La Community italiana per le Scienze della Vita

Avvelenamento da radiazioni

L’avvelenamento da radiazioni è un tipo di avvelenamento che si sviluppa in seguito all’esposizione ad una fonte di radiazioni. Se si subisce un avvelenamento da radiazioni, si può sviluppare la sindrome acuta da radiazioni (SAR): un insieme di manifestazioni cliniche che insorgono in seguito all’esposizione di diverse zone del corpo.

Nel Sistema Internazionale le unità di misura utilizzate in questo campo sono il Gray (Gy) e il Sievert (Sv). Il Gy indica la dose assorbita di radiazione, per cui vale l’equivalenza 1 Gy = 100 rad, la vecchia unità di misura sostituita nel 1940.

Per capire l’effetto della dose di radiazione ricevuta da un tessuto biologico si moltiplica il numero di rad per un “fattore di qualità” dato dal tipo di radiazione ionizzante e dalle caratteristiche biologiche del tessuto o dell’organismo esposto, ottenendo la “dose equivalente”. La dose equivalente è una grandezza fisica che misura il danno biologico delle radiazioni assorbite, con il rem come unità di misura. Nel Sistema Internazionale, 100 rem = 1 Sv[4].

In cosa consiste l’avvelenamento da radiazioni?

Gli effetti negativi dovuti all’esposizione alla radioattività dipendono da come avviene il contatto con la fonte radioattiva. In caso di contaminazione, il materiale radioattivo viene trattenuto dal corpo, rendendo la persona contaminata, a sua volta, radioattiva. Questo è il caso delle ragazze del radio[1], in cui fu possibile stabilire la quantità di radio depositatosi nei loro corpi misurando a livello polmonare, durante l’espirazione, la quantità di un elemento che deriva dal decadimento alfa del radio, il radon[2].

Nel caso dell’irradiazione, invece, il corpo subisce l’effetto delle radiazioni emesse da una fonte. L’irradiazione termina quando la fonte viene rimossa e la persona coinvolta non diventa a sua volta radioattiva. Nel caso di esposizione totale del corpo ad elevati livelli di radiazione la persona colpita può sviluppare sintomi da irradiamento (es. SAR, sindrome acuta da radiazioni), mentre l’esposizione locale durante diversi tipi di procedure mediche comporta effetti sulla parte colpita (es. terapia contro il cancro)[4].

La gravità del danno da radiazioni dipende dalla dose e dal periodo di tempo durante il quale viene erogato. Una dose elevata, singola e rapida, è più dannosa della stessa dose somministrata per settimane o mesi; la risposta alla dose dipende anche dalla frazione del corpo esposta.

Avvelenamento da radiazioni dal punto di vista medico

Fisiopatologia

Le radiazioni ionizzanti (radiazioni ad alta energia, es. raggi gamma) possono danneggiare direttamente DNA, RNA e proteine, ma nella maggior parte dei casi il danno a queste molecole è indiretto. Le radiazioni agiscono sulle molecole d’acqua presenti nei tessuti, causando la formazione di radicali liberi altamente reattivi (ROS) che vanno poi a danneggiare le molecole biologiche.

Elevate dosi di radiazioni possono causare direttamente la morte cellulare, mentre dosi basse possono interferire con i sistemi di riparazione molecolare endogena, l’omeostasi e la proliferazione cellulare. Il danno a questi e ad altri sistemi cellulari può provocare ipoplasia tissutale progressiva, atrofia e infine fibrosi. Oltre alla morte cellulare, si hanno poi varie reazioni tissutali, tra cui reazioni infiammatorie, ossidative e immunitarie, nonché danni al sistema vascolare e alla matrice extracellulare.

In generale, le prime reazioni si hanno nei tessuti ad elevato ricambio cellulare, come nella pelle e nel tratto gastrointestinale. I danni comportano la morte delle cellule staminali e progenitrici precoci nel tessuto, rendendo quindi impossibile la maturazione delle cellule che vanno a sostituire quelle senescenti o quelle morte in seguito all’esposizione alla radiazione. Le reazioni tardive (es. nei polmoni, nei reni e nel cervello) coinvolgono interazioni complesse tra più tipi di cellule e includono l’infiltrazione di cellule immunitarie, la produzione di citochine e fattori di crescita, spesso persistenti, cascate cicliche e stress ossidativo cronico[4].

Fattori che influiscono sulla risposta

Siccome cellule e tessuti diversi hanno radiosensibilità differenti, la risposta biologica alle radiazioni varia con: 

  • radiosensibilità tissutale;
  • dose e tasso di dose;  
  • durata dell’esposizione;
  • grado di risposta infiammatoria;
  • età del paziente;
  • comorbidità;
  • presenza di disturbi che causano difetti nella riparazione del DNA genetico (es. atassia-teleangectasia, sindrome di Bloom, anemia di Fanconi).

In generale, le cellule indifferenziate e quelle che hanno tassi mitotici elevati (es. cellule staminali e tumorali) sono particolarmente vulnerabili alle radiazioni, mentre le cellule mature sono più resistenti. A causa di questa diversa vulnerabilità, nello sviluppo dei sintomi da avvelenamento da radiazioni si nota un periodo di latenza tra l’esposizione alle radiazioni e il danno evidente. La lesione non si manifesta fino a quando una parte significativa delle cellule mature muore per senescenza naturale e, a causa della perdita di cellule staminali, non viene sostituita[4].

Sensibilità cellulare e tissutale

Le cellule più sensibili, in ordine decrescente di sensibilità, sono quelle[4]:

  •  linfoidi;
  •  germinali;
  • cellule del midollo osseo in proliferazione;
  • epiteliali intestinali;
  • staminali epidermiche;
  • epatiche;
  • quelle dell’epitelio degli alveoli polmonari e delle vie biliari;
  • epiteliali renali;
  • endoteliali (pleura e peritoneo);
  • cellule del tessuto connettivo;
  • ossee;
  • muscolari, cerebrali e del midollo spinale.

Ci sono altri fattori che possono incidere sulla sensibilità alle radiazioni: i bambini, per esempio, sono più suscettibili perché hanno un più alto tasso di proliferazione cellulare; anche disturbi come il diabete e problemi del tessuto connettivo possono influire.

L’assunzione di alcuni farmaci e agenti chemioterapici (es. actinomicina D, doxorubicina, bleomicina, 5-fluorouracile, metotrexato) può aumentare la sensibilità. Alcuni agenti chemioterapici (es.  doxorubicina, etoposide, paclitaxel, epirubicina), antibiotici (es. cefotetan), statine (es. simvastatina) e preparati a base di erbe possono aumentare la sensibilità al danno da radiazioni e produrre una reazione cutanea infiammatoria nel sito di precedente irradiazione (richiamo da radiazioni) settimane o anni dopo l’esposizione nello stesso luogo[4].

Sintomatologia

La sindrome acuta da radiazioni (SAR) può far sviluppare diverse sintomatologie nel soggetto esposto, in base alla quantità delle radiazioni ricevuta, al tempo di esposizione del soggetto e la zona che ha ricevuto l’irradiamento.

I primi sintomi (fase prodromica) che si manifestano e che possono durare da qualche ora a qualche giorno sono:

  • diarrea;
  • nausea;
  • vomito;
  • anoressia;
  • eritema.

A questa fase ne segue una latente, in cui i pazienti sembrano ristabilirsi per alcuni giorni.

In base alla dose dell’irradiamento, poi, il terzo stadio (malattia manifesta) vede lo sviluppo di tre tipologie di sindromi:

  1.  nervosa (> 30 Gy, da 10 Gy);
  2.  gastrointestinale (30 – 6 Gy);
  3.  ematopoietica (< 6 Gy).

La prima è la più severa ed è sempre fatale, mentre le altre lo sono per la maggior parte a causa dell’insorgere di complicazioni collegate alla malattia, come la disidratazione per disturbo elettrolitico o lo sviluppo di infezioni dovute al crollo del sistema immunitario. In tutti i casi lo spettro sintomatico dato dall’avvelenamento da radiazioni è estremamente ampio.

Oltre alla SAR, sul corpo del soggetto irradiato può svilupparsi la lesione cutanea da radiazioni, una lesione della pelle e dei tessuti sottostanti dovuta a dosi acute di radiazioni fino a 3 Gy. Il danno cutaneo da radiazioni può verificarsi con sindromi acute da radiazioni o con esposizione focale a radiazioni, e varia dall’eritema transitorio lieve alla necrosi.

Gli effetti ritardati (> 6 mesi dopo l’esposizione) includono iperpigmentazione e ipopigmentazione, fibrosi progressiva e teleangectasia diffusa. La pelle atrofica può essere facilmente danneggiata da un lieve trauma meccanico ed è a maggior rischio di sviluppare il carcinoma a cellule squamose[4].

Gli effetti intermedi derivanti da un’esposizione prolungata o ripetuta a basse dosi di radiazioni da una varietà di fonti possono produrre assenza di mestruazioni (amenorrea), diminuzione della fertilità in entrambi i sessi, diminuzione della libido nella donna, anemia, diminuzione dei globuli bianchi (leucopenia), diminuzione delle piastrine (trombocitopenia), arrossamento della pelle (eritema) e cataratta[5].

Effetti a lungo termine

Di norma, grandi dosi di radiazioni sono fonte di preoccupazione a causa dei loro effetti immediati sul corpo (somatiche), mentre basse dosi sono fonte di preoccupazione a causa dell’aumento del rischio di sviluppare effetti genetici tardivi e somatici a lungo termine.

Le radiazioni, infatti, causano mutazioni al genoma: a causa di esse anche nei soggetti sopravvissuti l’aumento della probabilità di sviluppare tumori e mielopatie è altamente significativo. Nel caso di un incidente in una centrale nucleare, isotopi radioattivi dello iodio possono essere rilasciati e contaminare l’ambiente, entrando nella catena alimentare. In particolare, l’assunzione di latte contaminato porta questo isotopo nella tiroide, aumentando la probabilità di sviluppare forme tumorali in questo organo.

L‘esposizione nell’utero può portare a effetti teratogeni, e se le mutazioni avvengono nel DNA delle cellule gametiche possono essere trasmesse alla generazione successiva, causando difetti genetici nella prole[5].

È stato dimostrato che il danno alle cellule riproduttive causa anomalie alla nascita nella progenie di animali gravemente irradiati. Tuttavia, non sono stati riscontrati effetti ereditari nei bambini di esseri umani esposti a basse dosi, compresi i figli di sopravvissuti alla bomba atomica giapponese o i figli di sopravvissuti al cancro trattati con radioterapia[4].

Leggi anche: Dsup – Una proteina difende i tardigradi dalle radiazioni e Deinococcus radiodurans: il batterio resistente alle radiazioni

Prevenzione e cura dell’avvelenamento da radiazioni

Nel caso in cui si abbia il sospetto di un’irradiazione, la diagnosi si basa su:

  • presenza di sintomi, di cui se ne osserva la gravità e la latenza;
  • conta linfocitaria assoluta seriale e livelli sierici di amilasi.

Quando si sospetta una contaminazione, invece:

  • l’intero corpo deve essere esaminato con una sonda Geiger-Muller a finestra sottile collegata a un misuratore di rilevamento (contatore Geiger) per identificare la posizione e l’entità della contaminazione esterna;
  • per rilevare una possibile contaminazione interna, le narici, le orecchie, la bocca e le ferite vengono pulite con tamponi inumiditi che vengono poi testati con il contatore; urina, feci e vomito vengono testati per la radioattività.

Prognosi

Con le cure mediche: l’LD-50/60 (dose che dovrebbe essere fatale per il 50% dei pazienti entro 60 giorni) è di 6 Gy. Pazienti occasionali sono sopravvissuti a esposizioni fino a 10 Gy, ma non oltre, dato che suggerisce una soglia di letalità. La prognosi peggiora in caso di lesioni, ustioni e comorbidità significative.

Senza cure mediche: la LD-50/60 per la radiazione di tutto il corpo è di circa 3 Gy; l’esposizione a 6 Gy è quasi sempre fatale. Quando l’esposizione è < 6 Gy, la sopravvivenza è possibile, ma è inversamente correlata alla dose totale. Ciò significa che il tempo alla morte diminuisce all’aumentare della dose.

La morte può verificarsi da poche ore a pochi giorni nei pazienti con sindrome cerebrovascolare, e da 2 giorni a diverse settimane nei pazienti con sindrome gastrointestinale. Il collasso dei sistemi avviene quando non sussiste il ricambio di nuove cellule nei tessuti danneggiati perché distrutte dall’esposizione alle radiazioni.

Nei pazienti con sindrome ematopoietica, la morte può verificarsi entro 4-8 settimane a causa del sopraggiungere di un’infezione o di una massiccia emorragia. I pazienti esposti su tutto il corpo < 2 Gy possono riprendersi completamente entro un mese, sebbene possano verificarsi sequele a lungo termine (es. cancro)[4].

Trattamento dell’avvelenamento da radiazioni

Se si ha a che fare con un soggetto esposto alle radiazioni, la priorità va al trattamento di gravi lesioni traumatiche (es. da ustioni, esplosioni, cadute) o condizioni mediche pericolose per la vita (es. feriti da rianimare), prima di procedere con la decontaminazione. La decontaminazione deve essere effettuata da personale specializzato provvisto di attrezzature specifiche, ma le precauzioni universali standard utilizzate dai team di terapia intensiva proteggono in modo adeguato[4]. Le linee guida per il comportamento in una situazione a rischio sono:

  • riduzione al minimo dell’esposizione e della contaminazione alle radiazioni degli operatori sanitari (es. mantenere le distanze dai pazienti contaminati quando non si forniscono attivamente cure);
  • trattamento della contaminazione esterna ed interna;
  • a volte, misure specifiche per radionuclidi particolari (nel caso in cui si abbia dispersione o contatto con un contaminante specifico);
  • precauzione e trattamento del sistema immunitario compromesso;
  • ridurre al minimo la risposta infiammatoria;
  • terapia di supporto.

Decontaminazione esterna

La sequenza e le priorità tipiche sono:

  • rimuovere indumenti e detriti esterni (viene eliminata circa il 90% della decontaminazione esterna);
  • decontaminare prima le aree più contaminate, es. le ferite prima della pelle intatta;
  • utilizzare un misuratore di rilevamento delle radiazioni per monitorare i progressi della decontaminazione;
  • continuare la decontaminazione fino a quando le emissioni sono inferiori a 2 o 3 volte la radiazione di fondo (radiazione naturale dell’ambiente) o non vi è alcuna riduzione significativa tra gli sforzi di decontaminazione.

Gli indumenti e gli oggetti estranei vengono rimossi con cura per ridurre al minimo la diffusione della contaminazione e posti in contenitori di piombo etichettati. Essi devono essere considerati contaminati fino a quando non vengono controllati con un misuratore. Le ferite contaminate vanno irrigate con soluzione salina ed EDTA (acido etilendiamminotetraacetico) e strofinate delicatamente con una spugna chirurgica. Le ustioni vengono risciacquate delicatamente per non aggravare l’entità del danno e le contaminazioni residue vengono eliminate grazi ai cambi di medicazione.

La pelle e i capelli contaminati vengono lavati con acqua tiepida e un detergente delicato; se i capelli presentano ancora contaminazione vengono rimossi con mezzi che non rovinano la pelle (es. forbici). Infine, indurre la sudorazione (es. mettere un guanto di gomma su una mano contaminata) può aiutare a rimuovere la contaminazione residua della pelle[4].

La decontaminazione non è necessaria per i pazienti che sono stati irradiati da una fonte esterna e non sono contaminati.

Decontaminazione interna

Il materiale radioattivo ingerito deve essere rimosso prontamente mediante vomito indotto se l’esposizione è recente. La decontaminazione orale viene eseguita tramite risciacquo frequente della bocca con soluzione salina o perossido di idrogeno diluito. Gli occhi esposti devono essere decontaminati evitando la contaminazione del dotto nasolacrimale, dirigendovi lateralmente un flusso di acqua o soluzione fisiologica.

L’urgenza e l’importanza dell’utilizzo di misure di trattamento più specifiche dipendono dal tipo e dalla quantità di radionuclide, dalla sua forma chimica e dalle caratteristiche metaboliche (es. solubilità, affinità per organi bersaglio specifici), dalla via di contaminazione (es. inalazione, ingestione, contaminazione ferite) e dall’efficacia del metodo terapeutico.

I metodi attuali per rimuovere i contaminanti radioattivi dal corpo (decorporazione) includono:

  •  saturazione dell’organo bersaglio (es. ioduro di potassio [KI] per isotopi di iodio);
  • chelazione nel sito di ingresso o nei fluidi corporei seguita da rapida escrezione (es., calcio o zinco dietilentriammina penta-acetato [DTPA] per americio, californio, plutonio e ittrio);
  • accelerazione del ciclo metabolico del radionuclide mediante diluizione isotopica (es. acqua per l’idrogeno-3);
  • precipitazione del radionuclide nel lume intestinale seguita da escrezione fecale (es. soluzioni orali di calcio o fosfato di alluminio per lo stronzio-90);
  • scambio ionico nel tratto gastrointestinale (es. blu di Prussia per cesio-137, rubidio-82, tallio-201).

Protezione dal contatto con fonti di radiazioni

La protezione dall’esposizione alle radiazioni si ottiene:

  • evitando la contaminazione con materiale radioattivo;
  • riducendo al minimo la durata dell’esposizione;
  • massimizzando la distanza dalla sorgente di radiazione e schermando la sorgente.

Ad esempio, durante le procedure di imaging, che coinvolgono radiazioni ionizzanti e la radioterapia, si fa uso di schermi di piombo, per proteggere le parti del corpo attigue all’obiettivo e il personale medico che svolge le procedure.

La schermatura riduce efficacemente l’esposizione ai raggi X a bassa energia dispersi in questi casi, ma è quasi inutile nel ridurre l’esposizione ai raggi gamma ad alta energia. Questi vengono prodotti dai radionuclidi rilasciati in un incidente in una centrale nucleare o in incidenti di tipo terroristico. In tali casi, se si ha a che fare con soggetti esposti vengono adottate le misure di cui sopra, e il personale che lavora intorno a sorgenti di radiazioni deve indossare badge dosimetrici se è a rischio di esposizioni > 10% della dose professionale massima consentita (0,05 Sv). Inoltre, i dosimetri elettronici a lettura automatica sono utili per monitorare la dose cumulativa ricevuta durante un incidente.

Comportamenti da tenere in caso di incidente con rischio di irradiazione

In seguito ad una diffusa contaminazione ambientale ad alto livello da un incidente in una centrale nucleare o il rilascio intenzionale di materiale radioattivo, l’esposizione può essere ridotta nei modi seguenti:

  • riparo sul posto;
  • evacuazione dell’area contaminata.

L’approccio migliore dipende da molte variabili specifiche dell’evento, tra cui il tempo trascorso dal rilascio iniziale e se il rilascio si è interrotto o è in corso. Vanno anche valutate le condizioni meteo, le condizioni di evacuazione (es. traffico, disponibilità di trasporto) e la disponibilità e la tipologia di ricovero.

La comunità dovrebbe seguire i consigli dei funzionari della sanità pubblica locale trasmessi in televisione o alla radio. In caso di dubbio, un rifugio in loco è l’opzione migliore fino a quando non saranno disponibili ulteriori informazioni. Il miglior riparo è costituito dal centro di una struttura in cemento o metallo al di sotto del livello del terreno (ad esempio, in un seminterrato).

Le persone che vivono entro 16 km (10 miglia) da una centrale nucleare dovrebbero avere un facile accesso alle compresse di ioduro di potassio, in modo da poter provvedere rapidamente alla saturazione della tiroide con iodio non radioattivo. Queste compresse possono essere ottenute dalle farmacie locali e da alcune agenzie di sanità pubblica[3, 4].

Leggi anche: Radiazioni e ambiente

Conclusioni

Appare chiaro che, come in tutti i casi in cui un incidente può andare ad influenzare un’ampia zona e grandi gruppi di persone, il pericolo causato dall’esposizione ad una fonte radioattiva non è da sottovalutare. In seguito ad incidenti come quelli avvenuti negli impianti nucleari di Černobyl’ e Fukushima Dai-Chi, e all’uso di ordigni nucleari come nei casi di Hiroshima e Nagasaki, è apparso chiaramente come sia fondamentale essere organizzati per poter affrontare il disastro ambientale e medico che ne consegue. Le conoscenze ottenute nel campo della prevenzione e della protezione dall’esposizione alle fonti radioattive, e quelle sull’avvelenamento da radiazioni, sono di valore inestimabile. Esse permetteranno ulteriori avanzamenti nella sicurezza dei lavoratori, e di poter affrontare nel migliore dei modi eventuali situazioni di pericolo, che si spera non si ripresenteranno in futuro.

Referenze

  1. “The Radium Girls – The Dark Story of America’s Shining Women”, Kate Moore (2017). Sourcebooks, Inc., Naperville, Illinois.
  2. “R. E. Rowland, Radium in Humans: A Review of U.S. Studies”, R. E. Rowland (1994). Argonne, Illinois, Argonne National Laboratory.
  3. REMM: Radiation Emergency Medical Management.
  4. Radiation Exposure and Contamination”, Jerrold T. Bushberg (Ultima revisione: 2020). DABMP, School of Medicine, University of California, Davis.
  5. Rare Disease Database, National Organization for Rare Disorders.
Articoli correlati
Commenta