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Biocapacità

La capacità della Terra di fornirci le sue risorse

Immaginare la Terra come un sistema finito e non inesauribile risulta alquanto complicato osservando dalla scala umana ciò che ci circonda: la quantità di risorse che il Pianeta è in grado di fornici sembrerebbe incommensurabile agli occhi di un singolo essere umano. Eppure, allargando leggermente l’orizzonte e considerandoci non più come singoli, ma come una specie di miliardi di individui sparsi per tutto il globo, ecco che tutto cambia. Siamo proprio noi la specie animale che si è rivelata in grado di mettere in crisi la capacità portante della Terra: non solo consumiamo più risorse di ogni altra specie, ma non concediamo neanche il giusto tempo al sistema di rigenerarsi, secondo degli equilibri che hanno impiegato milioni di anni per perfezionarsi. È davanti a questa evidenza che la nostra società si è posta il problema di iniziare a monitorare il rinnovamento delle risorse terrestri in risposta alle nostre richieste. A tal proposito, sono stati sviluppati degli indicatori di sviluppo sostenibile: se l’impronta ecologica misura la nostra domanda di beni naturali, la biocapacità ne misura l’offerta.

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Definizione di biocapacità

La biocapacità, o capacità biologica, è un indicatore di sostenibilità ambientale applicabile ad un dato territorio per stimare i servizi ecosistemici che quel territorio è in grado di erogare. La biocapacità rappresenta dunque la produzione (principalmente biologica) di risorse naturali da parte degli ecosistemi; a questo si aggiunge poi la loro capacità di rinnovare ciclicamente tali beni e di assorbire i rifiuti derivanti dalle attività antropiche.

Da questa prima definizione risulta immediato comprendere come una porzione di territorio che ospita dei sistemi naturali altamente conservati presenti un’elevata biocapacità. Ma non è tutto qui. Sappiamo per certo che l’impronta ecologica è un indicatore altamente mutabile nel tempo, dal momento che dipende strettamente dalle attività e dai consumi umani: ciò è vero anche per la biocapacità. La biocapacità, infatti, rappresenta non solo la portata dei servizi ecosistemici direttamente erogabili in un preciso momento, ma anche la loro capacità di rinnovarsi[1, 2].

Calcolare la biocapacità

La biocapacità, esattamente come l’impronta ecologica (indicatore a cui è sempre associata negli studi relativi alla sostenibilità ambientale), è calcolata come una misura spaziale. Anch’essa, infatti, così come l’impronta ecologica, è espressa in ettari globali (Gha), ovvero l’area bioproduttiva totale della regione che si sta considerando; in altre parole, la biocapacità è una misura dell’area effettivamente disponibile per il rinnovamento delle risorse da parte degli ecosistemi naturali.

A differenza dell’impronta ecologica, però, la biocapacità è sempre normalizzata rispetto alla capacità biologica globale; ad esempio, quindi, per stimare la bontà del capitale naturale di una città, di una regione o di uno Stato, è necessario confrontarla con lo stato bioproduttivo complessivo della Terra.

Per sintetizzare un’informazione tanto complessa in un singolo valore numerico è necessario conoscere approfonditamente i fattori che influenzano la produttività biologica[2]. Ma come si giunge a questo numero?

L’indicatore di biocapacità (BC) è la somma del risultato di una semplice moltiplicazione di tre fattori, espressa con la seguente equazione:

biocapacità equazione

Cerchiamo di capire il significato di questi fattori e perché il risultato finale è una misura spaziale espressa in ettari globali.

Il primo termine della moltiplicazione, ANi, rappresenta l’area complessiva di una data regione, la quale è disponibile per fornire un determinato prodotto (o servizio) “i”.

Il termine YFi rappresenta il fattore di resa (yield factor), il quale è ricavato specificatamente per ogni Paese e tiene conto della capacità di rinnovare le risorse biologiche, a seconda del tipo di uso e di copertura del suolo. Questo fattore è influenzato sia da fattori naturali, come il clima e la qualità pedologica, ossia le caratteristiche chimiche e fisiche del suolo, ma anche da determinanti antropiche, come l’intensità dello sfruttamento del suolo (nel caso di aree agricole) e del grado di urbanizzazione e cementificazione.

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Infine, il termine EQF indica il fattore equivalente (Equivalent Factor), che varia ogni anno assieme al cambiamento della copertura e dell’uso del suolo. Esso è uguale per ogni Paese e rappresenta il fattore di normalizzazione per le varie tipologie di uso del suolo in confronto alle stime globali[2].

Risulta ora immediato comprendere come moltiplicando un’area per due coefficienti ricavati separatamente si ottenga proprio un’unità di misura spaziale.

Quali elementi influenzano la biocapacità?

Come si è potuto evincere dalla formulazione matematica della capacità biologica, essa dipende essenzialmente da quanto spazio è lasciato alla natura per la propria produzione primaria. La produzione primaria rappresenta la sintesi di sostanza organica nel processo di fotosintesi ed è pertanto un processo alla base del funzionamento degli ecosistemi: da essa dipende il flusso di energia all’interno dell’ecosistema e tutti i servizi ecologici che ne derivano[1, 3].

Il calcolo della biocapacità tiene conto del variare della produzione primaria potenziale a seconda della copertura del suolo, in quanto essa influenza la diversa capacità di smaltire i rifiuti prodotti dalle attività umane, di supportare le comunità biologiche che compongono la biosfera e di rinnovare le risorse di un territorio.

Ovviamente, un’area forestale presenterà una produttività intrinsecamente differente da una prateria, da un campo coltivato o addirittura da un ecosistema marino. Questa differenza è cruciale nel calcolo finale della biocapacità, in quanto la sostenibilità delle produzioni umane è relativa alla ripartizione territoriale delle diverse tipologie bioproduttive. Se, per esempio, consideriamo le emissioni di anidride carbonica prodotte dal sistema agroindustriale di un dato Paese, tale produzione di rifiuti potrà essere facilmente compensata da un’area altamente bioproduttiva e sufficientemente estesa da immagazzinare il carbonio equivalente a quello prodotto dalle attività umane[2, 3].

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Dalla biocapacità al carico ecologico

Il fatto che la biocapacità sia misurata in ettari globali può sembrare una semplice minuziosità tecnica, mentre in realtà rappresenta una caratteristica molto importante: avere un indicatore espresso in ettari globali permette non solo di rapportare il dato all’estensione del territorio considerato, ma soprattutto di confrontare il dato con l’impronta ecologica e ricavare il cosiddetto carico ecologico. Il carico ecologico non è altro che la differenza tra la biocapacità e l’impronta ecologica; tale calcolo viene effettuato per evidenziare un eventuale deficit o surplus ecologico[1-3].

Prendiamo ad esempio i dati relativi al Canada e agli Stati Uniti del 2016: entrambi i Paesi presentavano un’impronta ecologica pro capite di 8,1 Gha, ma un carico ecologico completamente differente; infatti, mentre gli Stati Uniti si trovano nella condizione di consumare più capitale naturale di quello che gli ecosistemi erano in grado di rinnovare (deficit di -4,6 Gha), il Canada mostrava un surplus di +6,9 Gha. Ciò è dovuto naturalmente alla differenza di biocapacità tra i due Stati: la capacità del Canada di rinnovare le risorse biologiche è data in grandissima parte dalla qualità e dall’estensione delle sue aree forestali, le quali forniscono l’importantissimo servizio ecosistemico di cattura e stoccaggio di anidride carbonica[1-3].

Distribuzione globale della biocapacità

Se si pensa alla distribuzione dei vari biomi sulla Terra si intuisce facilmente che la ripartizione globale della biocapacità non possa essere omogenea. Infatti, non tutti i Paesi del mondo possono vantare estensioni forestali importanti come quelle della foresta pluviale in Amazzonia o delle grandi foreste boreali del Nord America e dell’Eurasia. Perciò, quando si parla di sostenibilità ambientale, è bene considerare sempre la realtà bioclimatica di una data zona, in modo tale da poter distinguere la perdita di capacità bioproduttiva per mano dell’uomo dalle effettive possibilità delle varie ecoregioni.

Ciò che invece necessita di particolare attenzione è lo stato di conservazione che il capitale naturale presenta all’interno dei confini politici dei vari stati. Nella top 3 dei Paesi più bioproduttivi del Pianeta risaltano infatti i due stati con la più alta impronta ecologica totale della Terra: Cina e Stati Uniti.

Un metodo efficace per tenere conto dei principali pozzi che risucchiano la maggior parte delle risorse biologiche è quello di considerare la distribuzione delle popolazioni umane e ricorrere alla biocapacità pro capite. Facendo questa operazione, ovvero dividendo gli ettari globali bioproduttivi per la popolazione, è possibile evincere quali aree del Pianeta preservino maggiormente le risorse naturali.

La biocapacità pro capite più alta appartiene ai paesi socio-economicamente poco sviluppati e la cui realtà economica è immersa in veri e propri reattori verdi: sono degli esempi alcuni stati del Sud America, quali Guyana, Suriname e Bolivia, ma anche i Paesi delle foreste centrafricane, tra cui Gabon e Congo.

Tra i paesi maggiormente sviluppati spiccano invece gli stati che presentano da diverso tempo piani ottimizzati di gestione delle risorse e quindi in grado di garantire il mantenimento e il rinnovo del capitale naturale. Tra questi vi sono la Finlandia e il Canada, ma anche l’Australia, data la sua bassa densità abitativa rispetto all’area totale dell’isola[1, 3, 4].

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Impronta ecologica misurata in numero Terraein relazione all’indice di sviluppo umano e alla biocapacità mondiale (2017). Per “numero di Terre” si intende quanti pianeti Terra sarebbero necessari per soddisfare pienamente le richieste in termini di risorse di ogni singolo Paese. Da notare nel grafico come quasi nessuno stato del mondo rientri in uno scenario di sviluppo completamente sostenibile: i Paesi che presentano un elevato indice di sviluppo umano (come l’Europa e il Nord America) tendono a consumare molte più risorse di quelle che la Terra è effettivamente in grado di fornire, mentre gli Stati che si ritrovano con valori di “consumo” inferiori alla biodisponibilità globale soffrono di uno scarso tasso di sviluppo umano (in particolare l’Africa, alcuni paesi asiatici e sud americani). (da [1])

Conclusioni

La produzione di informazioni sintetiche, attraverso l’applicazione di indicatori come la biocapacità, ha l’intento di indirizzare le politiche globali verso scelte di sviluppo sostenibile. La biocapacità e l’impronta ecologica sono state sviluppate proprio per evidenziare l’efficienza della gestione del territorio nel preservare il capitale naturale. È evidente che siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di questo equilibrio: il trend globale mostra un continuo declino delle risorse naturali, a fronte di un sempre più frenetico consumo che non tiene conto delle conseguenze. Per questo motivo è importante tornare a considerarci come parte di un sistema da cui non possiamo scinderci e, se il Pianeta non riuscisse più a ristabilire il proprio equilibrio, i primi a risentirne saremmo proprio noi esseri umani.

Referenze

  1.  Global Footprint Network Database;
  2. Borucke, M., et al. (2013). Accounting for demand and supply of the biosphere’s regenerative capacity: The National Footprint Accounts’ underlying methodology and framework. Ecological indicators24, 518-533;
  3. Sarkodie, S. A. (2021). Environmental performance, biocapacity, carbon & ecological footprint of nations: Drivers, trends and mitigation options. Science of the Total Environment751, 141912;
  4. Niccolucci, V., et al. (2012). Biocapacity vs Ecological Footprint of world regions: A geopolitical interpretation. Ecological Indicators16, 23-30.

Immagine di copertina da hippopx.com.

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