L’amniocentesi è una tecnica che permette di prelevare una piccola quantità di liquido amniotico con l’obiettivo di analizzarlo e identificare possibili anomalie nei cromosomi del feto. Il liquido amniotico viene prodotto dalle cellule della cavità amniotica presenti nella membrana della cavità (amnios) e il feto è immerso al suo interno. La funzione di questo liquido è molto importante perché consente di proteggere il feto dai continui insulti meccanici che possono derivare dal mondo esterno, come ad esempio urti e pressioni.
Allo stesso modo il suo ruolo è protettivo anche nei confronti della madre poiché riduce la possibilità che i movimenti del feto possano danneggiare i tessuti circostanti. Inoltre, il liquido amniotico consente di mantenere la temperatura all’interno della cavità costante e adeguata allo sviluppo dei tessuti e degli organi del feto[1].
Esame
L’amniocentesi, generalmente, viene effettuata tra la quindicesima e la diciottesima settimana di gravidanza e ha la funzione, come già citato, di evidenziare la presenza anomalie genetiche del feto. Questa tecnica permette di identificare anomalie nel numero di cromosomi che possono causare malattie quali la Sindrome di Down, la Sindrome di Patau, la Sindrome di Edwards, oppure mutazioni geniche che sono alla base di patologie quali la malattia di Duchenne, la fenilchetonuria, le talassemie, la fibrosi cistica e molte altre. Attraverso questa tecnica potrebbero essere evidenziate anche possibili infezioni o difetti nel metabolismo del feto, ma si tratta di analisi più rare.
Il principio della tecnica sfrutta la presenza nel liquido amniotico, in questa fase della gravidanza, di cellule fetali che derivano dallo sfaldamento dei tessuti del feto. Prelevando queste cellule e mettendole in coltura attraverso semplici tecniche di biologia cellulare è possibile analizzarne il DNA. L’analisi del liquido amniotico permette di dosare anche alcune proteine fetali che sono rilasciate nel liquido. Un esempio comune è l’analisi dell’alfafetoproteina dalla quale è possibile ipotizzare alcune malformazioni del feto, come la spina bifida, l’anencefalia e il meningocele. Questa tecnica è di tipo invasivo perché avviene tramite l’inserimento nella cavità amniotica di un piccolo ago con lo scopo di prelevare il liquido. L’operazione può essere seguita attraverso uno schermo ecografico[1, 2].
Problematiche legate alla quantità di liquido amniotico
Il volume del liquido amniotico è molto importante per il corretto sviluppo del feto. Una quantità non adeguata di liquido amniotico può evidenziare anomalie nel feto o nella madre. Un’analisi ecografica del liquido amniotico è molto importante e grazie ad essa è possibile determinare un indice del liquido amniotico o AFI. Per calcolarlo, l’utero viene suddiviso in 4 ipotetici quadranti e per ognuno di essi viene calcolata la profondità in cm. Sommando i 4 valori si ottiene l’AFI. In base ai valori ottenuti sommando le singole misurazioni puoi definire eventuali anomalie.
I valori di riferimento sono i seguenti:
- 5-25 cm il liquido presenta valori nella norma;
- 5-8 cm il liquido presenta valori bassi;
- 22-25 cm il liquido presenta valori elevati.
La carenza di liquido amniotico è una condizione definita Oligoidramnios, ma non rappresenta un problema in tutte le fasi della gravidanza. Se questa condizione si manifesta nei primi 3 trimestri può essere un problema per il feto. Viceversa nelle fasi conclusive della gravidanza è una situazione fisiologica[3, 4].
La carenza di liquido amniotico può essere causata da situazioni che si verificano nella madre, come eccessivo stress, assunzione di farmaci o infezioni, ipertensione e non adeguata assunzione di liquidi.
La condizione che invece determina presenza eccessiva di liquido amniotico è chiamata Polidramnios. In questo caso non ci sono particolari rischi per il feto, se non la possibilità che avvenga un parto prematuro. La maggior causa di Polidramnios è la presenza di diabete gestazionale.
Un’altra condizione da tenere sotto controllo è la perdita di liquido amniotico. Una condizione fisiologica di questo aspetto è la cosiddetta “rottura della acque” che avviene nelle fasi conclusive della gravidanza. La cavità amniotica si lacera e avviene la fuoriuscita di questo liquido. Quando ciò accade, dopo circa 72 ore avverrà il parto. Una condizione invece da tenere sotto controllo è la perdita di liquido in altre fasi della gravidanza. La fuoriuscita di goccioline di liquido amniotico spesso viene confusa con semplici perdite di urina o liquidi vaginali, tuttavia si può differenziare da esse per odore e consistenza del liquido. In caso ciò avvenga è bene consultare il medico[3, 4, 5].
Rischi e benefici
Essendo una tecnica invasiva può comportare una serie di rischi. Il rischio maggiore è la possibilità di incorrere in un aborto spontaneo. L’abortività è legata a vari eventi che possono manifestarsi, come lo sviluppo di amniotite (infezioni), rottura delle membrane e comparsa attività contrattile involontaria. È bene sottolineare che si tratta di un rischio molto basso che si attesta intorno allo 0,2-0,5 %, tuttavia non nullo ed è bene considerare quando vale la pena effettuare questo esame e quando no.
Un parametro che può essere considerato per decidere se fare l’esame o meno è l’età della gestante. Una gestante di età superiore ai 35 anni ha più possibilità di partorire un neonato con malattie genetiche rispetto a donne più giovani. In questo caso potrebbe valer la pena effettuare l’esame.
Un rischio che potrebbe essere annullato effettuando un esame invasivo di questo tipo riguarda la possibile reazione immunitaria che si può innescare qualora il gruppo sanguigno della gestante e del feto abbiano un fattore Rh differente. Qualora la gestante abbia un gruppo sanguigno di tipo Rh negativo e il feto di tipo Rh positivo, il contatto di sangue tra il circolo fetale e quello materno potrebbe determinare la produzione da parte della gestante di anticorpi anti-Rh, che potrebbero raggiungere il feto e creare quindi dei danni. Per tale ragione iniettare degli anticorpi che possano neutralizzare eventuali anticorpi prodotti dalla madre, contro il fattore Rh, è una strategia che può comportare benefici per il feto[3].
Tecniche alternative
Una possibile tecnica alternativa all’amniocentesi nella diagnosi delle malattie genetiche nel feto potrebbe essere un esame del sangue della madre. Questo perché DNA fetale circola anche nel corpo della madre e pertanto un’analisi del sangue potrebbe definire la presenza di malattie del feto[6].
Un altro esame utilizzato per questi scopi è il test della Translucenza Nucale solitamente effettuato nel primo trimestre. Questo esame avviene per mezzo di un’ecografia utile a determinare lo spessore della cute del feto a livello del collo. Uno spessore aumentato è sintomo di possibile sindrome di Down. È un esame molto rapido, che potrebbe prolungarsi soltanto qualora il feto si trovasse in posizione non corretta per effettuare la misurazione.
Un altro test, che combina la Traslucenza Nucale ad un dosaggio proteico, è il Bi-test. In questo caso dopo aver effettuato il test della Translucenza Nucale, viene effettuato un prelievo di sangue dalla madre per evidenziare i livelli di due ormoni prodotti dalla placenta. Questi ormoni sono il free-beta HCG e PAPP-A. Valori elevati di free-beta HCG e valori bassi di PAPP-A sono sintomo di problematiche genetiche. È bene sottolineare che la sensibilità di questo test non raggiunge il 100%, pertanto sarebbe opportuno effettuare ulteriori analisi per incrementare la robustezza della diagnosi[7, 8].
Referenze
- Amniocentesi (esami di accertamento) – issalute.it
- Amniocentesi – my-personaltrainer.it
- Amniocentesi: rischi, benefici e alternative – uppa.it
- Liquido amniotico, origini e funzione – uppa.it
- Liquido Amniotico (AFI) Oligoidramnios Polidramnios – med2000eco.it
- Un test del sangue della madre in alternativa all’amniocentesi – prenatalsafe.it
- Translucenza nucale e bi-test in gravidanza (duo-test) -healthy.thewom.it
- Bi-test – uppa.it