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Amanita muscaria: tra scienza e folklore

Il presente articolo affronta alcuni degli interrogativi che ruotano intorno ad una specie che popola le foreste e il folklore di molti Paesi sparsi per il mondo: il fungo Amanita muscaria. Cosa contraddistingue questa specie? Quando e dove è comparsa? Cosa c’è dietro le credenze e le tradizioni che la vedono protagonista? E, soprattutto, è pericoloso mangiarla?

Adoperato dai protagonisti del film The Northman per le sue proprietà psichedeliche, capace di trasformare Piccolo Mario in Super Mario nello storico videogioco, ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti per vari popoli del Nord dell’Eurasia, Amanita muscaria ha nutrito il nostro immaginario — e, come vedremo, non solo quello — per secoli, se non millenni.

Prima di immergerci nella trattazione degli aspetti più affascinanti delle ricerche condotte su questa specie, soffermiamoci qualche istante per farne un brevissimo identikit.

Chi è Amanita muscaria?

Amanita muscaria, il cui nome comune è ovolo malefico, è un fungo appartenente al phylum dei basidiomiceti, uno dei numerosi raggruppamenti in cui sono suddivise le circa centomila specie fungine ad oggi descritte[1].

Come molti altri funghi, Amanita muscaria possiede una porzione sotterranea, il micelio, composto da un intricato reticolo di filamenti, detti ife, e una porzione subaerea, il corpo fruttifero (o sporocarpo), la struttura che produce le spore.

Una volta maturo, il suo corpo fruttifero presenta caratteristiche talmente eclatanti e peculiari da renderlo pressoché inconfondibile. Le verruche bianche che ne costellano il cappello rosso altro non sono che i resti del cosiddetto velo, il tessuto ifale che avvolgeva lo sporocarpo prima della maturità e che gli dona l’aspetto di un uovo che spunta dal terreno.

La pioggia può talvolta causare il distacco delle verruche, conferendo ad Amanita muscaria un aspetto simile a quello di un’altra specie, la prelibata Amanita caesarea. In questi casi, soltanto un’analisi più attenta della sua morfologia potrà fugare ogni dubbio circa la reale identità del fungo.

Come riportano alcuni studiosi, spesso le ife di Amanita muscaria crescono strettamente intrecciate a quelle dei porcini. Ciò che non è chiaro, tuttavia, è il ruolo svolto da questo fenomeno nella crescita delle due specie[2].

Concludiamo questa breve descrizione della specie menzionando il suo enorme valore ecologico. Amanita muscaria, infatti, è uno di quei funghi che stabiliscono relazioni simbiotiche con le radici delle piante, facilitando l’assorbimento dei nutrienti da parte di queste ultime. Da questa simbiosi tra funghi e radici dipende la sopravvivenza della maggior parte delle specie vegetali e, in ultima analisi, la vita sulla Terra così come la conosciamo[3, 4].

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Un fungo venuto da lontano

Trasportate dal vento e, in tempi moderni, dall’irrequietezza che contraddistingue la nostra specie, le spore di Amanita muscaria sono giunte a colonizzare gran parte dell’emisfero boreale e diverse regioni di quello australe, prediligendo ambienti dominati da piante a fiore (angiosperme), quali betulle, castagni, cisti e querce, ma instaurando relazioni simbiotiche anche con conifere come abeti e pini. L’uomo ha inavvertitamente favorito l’ingresso della specie in regioni del mondo in cui prima non era presente (come Cile, Sud Africa, Nuova Zelanda e Australia), principalmente attraverso l’introduzione di alberi non nativi di quei luoghi[5].

Confrontando il DNA di esemplari di Amanita muscaria raccolti in diverse parti del mondo, è emerso che le attuali popolazioni di questa specie potrebbero discendere da funghi che popolavano la Beringia, l’istmo che collegava Siberia e Alaska. Intorno ai 12 milioni di anni fa, poi, l’apertura dello stretto di Bering, con la conseguente interruzione del suddetto ponte di terra, avrebbe comportato la suddivisione di questa popolazione ancestrale in due popolazioni reciprocamente isolate. L’isolamento geografico, dunque, si sarebbe tradotto nell’insorgenza di due linee evolutive, quella euroasiatica e quella americana[6]. Queste, infine, avrebbero a loro volta dato origine ai gruppi che si possono attualmente individuare su base genetica.

La scienza al di là del folklore

Come accennato all’inizio, Amanita muscaria non popola soltanto le foreste, bensì anche il folklore di molti popoli sparsi per il mondo.

Tra le credenze associate a questa specie, ve ne è una in particolare che sembra comparire presso popolazioni tra loro lontane nel tempo e nello spazio: quella secondo la quale questo fungo avrebbe qualcosa a che fare con i fulmini. “Kaquljá” e “yuy chauk””, entrambi traducibili con “fulmine”, sono infatti i vocaboli usati da popolazioni indigene del Centro America per indicare la specie[7].

C’è poi chi identifica in Amanita muscaria la bevanda sacra, chiamata “Soma”, con cui le divinità induiste si assicuravano l’immortalità. Curiosamente, “Soma” è anche il nome della divinità figlia del Dio vedico del tuono[5].

Per finire, anche i Romani ritenevano che i funghi crescessero laddove era caduto un fulmine. Se l’associazione tra funghi e fulmini rilevata in queste popolazioni sia sorta in maniera indipendente non è mai stato dimostrato. Quello che invece è stato dimostrato è che, simulando la caduta di un fulmine attraverso l’utilizzo di due elettrodi e di un generatore di impulsi ad alta tensione, funghi posti a qualche metro di distanza dall’elettrodo al suolo raddoppiano la loro produzione di corpi fruttiferi[8]. In Giappone, inoltre, impulsi elettrici ad alta tensione vengono attualmente utilizzati con successo nella coltivazione di alcune specie fungine[9]. L’ipotesi degli scienziati è che a sollecitare la fruttificazione dei funghi sia la stimolazione meccanica mediata dalle onde sonore generate dal fulmine, così come l’elevata tensione ad esso associata. Quest’ultima, infatti, favorirebbe il movimento delle ife, determinandone la lesione e la conseguente fruttificazione.

Come ci raccontano gli etnomicologi nei resoconti dei loro viaggi, fino a pochi decenni fa Amanita muscaria veniva consumata a scopo rituale e ricreativo da molti popoli di cacciatori, pescatori e allevatori di renne della Siberia[5]. In particolare, ciò che emerge dalle testimonianze è che il fungo era assunto per raggiungere uno stato di coscienza alterato, durante riti sciamanici finalizzati, tra le altre cose, a comunicare con i morti, curare le malattie, dare un nome ai neonati e interpretare i sogni[10].

Lo stato allucinatorio, gli spasmi muscolari e i sintomi gastrointestinali che l’assunzione di questa specie comporta le hanno valso la fama di fungo tossico per l’uomo. Le due molecole responsabili di questi sintomi sono l’acido ibotenico e il muscimolo. La struttura chimica di queste molecole, infatti, consente loro di imitare i neurotrasmettitori — i messaggeri chimici attraverso i quali le cellule del sistema nervoso comunicano tra loro —, legandosi ad altre molecole e innescando una serie di reazioni culminanti nei sintomi dell’intossicazione[5].

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È possibile mangiare Amanita muscaria?

Ricordiamo che le informazioni contenute in questo paragrafo sono prettamente descrittive e non sostituiscono la figura del medico.

Considerando quanto appena detto, potrebbe non sorprendere che A. muscaria venga comunemente considerata una specie non edibile. Ma è possibile mangiare Amanita muscaria senza trasformarsi in sciamani della Siberia? Non occorre sicuramente spingersi fino all’estremo oriente della Russia per scoprire che questo fungo è stato consumato da varie popolazioni umane, e non per scopi divinatori.

Micologi autorevoli riferiscono di un suo uso alimentare nel Bresciano, in Italia, e in Paesi quali Giappone, Lituania, Finlandia e Russia[11]. Inoltre, esperimenti condotti verso la fine del XIX secolo e all’inizio del XXI[11, 12] hanno accumulato evidenze che supportano l’efficacia dei metodi tradizionalmente utilizzati per liberarne i tessuti dalle tossine. Tuttavia, le procedure sperimentali impiegate dai primi studi condotti sul tema appaiono alquanto antiquate. Si pensi, a tal proposito, che uno di questi consistette nel somministrare a dei cani l’acqua che era stata usata per bollire corpi fruttiferi di Amanita muscaria. I cani che bevevano quest’acqua morivano, mentre quelli a cui venivano fatti mangiare i funghi bolliti sopravvivevano, e quest’evidenza fu assurta a prova dell’idrosolubilità delle tossine.

Gli autori di un recente studio[11] hanno evidenziato come la pressoché totalità dei manuali di riconoscimento dei funghi scritti in lingua inglese riporti la specie tra quelle velenose per l’uomo. Questa tendenza è stata attribuita all’aver apparentemente ignorato le evidenze che, a detta loro, deporrebbero a favore della possibilità di consumare Amanita muscaria, a condizione di prestare le dovute accortezze.

La parola agli italiani

Per sondare la conoscenza e l’attitudine degli Italiani nei confronti di questa specie, ho personalmente somministrato un questionario online ad un campione di 348 volontari (216 uomini e 132 donne) di età compresa tra i 15 e gli 89 anni, provenienti da 19 delle 20 regioni italiane (nessuno dei partecipanti era originario della Valle d’Aosta).

Da un’analisi preliminare dei questionari, emerge che il 61% del campione (211 partecipanti) è stato in grado di identificare correttamente Amanita muscaria a partire dalla fotografia a corredo del presente articolo. Inoltre, il 71% del campione (248 partecipanti) ritiene che il fungo non vada mangiato, a conferma di quanto tale assunto sia diffuso nel nostro Paese, mentre un altro 25% (88 partecipanti) non ne è certo, ma non lo mangerebbe. Infine, solo il 2% del campione (8 partecipanti) ritiene che il fungo possa essere mangiato con le dovute accortezze, e lo 0.6% (2 partecipanti) ritiene addirittura superfluo qualsiasi tipo di accortezza. Di questi dodici partecipanti, tutti quanti sono stati in grado di identificare correttamente Amanita muscaria e la metà di loro (6) ha seguito un corso di micologia, mentre quattro sono laureati in Scienze Naturali o Biologia.

L’unica conclusione che può essere tratta dai risultati di questa prima analisi dei questionari è che la stragrande maggioranza della popolazione italiana ritenga Amanita muscaria non commestibile. La minoranza che, al contrario, ritiene che la specie possa essere mangiata, pur essendo molto ristretta, è composta da individui verosimilmente in possesso di una cultura micologica quantomeno discreta.

amanita muscaria questionario

La parola all’esperto

Trattandosi di un tema delicato, ho deciso di chiedere un parere a Nicolò Oppicelli, micologo, giornalista e membro del direttivo dell’Associazione Micologica «Bresadola», che raggruppa 128 gruppi micologici di tutta Italia.

“Sebbene vi siano alcuni studiosi che la pensano diversamente, personalmente ritengo che consumare Amanita muscaria volontariamente sia da incauti” afferma Oppicelli. “Non sappiamo se le comunità che facevano un uso alimentare di questo fungo soffrissero poi di sintomi da intossicazione, semplicemente perché all’epoca non vi erano sufficienti conoscenze sull’argomento. Inoltre, gli studi che hanno cercato di testare l’efficacia dei metodi utilizzati per rimuovere le tossine dai tessuti del fungo risultano piuttosto datati, poco approfonditi e dubitativi nell’interpretazione dei loro stessi risultati”.

Segnali di pericolo?

Un’ultima interessante osservazione che può essere fatta sui risultati del sondaggio è quella del fatto che tutti i 67 partecipanti che non hanno mai seguito un corso di micologia, che non avevano mai visto la specie in questione, e che non sono stati in grado di identificarla, ritengono che il fungo non vada mangiato. Da tale evidenza paiono scaturire ipotesi suggestive.

Una possibile spiegazione potrebbe infatti risiedere in quel fenomeno noto agli scienziati come neofobia, ovvero l’innato timore che gli esemplari di molte specie animali, uomo compreso[13], tendono a nutrire nei confronti di ciò di cui non avevano ancora avuto esperienza[14]. Inoltre, il rosso è uno di quei colori che più spesso segnalano la pericolosità di un organismo vivente, mettendo in guardia i potenziali predatori dai rischi che correrebbero se tentassero di cibarsene[15].

Infine, studi di psicologia sperimentale condotti sull’uomo dimostrano come, in talune situazioni, questo colore induca uno stato di allarme e reazioni di evitamento[16]. Questo fenomeno potrebbe dipendere sia da fattori biologici sia da fattori culturali, considerando il fatto che, nella società, il colore rosso è spesso associato a divieti o pericoli.

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Conclusioni

Temuta da molti, venerata da alcuni, Amanita muscaria non lascia di certo indifferenti. Il suo aspetto sgargiante le conferisce il potere di imprimersi nella nostra memoria. Crescendo, le sue sottili ife si sono fatte strada nella coscienza di popoli sparsi per il mondo, mettendo in connessione campi del sapere apparentemente distanti tra loro. Svariate domande — alcune delle quali non riportate nel presente articolo — non hanno ancora trovato risposta, accrescendo il fascino suscitato dall’incontro con questo curioso abitante dei boschi.

Referenze

  1. Wu, B., et al. (2019). Current insights into fungal species diversity and perspective on naming the environmental DNA sequences of fungi. Mycology10(3), 127-140;
  2. Yun, W., & Hall, I. R. (2004). Edible ectomycorrhizal mushrooms: challenges and achievementsCanadian Journal of Botany82(8), 1063-1073;
  3. Wang, S., & Huang, J. (2021). Fungal genes in the innovation and evolution of land plantsPlant Signaling & Behavior16(4), 1879534;
  4. Spatafora J.W., et al. (2017). The Fungal Tree of Life: From Molecular Systematics to Genome-Scale Phylogenies. Microbiology Spectrum, 5, 5.5.03;
  5. Carboué, Q., & Lopez, M. (2021). Amanita muscaria: Ecology, Chemistry, MythsEncyclopedia1(3), 905-914..
  6. Geml, J., et al. (2006). Beringian origins and cryptic speciation events in the fly agaric (Amanita muscaria). Molecular Ecology15(1), 225-239..
  7. Lowy, B. (1974). Amanita muscaria and the thunderbolt legend in Guatemala and MexicoMycologia66(1), 188-191;
  8. Shimizu, H., et al. (2020). Stimulatory growth effect of lightning strikes applied in the vicinity of shiitake mushroom bed logs. Journal of Physics D: Applied Physics53(20), 204002;
  9. Takaki, K., Takahashi, K., & Sakamoto, Y. (2018). High-voltage methods for mushroom fruit-body developments. In Physical Methods for Stimulation of Plant and Mushroom Development (pp. 95-113). London, UK: IntechOpen;
  10. Nyberg, H. A. R. R. I. (1992). Religious use of hallucinogenic fungi: A comparison between Siberian and Mesoamerican CulturesKarstenia32(2), 71-80;
  11. Rubel, W., & Arora, D. (2008). A study of cultural bias in field guide determinations of mushroom edibility using the iconic mushroom, Amanita muscaria, as an exampleEconomic botany62(3), 223-243;
  12. Phipps A.G. (2000). Japanese use of Beni-Tengu-Dake (Amanita Muscaria) and the Efficacy of Traditional Detoxification Methods. Master’s thesis, Biology Department, Florida International University;
  13. Crane, A. L., & Ferrari, M. C. (2017). Patterns of predator neophobia: a meta-analytic reviewProceedings of the Royal Society B: Biological Sciences284(1861), 20170583;
  14. Mappes, J., Marples, N., & Endler, J. A. (2005). The complex business of survival by aposematismTrends in ecology & evolution20(11), 598-603;
  15. Pegram, K. V., Fankhauser, K., & Rutowski, R. L. (2021). Variation in predator response to short-wavelength warning colorationBehavioural Processes187, 104377;
  16. Elliot, A. J. (2015). Color and psychological functioning: a review of theoretical and empirical workFrontiers in psychology6, 368.

Immagine di copertina di Andrea de Giovanni.

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