ad oggi utilizzate e fra queste si annoverano i pesticidi, i policlorobifenili (PCB), i coloranti ed i solventi clorurati. In questo paragrafo tratteremo proprio quelle sostanze xenobiotiche contenenti cloro e della loro possibile degradazione biologica.

L’inquinamento da composti clorurati è dovuto ad un eccessivo utilizzo come solventi, in campo civile ed industriale (sgrassaggio di superfici metalliche, smacchiatore di tessuti, lavorazione di gomme, plastica, carte e vernici) e come pesticidi, soprattutto in campo agricolo. La pericolosità, in particolar modo dei solventi clorurati, è quella di depositarsi sul fondo delle falde acquifere (avendo una densità maggiore rispetto a quella dell’acqua), rendendole così inutilizzabili come risorsa idrica.

Un processo fondamentale per la loro degradazione è la declorurazione. Esistono batteri appartenenti al genere Burkholderia in grado di declorurare il pesticida 2,4,5-T (acido-2,4,5-triclorofenossiacetico), in condizioni aerobiche. Avvenuta la declorurazione, una diossigenasi apre l’anello aromatico, producendo composti che entrano nel ciclo degli acidi tricarbossilici e producono energia. Esiste anche una declorurazione riduttiva, che  consente rapidamente di sviluppare condizioni anossiche in habitat inquinati. Durante questa reazione, i composti clorurati fungono da accettori finali di elettroni e, una volta ridotti, liberano ioni cloro, non tossici.

Conclusioni

Le modalità biologiche di risanamento si dimostrano essere una  potenzialità ma anche un’alternativa efficiente nel campo del risanamento sostenibile, cercando di sfruttare e migliorare, attraverso studi e analisi di costo beneficio, ingegneria genetica ed ecologia microbica, le capacità dei “migliori chimici” che la Terra ci ha dato a disposizione.

Fonti

  • Brock – Microbiologia dei Microrganismi. Pearson, XIV ediz.
  • Sofo Adriano – Tecniche di biorisanamento in situ ed ex situ, con particolare riferimento alla biodegradazione in siti contaminati da idrocarburi. Sofo, I edizione, 2013
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