L’alce (Alces alces) è un grande mammifero erbivoro simbolo delle immense foreste canadesi o dei paesaggi innevati della Scandinavia. In realtà , l’alce è più diffusa di quanto si creda, raggiungendo anche l’Europa Centrale: fino a poco tempo fa, avremmo potuto vedere questa specie addirittura sulle Alpi!
L’alce è tra l’altro un ungulato inusuale perché, nonostante sia una animale terrestre, ha molti adattamenti alla vita acquatica. Un tempo estinta in quasi tutta Europa, l’alce sta pian piano facendo ritorno in zone dove mancava da molti secoli, grazie soprattutto a programmi di conservazione e tutela.
Caratteristiche generali dell’alce
All’alce spetta il titolo di cervide più grande: con un’altezza di anche 2 metri e un peso che nelle sottospecie più grandi sfiora i 700 kg, questa specie rende quasi ridicoli i 250 kg del nostro cervo rosso[1]. La sottospecie europea è di dimensioni più esigue, raggiungendo nei maschi più grandi “solo” 500 kg. A discapito della sua stazza, l’alce è curiosamente più imparentato con i piccoli caprioli, facendo entrambi parte della sottofamiglia Capreolinae.
Questo grosso ungulato, rispetto ad altri animali erbivori, possiede un collo molto corto e ha quindi difficoltà  a mangiare l’erba a terra, che non riesce tra l’altro nemmeno a digerire. L’alce, infatti, è un brucatore, ossia è adattato a nutrirsi delle foglie degli alberi: la sua alta statura potrebbe essere allora un adattamento per migliorare questa tipologia di foraggiamento. La specie inoltre ha evoluto delle labbra sviluppate e sensibili, per selezionare le foglie più tenere.
Nonostante sia un brucatore generalista, l’alce tende a nutrirsi di determinate piante, se presenti; salici (Salix sp.), pioppi (Populus sp.), sorbi (Sorbus sp.) e betulle (Betula sp.) sono consumati in proporzioni maggiori rispetto ad altri alberi[1]. Per via proprio della sua dieta, l’alce è una specie legata all’ambiente forestale e di rado si spinge nelle praterie.
Palchi
L’alce fa parte della famiglia dei cervidi, un gruppo di mammiferi artiodattili che comprende ad esempio cervi (Cervus elaphus), sambar (Rusa unicolor) e caprioli (Capreolus capreolus). Una delle loro peculiarità anatomiche risiede nei palchi, delle strutture ossee sul capo che, a differenza delle corna dei bovini e dei rinoceronti, vengono persi e ricambiati annualmente.
In tutti i cervidi (ad eccezione delle renne), i palchi sono presenti solo nel sesso maschile e vengono usati per attirare le femmine (display sessuale) o per combattere contro rivali e predatori.
Per velocizzare la crescita, i palchi sono ricoperti da un tessuto altamente vascolarizzato, chiamato velluto, che dà alla struttura un aspetto irsuto. Quando il palco ha ormai raggiunto le sue dimensioni massime, il velluto cade e viene molto spesso mangiato dallo stesso animale come fonte energetica. Per facilitare la perdita del velluto, i cervidi sono soliti strofinare i palchi su alberi giovani, a volte danneggiandoli. Nell’alce, i palchi hanno una peculiare forma palmata e possono arrivare a pesare 18 kg, per una larghezza di anche 1.8 metri.
Adattamenti alla vita acquatica
La vegetazione arborea contiene un basso contenuto di sodio, elemento di grande importanza fisiologica. Per far fronte a questo deficit alimentare, l’alce è costretta a nutrirsi anche di piante acquatiche, molto ricche di sodio. Ciò ha portato il cervide a sviluppare degli adattamenti semi-acquatici unici all’interno della sua famiglia.
Per prima cosa, l’alce possiede un corpo a botte per migliorare il galleggiamento, mentre le lunghe zampe sono ottime per darsi una spinta maggiore in acqua. Questa specie è anche l’unica tra i cervidi a poter chiudere ermeticamente le narici, potendo così nutrirsi in immersione anche a 5 metri di profondità . Gli zoccoli, infine, sono molto allargati, per evitare che l’animale sprofondi nel fango degli stagni e delle torbiere che solitamente frequenta[1].
Gli habitat lacustri e fluviali, oltre che per nutrirsi, sono usati anche per termoregolarsi. Avendo uno strato di pelo molto spesso, l’alce soffre molto le temperature alte dei periodi estivi. Per abbassare la sua temperatura corporea, quindi, questo grosso ungulato può passare intere giornate sommerso in acqua. In mancanza di stagni o fiumi, l’alce si tiene al fresco spostandosi nelle aree forestali più fitte oppure alzandosi di quota.
Distribuzione e conservazione dell’alce
Storia demografica in Europa
L’alce, all’inizio dell’Olocene (11 000 anni fa) era diffusa in tutta la fascia temperata dell’Europa, dai Pirenei fino al Caucaso. A partire da 9 000 anni fa però, la specie cominciò a scomparire dall’Europa occidentale. Altre popolazioni europee perdurarono per più tempo, come quella alpina; questa, dopo essere stata ridotta a due nuclei separati (uno in Svizzera e uno sulle Alpi orientali), si estinse nel Medioevo. Le popolazioni germaniche e di altre regioni centro-europee si estinsero più tardi, tra il 1700 e il 1800[2].
Se le cause delle estinzioni più antiche sono ancora incerte, le estinzioni più recenti sono invece da attribuire quasi esclusivamente alle attività umane. Essendo una specie che vive a densità di popolazione molto basse (generalmente non più di 1 individuo al km2), si è ipotizzato che una caccia troppo eccessiva e non regolamentata avrebbe potuto facilmente portare all’estirpazione di intere popolazioni locali.
A metà del XX secolo, le ultime popolazioni relitte risiedevano in Scandinavia, mentre nell’Europa Centrale la specie era completamente estinta (esclusa la Russia europea). Nei decenni successivi, però, cominciarono le prime reintroduzioni in Polonia e in varie regioni dell’Unione Sovietica, che portarono alla creazione di nuove popolazioni centro-europee.
In Polonia l’alce è stata mantenuta come specie cacciabile fino al 2001, quando si è notato un forte declino della popolazione nazionale, passata da 6 000 a 2 800 capi in 20 anni. Dopo il divieto di caccia, il numero di alci polacche tornò ad aumentare e raggiunse i 20 000 capi nel 2017. Attualmente, la specie si sta espandendo verso la Germania orientale e i Carpazi slovacchi[2].
Negli anni Settanta, un piccolo gruppo di alci emigrò dalla Polonia e si andò a insediare nelle foreste della Boemia, al confine tra Repubblica Ceca, Germania e Austria. Nonostante l’elevata mortalità causata dagli incidenti stradali, la popolazione boema persiste tutt’oggi e, nel 2015, contava almeno 50-80 esemplari. Se tutelato, questo piccolo nucleo di alci potrebbe espandersi e dare origine in futuro ad una nuova popolazione alpina[4].
L’alce in Asia e in America
L’alce è poi ben presente in Siberia, con la distribuzione più a Sud rintracciabile nelle foreste del Kazakistan e nella regione russa dell’Amur. L’areale in nord America, invece, è praticamente continuo per tutto il Canada e l’Alaska; nel resto degli USA, la specie è solo presente sulla catena delle Montagne Rocciose.
Lo status dell’alce in Nord America è variabile: in alcune aree risulta in aumento, mentre in altre è in forte diminuzione. Le cause della diminuzione sono principalmente le estati sempre più afose e l’arrivo di nuove malattie e parassiti, trasmessi da altre specie di ungulati.
Ecologia dell’alce
L’alce è un animale di grossa stazza che, nonostante le basse densità demografiche, può significativamente influenzare il paesaggio, rendendolo più complesso. In quanto brucatore (mangiatore di foglie), questo cervide non si fa problemi ad abbattere alberi di medio fusto per foraggiare.
Questo rallenta le successioni vegetali, ossia i processi che portano solitamente gli habitat prativi a divenire habitat forestali. Nonostante gli habitat forestali siano importanti a livello ecosistemico, non bisogna dimenticare la grande rilevanza degli habitat aperti, tutt’oggi molto ridotti o degradati in Italia. Numerose specie animali (galliformi, rapaci, altri cervidi, molti passeriformi, etc.) sfruttano infatti gli ambienti aperti per il foraggiamento, mentre altre li usano per riscaldarsi al sole (lucertole e serpenti). Eliminare gli ambienti prativi significherebbe ridurre ulteriormente le popolazioni di questi animali.
La grande produzione di feci, unita ai lunghi spostamenti stagionali, contribuisce alla dispersione di semi (sia terrestri che acquatici) e al ciclo dei nutrienti su larga scala[1].
La specie, avendo una dieta molto specializzata, occupa una nicchia unica nel nostro continente, senza entrare in competizione con gli altri ungulati europei, che sono in generale pascolatori (mangiatori di erba) o a dieta mista.
Infine, l’alce rientrerebbe nella dieta di lupi e orsi, contribuendo così al sostentamento delle loro popolazioni e limitando i loro attacchi al bestiame. Le loro carcasse, inoltre, forniscono nutrimento ad un’ampia gamma di animali e funghi.
Rapporti con l’uomo
A differenza del bisonte europeo (Bison bonasus), di taglia quasi comparabile, l’alce è un erbivoro solitario e molto più facile da gestire, in quanto vive a densità estremamente basse e comportando quindi un minimo impatto sull’agricoltura[5]. I danni causati alle attività antropiche sono solitamente circoscritti alla sola selvicoltura e possono diventare significativi solo quando la specie è sovrabbondante.
Conclusione
Nonostante i luoghi comuni e la grossa taglia, l’alce è una specie con un’ottima plasticità ambientale, capace di sopravvivere anche in zone piuttosto antropizzate. Le sue abitudini alimentari permettono il mantenimento di aree aperte, oggi a rischio in Europa, e aumentano la complessità degli ecosistemi. L’alce offre quindi dei grandi servizi ecosistemici e, con un certo livello di tutela, potremo di nuovo apprezzarla in futuro nelle nostre foreste alpine.
Referenze
- Animal Diversity Web – Alces alces;
- Schmölcke, U., Zachos, F. E. (2005). “Holocene distribution and extinction of the moose (Alces alces, Cervidae) in Central Europe“. Mammalian Biology 70(6): 329-344;
- Deinet, Stefanie, et al. “Wildlife comeback in Europe: The recovery of selected mammal and bird species.” (2017); (PDF)
- The Moose Are Loose in the Czech Republic, “Everything CZECH”, Kyta, 2015;
- Can the elk reclaim Central Europe? Joans Sommer. Wilderness Society, 2020.
Immagine di copertina di Filippo Castellucci.