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Bioluminescenza del plancton

Cosa si nasconde dietro l’affascinante fenomeno della bioluminescenza del plancton marino?

Molti organismi viventi sono in grado di emettere luce grazie ad alcune reazioni chimiche che avvengono nel loro corpo. Tra le manifestazioni più spettacolari di questo fenomeno vi è la bioluminescenza del plancton marino.

Bioluminescenza: istruzioni per l’uso

Per bioluminescenza si intende la capacità di alcuni organismi viventi di emettere luce. Questa caratteristica è dovuta ad alcune reazioni chimiche che avvengono all’interno del corpo degli individui grazie ad un enzima, cioè ad una proteina capace di fare avvenire una reazione che altrimenti non avrebbe luogo oppure di velocizzarla. L’enzima responsabile della bioluminescenza si chiama luciferasi e, in presenza di ossigeno, favorisce l’ossidazione di una molecola, chiamata luciferina, grazie all’impiego di energia. La luciferina ossidata è però una molecola instabile, che decade velocemente al suo stato originario, emettendo luce.

In realtà parlare di luciferina e luciferasi, al singolare, non è del tutto corretto. La bioluminescenza infatti è comparsa in maniera indipendente in più linee evolutive, quindi esistono diverse luciferine e diverse luciferasi a seconda del gruppo di esseri viventi considerato. In natura potremo quindi trovare, ad esempio, la luciferasi di lucciola, diversa dalla luciferasi di un certo genere di crostacei, a sua volta diversa dalla luciferasi dei batteri del genere Vibrio. Lo stesso vale per le luciferine che, a seconda della loro conformazione molecolare, emettono luce di colori diversi.

Non dobbiamo stupirci di sentir parlare di crostacei e batteri: sebbene alcuni organismi bioluminescenti siano molto conosciuti, come le lucciole o la rana pescatrice, esistono infatti moltissime altre forme di vita luminose meno note, terrestri ma soprattutto acquatiche, tra le quali naturalmente troviamo anche alcuni componenti del plancton.

A questo punto, prima di andare avanti, dobbiamo porci una domanda fondamentale.

Che cos’è il plancton?

Sin da bambini ci viene insegnato che tantissimi piccoli organismi vivono nel mare e che sono il piatto preferito delle balene. Ma che cos’è veramente il plancton?

Tutti gli organismi incapaci di nuotare attivamente compongono il plancton, al di là della loro dimensione e della loro distribuzione all’interno della colonna d’acqua. Esso quindi è un insieme eterogeneo di esseri viventi, accomunati dalla sola caratteristica di non essere in grado di opporsi al moto ondoso e alle correnti.

Le specie che formano il plancton variano a seconda che ci si trovi in acqua salata o in acqua dolce ed in base all’area geografica considerata. In generale possiamo trovarvi sia organismi animali, come larve di pesci, anellidi, celenterati, crostacei, molluschi e protozoi, sia organismi vegetali, alghe, funghi, batteri e virus. Questa ricca biodiversità è di fondamentale importanza per l’equilibrio di molti ecosistemi, essendo la base di diverse catene trofiche che coinvolgono specie animali sia acquatiche sia terrestri.

Ma il plancton, oltre che utile, sa essere anche molto bello. Come? Brillando nel buio.

Un mare di stelle

Il plancton bioluminescente è diffuso in tutti i mari del mondo e nelle giuste condizioni dà luogo ad uno spettacolo davvero sorprendente. Gli organismi planctonici in grado di emettere luce però non sono tutti uguali.

Un interessante esempio è quello dei batteri dei generi Photobacterium e Vibrio e della loro bioluminescenza basata sul “quorum sensing”. Questo meccanismo di regolazione prevede che l’emissione di luce inizi solo quando i batteri raggiungono una certa concentrazione soglia e la loro luminosità sarà tanto più intensa quanto più i batteri saranno vicini tra loro. Questa caratteristica dà luogo al fenomeno chiamato “milky sea”, durante il quale la superficie del mare diventa tanto luminosa da sembrare lattiginosa ed essere rilevata addirittura dai satelliti.

Fanno parte del plancton bioluminescente anche i dinoflagellati, alghe unicellulari molto diffuse, come le specie del genere Noctiluca. In questo caso però la luce viene emessa a causa di uno stimolo meccanico, ad esempio il moto ondoso, l’onda d’urto della chiglia di una nave in marcia oppure il movimento di altri organismi che nuotano nelle vicinanze.

Esemplare di Noctiluca scintillans che esprime la propria bioluminescenza al buio (foto di Proyecto Agua https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0)

Il fenomeno è molto affascinante, eppure la motivazione per cui è inizialmente comparso negli esseri viventi è molto poco romantica, visto che i ricercatori ipotizzano che l’emissione di luce sia nata come prodotto di scarto della reazione catalizzata dalla luciferasi. Pare infatti che questa reazione avesse innanzitutto una funzione antiossidante, volta cioè ad eliminare l’ossigeno dalle cellule. L’emissione di luce è nata quindi come “effetto collaterale”.

Nel corso del tempo, tuttavia, gli organismi hanno sviluppato diverse tecniche molto efficienti per rimuovere l’ossigeno cellulare. Attualmente quindi non sussistono più le condizioni che rendono necessaria la funzione antiossidante della reazione della luciferasi: le motivazioni che hanno portato alla conservazione di questo meccanismo sono da ricercare altrove.

Il vantaggio di brillare nel buio

Immedesimiamoci per un attimo in un organismo che galleggia nel buio della vasta notte oceanica e che è sul menù di una moltitudine di animali: per quale ragione dovrebbe essere un vantaggio rendersi ben visibile emettendo luce?

Sembrerebbe davvero un paradosso, eppure questa caratteristica è stata selezionata dall’evoluzione, segno che possederla è un’arma in più nella lotta per la sopravvivenza. Oltretutto emettere luce comporta un certo dispendio energetico, poiché l’enzima luciferasi necessita di energia per funzionare: se non ci fosse un vantaggio sicuramente non sarebbe quindi una caratteristica da conservare. Gli studi in questo campo non sono molti e la possibilità di nuove scoperte in ambito scientifico è sempre aperta. Tuttavia gli studiosi hanno elaborato due ipotesi principali che cercano di risolvere questo dilemma.

Innanzitutto l’intensità di un lampo luminoso nella notte sembra infastidire i predatori, distogliendoli dall’intento di un buon pasto a base di plancton. Diversi studi hanno dimostrato il comportamento fotofobico di vari predatori planctonici e studi specifici svolti sui dinoflagellati hanno mostrato che maggiore è l’intensità della luce emessa, minore è la probabilità di venire divorati.

Un altro buon motivo per brillare nel buio è il cosiddetto “burglar alarm”, cioè “effetto antifurto”. Diversi studi scientifici dimostrano che illuminando un predatore lo si rende visibile a predatori di un livello trofico successivo, mettendolo in pericolo e quindi in fuga. In poche parole “pesce grande mangia pesce piccolo”… soprattutto se c’è qualcuno ad illuminarlo!

Conclusione

Forse può sembrare sorprendente che all’interno del plancton ci sia un mondo fatto di prede e predatori, di elaborate tecniche di sopravvivenza e manovre diversive, di organismi capaci di accendersi come microscopiche lampadine. Eppure è proprio così: anche qualcosa di molto piccolo può riservare autentiche sorprese.

Benché il funzionamento cellulare della reazione di bioluminescenza sia stato chiarito da tempo, molto potrebbe ancora essere fatto per approfondire la conoscenza dei suoi meccanismi di controllo e di come si sono evoluti nel tempo.

In futuro quindi potremmo fare ancora più chiarezza su questo fenomeno tanto affascinante. Nel frattempo, ammirandolo e pensando a ciò che ci sta dietro, magari non guarderemo più al plancton solo come cibo per balene.

Bibliografia

  • K. G. Porter, J. W. Porter, Bioluminescence in marine plancton: a coevolved antipredation system, 1979
  • M. Valiadi, D. Iglesias-Rodríguez, Understanding bioluminescence in dynoflagellates – How far have we come? 2013
  • S. H. D. Haddock, M. A, Moline, J. F. Case, Bioluminescence in the sea, 2010
  • National Geographic, marzo 2015

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