L’ailanto o albero del Paradiso (Ailanthus altissima) è una pianta di origine cinese molto adattabile e dai più svariati utilizzi. Questo l’avevano già capito gli occidentali del XVIII secolo, che cominciarono a piantarla e sfruttarla in tutto il suolo europeo e americano. Fu l’inizio così di un nuovo danno biologico e urbano, che oggi non possiamo più fermare.
Una pianta tuttofare
L’ailanto è stato visto fin da subito come albero ornamentale, per via delle sue grandi foglie simili al frassino e le esplosioni di fiori nel periodo primaverile. L’albero possiede inoltre capacità rigenerative impressionanti e una crescita molto rapida, divenendo così un ottimo candidato per le alberature stradali e per la silvicoltura. La sua ampia fioritura viene invece sfruttata ancora adesso per la produzione del miele d’ailanto, apprezzato per il suo gusto fruttato. La pianta è usata largamente anche per la bachicoltura e dunque per la produzione di seta.
InvasivitÃ
Gli importatori europei e americani però non avevano fatto ancora i conti con l’alto tasso di propagazione dell’ailanto, che scappò ben presto dal controllo umano, divenendo una specie aliena invasiva. La pianta è infatti altamente pollonante, ossia capace nel produrre nuove piante dalla base del fusto o dalle radici; a causa di ciò il taglio a zero del tronco non provoca la morte dell’individuo, che espanderà il suo territorio tramite i polloni sotterranei. I polloni di ailanto possono allontanarsi dalla pianta madre anche di 15 metri. La sua grande capacità dispersiva è data anche dalla grande produzione di semi (fino a 7000 semi per ogni kg di biomassa), che vengono dispersi a grandi distanze grazie alla presenza di strutture allungate che aumentano l’attrito con l’aria.
L’altra faccia della medaglia: danni ambientali e urbani
L’ailanto divenne col tempo sempre più competitivo con le piante autoctone, producendo in molte zone boschi puri fitti, tali da limitare la presenza di altre specie arboree. Come se non bastasse, l’ailanto è anche una pianta alleopatica: dalle radici secerne delle sostanze che inibiscono la crescita e/o la germinazione delle piante vicine. È ovviamente impossibile un totale rimpiazzo della nostra flora con l’ailanto, ma può contribuire comunque alla sua rarefazione locale assieme al disboscamento (con il quale l’ailanto va a braccetto). La rarefazione delle piante autoctone porta a sua volta la diminuzione di specie animali legate ad esse per scopi alimentari e/o riproduttivi. I danni non si limitano a quelli biologici, ma colpiscono anche l’ambiente urbano; la pianta può colonizzare persino le fessure dei muri a secco, comportando un grave rischio per le infrastrutture (dalle tubature delle fognature fino alle abitazioni).
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Si può contrastare l’ailanto?
Ad oggi, non esistono metodi efficaci e selettivi per contrastare l’ailanto. Il taglio a zero della pianta difatti non solo non provoca la morte della pianta ma ne stimola la produzioni di polloni che creeranno danni altrove. L’unico metodo meccanico per debellarlo sarebbe la completa estirpazione della pianta e la distruzione delle radici, ma questo lavoro risulta complicato; una minima parte della radice rimasta nel terreno può produrre tranquillamente una nuova parte aerea, che raggiungerà dimensioni considerevoli in poco tempo. In sintesi, i metodi meccanici sono molto utili per limitare l’avanzata della pianta, ma non a eradicare intere popolazioni.
Nemmeno l’uso di animali che parassitano la pianta, come il bombice dell’ailanto, sembrano avere effetto. Inoltre, gli animali selvatici nostrani evitano il consumo della pianta poiché le foglie, fusto e radici sono velenose e producono un odore nauseabondo. Il metodo chimico, che consiste nell’uso di fitofarmaci, sembra fino adesso la metodologia più efficace ma, in quanto prodotti tossici non selettivi, andrebbero a danneggiare il resto della flora e fauna una volta dispersi nel terreno. Inoltre, solo alcuni prodotti erbicidi sembrano avere un effetto significativo sulla pianta.
Insomma, con gli strumenti odierni non è possibile eliminare l’ailanto; la sua diffusione ha raggiunto livelli ormai troppo elevati, risultando impossibile l’eradicazione. Questo problema non è limitato solo all’ailanto, ma comprende molte altre piante alloctone, come l’acacia (Robinia pseudoacacia).
Bibliografia
- Ministro della difesa – Eradicazione di Ailanthus altissima nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia: un progetto europeo
- Luigi Fenaroli, Alberi, Giunti Editore, 2004, p. 41; ISBN 9788809035409.